Castigo di Dio
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Sei cattivo, tu sei.. sei amaro come il veleno.
Mai soprannome poteva essere più calzante ed icastico: Amaro.
"Tutto era cupo in Amaro.
Da sempre servo dei potenti, da sempre aguzzino dei disperati, se intravedeva in qualcuno delle potenzialità, un qualsiasi talento, si scatenava e si chetava solo quando aveva disintegrato psicologicamente la vittima designata, costretta a strisciare come un serpente, ma senza quella bella pelle lucida, senza quell'armonia.
Amaro era l'ossido che aggredisce il metallo, lo scorpione in attesa sotto la sabbia, la putrescina della carogna di un cane, era la guerra, il razzismo, l'opportunismo, il nazista che cavava denti d'oro ai deportati. Non provava affetto per nessuno e l'idea che nessuno ne provasse per lui lo irritava ancora di più perchè lo leggeva come un gesto di mancata sottomissione.
Era cattivo. In un unico termine che meravigliosamente lo sintetizzava, era cattivo ed era nato così. Un castigo di Dio."
Amaro come il veleno che pare circolare nelle sue vene e che sembra aver dissolto ogni traccia di umanità in lui, una bestia che si nutre del dolore degli altri, che si rinvigorisce derubando - come il più crudele dei re - i pochi averi e la dignità della povera gente che dimora nel suo castello.
Già, perchè Amaro è il 're' della Socia, una fatiscente costruzione nella città vecchia di Bari, con le pareti putrefatte dalla muffa che trattengono all'interno un'aria fetida, ammorbante che non trova riciclo attraverso le finestre serrate ma solo qualche esile via di fuga dalle numerose crepe lungo le mura esterne. Un luogo senza luce e senza speranza, divenuta unica possibile dimora per gli scarti della società, uomini, donne, bambini orfani ma anche intere famiglie diseredate incapaci di trovare una sistemazione più dignitosa e costretti a subire le angherie del re Amaro in cambio della sua 'ospitalità'.
L'immagine che meglio rappresenta la Socia è quella di una bolgia infernale nei cui piani bassi prostitute e pedofili vendono e comprano sesso, nei piani intermedi assassini senza scrupoli massacrano e uccidono chi non paga o si ribella a quello status quo occultando i loro corpi nelle fogne o bruciandoli nel 'camino', e su tutto domina dal suo alloggio all'ultimo piano il re, Amaro.
"Perchè usi pagine della Bibbia?", chiese sbalordito il giornalista.
"Sono molto sottili, bruciano meglio", gli rispose il vecchio senza guardarlo, dando una generosa boccata alla sigaretta che si era appena rollato con l'incipit dell'Apocalisse.
"Che cosa c'è al primo piano?"
"Le puttane".
"Al secondo?"
"Il vizio".
"Al terzo?"
"Il camino".
"E all'ultimo?"
"Amaro."
Non tutti però si lasciano soffocare dai tentacoli della Socia, non tutti si lasciano corrodere dall'ossido della brutalità e della sopraffazione: c'è chi come Anna, la puttana letterata, finita in quel tugurio dopo la morte dei suoi genitori, protegge come può la sua purezza d'animo essendole stata estorta con la forza quella del corpo e per questo motivo coltiva sempre la sua passione per la poesia acquisita grazie agli studi classici, unica eredità della sua famiglia di cui Amaro non ha potuto derubarla.
E poi ci sono i bambini, come Lorenzo o Francesco nominato dai suoi coetanei 'Vorro' a causa di una cicatrice a forma di V sulla fronte, resi orfani dalla guerra o dallo stesso Amaro, costretti a barattare sin da piccoli la loro innocenza per un posto nella Socia in cui dormire e mangiare e senza mai rinuciare alla speranza in un futuro migliore.
E' una storia che lascia .. l'amaro in bocca, sarebbe proprio il caso di dire, quella presentata dall'autore Marcello Introna in questo suo secondo romanzo, dopo l'esordio fortunato con Percoco.
Una storia cupa, nera, come quello scorcio del lungomare di Bari riportato sulla copertina e che personalmente, essendo nato in Puglia, associo sempre a colori ben più luminosi, solari, i colori del mare e del cielo azzurro.
Devo ammettere che questo romanzo mi ha letteralmente disorientato, riportando un pezzo di storia di questa città che conoscevo solo in parte, eventi documentati di cui però ignoravo le tragiche conseguenze.
L'autore infatti interseca le nefandezze compiute da Amaro, frutto della sua inventiva seppur ispirate dall'effettiva condizione di disagio in cui versava la gente più umile, con le atrocità derivanti dalla guerra: la narrazione si colloca nel periodo immediatamente successivo alla caduta del fascismo quando Bari venne scelta dalle truppe alleate come punto di 'ingresso' per la progressiva liberazione della penisola dalle forze militari tedesche.
E per quanto sia noto a molti il tremendo bombardamento aereo da parte dell'aviazione tedesca la sera del 2 dicembre 1943 che si concretizzò con la distruzione di oltre 20 navi della flotta alleata attraccate nel porto di Bari (un'incursione a sorpresa di tale portata si era verificata solo a Pearl Harbor) e la morte di oltre 1000 civili, tanti forse non sanno che una di quelle navi alleate trasportava centinaia di bombe cariche di gas mortali a base di iprite con cui il governo inglese intendeva rispondere ad un probabile attacco chimico paventato da Hitler ai danni dell'Italia traditrice; bombe che invece esplosero nel porto di Bari avvelenando l'aria e la pelle di coloro che si trovavano in quella zona. L'ospedale fu invaso da migliaia di persone, soldati e non, moltissimi bambini, con gravi irritazioni agli occhi e la pelle ricoperta da pustole enormi che i medici, ignari della causa, non riuscivano a diagnosticare correttamente e curare in tempo utile.
Ed ancor più vile (seppur vano) fu il tentativo delle alte cariche del governo inglese di insabbiare l'accaduto con la compiacenza delle autorità locali in cambio di favori reciproci, sfruttando proprio quella patologica ed antica cancrena dell'amministrazione politica italiana troppo incline alla corruzione e concussione, la stessa che ha consentito a personaggi come Amaro di diventare un 're', di accrescere smisuratamente il suo potere con gli introiti inesauribili derivanti dalla prostituzione di donne e bambini, sopprimendo sul nascere qualsiasi forma di protesta o ribellione e tutto sotto gli occhi bendati delle istituzioni.
E' un pugno nello stomaco questo romanzo, è come se la rabbia, la sofferenza e l'impotenza dinanzi ai tanti soprusi subiti dai personaggi della storia diventassero reali e percepibili dallo stesso lettore; una sensazione simile a quella che ho provato leggendo altri grandi romanzi storici, come I pilastri della terra o La cattedrale del mare.
E Marcello Introna regge senza ombra di dubbio il confronto con i suoi più noti colleghi sfoggiando uno stile di scrittura raffinato e fortemente connotativo, capace di rendere estremamente vivace e scorrevole la narrazione storica ma, al contempo, incisiva e suggestionante la descrizione di tutti i personaggi, inclusi quelli minori, la cui caratterizzazione viene sempre arricchita dal racconto - magistralmente condensato in poche pagine - della loro vita e delle vicende, quasi sempre tragiche, che hanno lacerato senza cicatrizzare la loro indole e spianato un destino che per tutti, in un modo o nell'altro, confluisce senza via di fuga nella Socia.
"Siamo in cento qui, forse centouno, oppure centotrè. Viviamo nella Socia e nella Socia dobbiamo rimanere. Non tutti hanno il permesso di uscire e, quando lo fanno, non sempre ritornano."
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La Socia
Marcello Introna, dopo aver pubblicato Percoco, pubblica ora Castigo di Dio: un libro ispirato a fatti di cronaca nera accaduti a Bari durante la caduta del regime fascista. Un testo duro, difficile, crudo e a tratti anche tale da provocare sentimenti di rifiuto.
Ambientato nella “Socia”, il più grande conglomerato urbano barese, sorto in piazza Luigi di Savoia: Era un palazzone degradato, mai terminato, che nel corso degli anni aveva subito un inarrestabile sfacelo. Nel 1943 un uomo denominato “amaro” diecide di rapire la figlia dodicenne di un ricco proprietario terriero della provincia, in passato suo stesso socio in affari sporchi. Amaro è la testa di legno e il braccio spietato di un’ampia organizzazione criminale dai contorni inquietanti che gode di protezioni nelle più alte sfere. Lui è il re della Socia, un palazzone privo di acque di fognatura, un putrido nido di sporcizia e di malattie. E all’8 settembre, alla caduta del regime fascista, con la Germania che comincia la ritirata dal sud, il controllo di Bari passa di mano tra Tedeschi e Alleati grazie alla complicità e alla protezione del prefetto, Nicola Arpino, che guarda solo ai suoi sporchi affari favoriti dalla latitanza da parte delle istituzioni. Da quel momento Amaro si servirà della sua tragica corte dei miracoli, ma soprattutto del suo sadico vassallo Filippo, per gestire la borsa nera, i traffici legati alla prostituzione e allo spaccio di morfina, trasformandoli in guadagni faraonici che non bastano mai.
Ma c’è un problema: Luca, il “Bracco”, giornalista che scrive per la Gazzetta, crea con i suoi articoli più di un malcontento. Unito alle azioni del commissario Michele De Santis, che continua a confrontarsi con un pesante muro di omertà, che si tenta di ignorare. La Socia pare essere la Gomorra o la Suburra dei giorni nostri. Ma non è solo questo: presenta esempi anche di umiltà, esempi di vita povera che per costrizione non possono che accettare soprusi di ogni genere.
Nella Socia, non si delinque solo per soldi, o potere: si stupra, si rapisce, si uccide, facendo poi sparire i cadaveri, mentre al di fuori la vita trascorre implacabile, come se nulla fosse.
L’autore intreccia in questo libro, abilmente, realtà e finzione, inserendo nel testo personaggi veri, ma rubati ad un altro tempo e a un altro spazio, come Lorenzo, il bambino venduto ad un pedofilo ricco, immaginato nella sua infanzia; e Francesco, ispirato a Damiano Russo, l’attore barese scomparso a soli ventotto anni, a cui il libro è dedicato. Ne scaturisce un romanzo profondo, duro, spiazzante e crudo nei limiti più biechi dell’accettabilità. Una lettura nera ed angosciante.