1912 più 1 1912 più 1

1912 più 1

Letteratura italiana

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8 novembre 1913: la contessa Maria Tiepolo, moglie del capitano Carlo Ferruccio Oggioni, uccide l’attendente del marito, il bersagliere Quintilio Polimanti. Per qualche giorno l’Italia si distoglie da altri pensieri per concentrarsi sulla contessa, che i giornali definiscono subito «bellissima», mentre descrivono il Polimanti come «bel giovane, alto, capelli biondi e ricciuti». Poi la vicenda scompare, perché incalzano altre novità: il tango che arriva da Parigi, il furto della Gioconda. Ma, quando si apre il processo, la curiosità generale è di nuovo fortissima. Ora si tratta di decidere: che cosa motivò quel colpo di pistola? La difesa dell’onore? O si può insinuare il sospetto di una passione? «Nell’aula della Corte d’Assise d’Oneglia vapora e aleggia L’amante di Lady Chatterley di Lawrence». Ma l’assurdità del processo vuole che alla passione si alluda solo come a qualcosa di improbabile e funesto, così come – in coerenza con lo stile di una certa Italia tronfia e trita di quegli anni – il magistrato per nominare le donne parla di «sesso gentile». Più di mille lettere anonime giunsero in tribunale durante i giorni del processo. Evidentemente quella storia toccava un groppo di pathos, terrore e sogno. Sciascia avvia questo libro come una «divagante passeggiata nel tempo», nell’Italia del «1912 + 1» (come scrisse una volta D’Annunzio per esorcizzare il fatidico tredici), ma poi si abbandona a scavare con affilato scalpello nelle testimonianze spesso vacue ed esilaranti del processo. Perseguendo due poetiche apparentemente inconciliabili, quella della digressione e quella della concisione, egli riesce a gettare la massima luce su un oggetto proprio quando sembra parlare d’altro: evoca un clima storico sprofondando nei dettagli del processo Tiepolo e illumina il processo Tiepolo vagando fra D’Annunzio e i futuristi, il patto Gentiloni e la guerriglia in Libia, Pirandello e Huxley. Profondo conoscitore di quell’Italia dove ogni pasticcio tende a presentarsi come un limpido accordo, così come nel caso Tiepolo un omicidio passionale tendeva a presentarsi come difesa della decenza, Sciascia ha voluto scrivere la cronaca di un processo pieno di pompose incongruenze: non giudicando, ma lasciando lievitare i fatti per leggerne la filigrana, che si rivela alla fine nettissima e oscura.



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1912 più 1 2013-03-21 15:38:26 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Marzo, 2013
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Innocente, anche se colpevole

Negli ultimi anni della sua vita, quasi pago dei successi ottenuti dai suoi romanzi, ma più probabilmente perché la vena creativa si era un po’ esaurita, Leonardo Sciascia prese spunto da fatti realmente accaduti per una loro rivisitazione, chiamando gli scritti infatti Cronachette. E tale è anche 1912 + 1, titolo alquanto strano, ma che, come vedremo in seguito, ha una sua precisa ragion d’essere. E’ del 1913 il fatto della cronachetta, sicché è logico pensare che lui fosse un po’ superstizioso, ma così non è, perché quella votata agli scongiuri è ben altra persona, un altro scrittore allora in grande spolvero; questi, benché meridionale – e di conseguenza per lui il 13 doveva essere considerato un numero fortunato – per una repentina infatuazione per il Nord dell’Italia, ove soggiornerà a lungo fino alla morte, iniziò a vedere il 13 come sinonimo di jella, di sfortuna nera e allora prese a non citarlo, tanto che in uno dei 50 esemplari dell’edizione su papier de Hollande del Martyre del Saint Sebastien, scritto direttamente in francese da Gabriele D’Annunzio durante il suo non breve soggiorno ad Arcachon, ove si era rifugiato incalzato dai creditori, figura una dedica autografa . Questo libro entrò nella biblioteca di Sciascia che non poté fare a meno di notare la stranezza della data e alla luce della sua scarsa stima dell’autore abruzzese mise bene il rilievo la circostanza agli inizi della cronachetta. A parte questo inciso, il fatto non riguarda direttamente il vate nazionale, se non per quella atmosfera di fulgide apparenze e di squallide realtà che sembravano caratterizzare l’inizio del XX secolo, con la conquista della Libia e la feroce repressione dei ribelli, con le classi sociali ben delineate e talmente chiuse da risultare impenetrabili. Ed è appunto da un incontro fra un ceto superiore e uno inferiore che nasce il fatto, con la contessa Maria Tiepolo, moglie del capitano di Stato Maggiore Carlo Ferruccio Oggioni, che l’8 novembre 1913 uccide con un colpo di pistola sparato quasi a bruciapelo l’attendente del marito, il bersagliere Quintilio Polimanti, nella vita civile falegname, ma ribattezzato dai giornali ebanista per cercare di rendere meno evidente la differenza di classe. Il processo che ne seguì è l’occasione per Leonardo Sciascia di mettere in risalto vizi privati e pubbliche virtù, spesso con un’ironia dirompente, da cui esce un quadro per nulla lusinghiero degli uomini in genere e di quel particolare contesto sociale.
Sono continue annotazioni, riflessioni che accompagnano gli atti del procedimento che, come non poteva che essere prevedibile, si concluderà con l’assoluzione dell’assassina. Il sostegno indispensabile alle forze armate, appena uscite vittoriose dalla campagna di Libia, e il patto Gentiloni che chiamava alle urne i cattolici, prima diffidati dal pontefice, a patto che il parlamento si attenesse rigorosamente ai principi cristiani, non cedesse alla tentazione di fare una legge sul divorzio e considerasse pertanto la famiglia una e indivisibile influenzarono i giurati e così accadde che un colpevole, peraltro reo confesso, anche se a suo dire per difendere la propria onorabilità, diventasse di colpo innocente, in un iter che di verità univoche non ne ebbe, ma tante, tantissime, in un contesto fatalmente pirandelliano, in cui apparenza e realtà si confondono, confondendo anche chi è chiamato a giudicare.
Non è certo un capolavoro di Sciascia, che tanti peraltro ne ha scritti, ma 1912 + 1 è uno di quei libri, di gradevolissima lettura, a cui ci si affida con fatalismo constatando che il nuovo secolo, il nostro, porta troppi segni del precedente, tanto che le somiglianze son più delle differenze, e credo che se fossero ancora in vita Pirandello e Sciascia si limiterebbero a sorridere, come per dire “che novità! Ve l’avevamo già detto, no?”.

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