Un'educazione milanese
Letteratura italiana
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Una città particolare: Milano
Un’educazione milanese di Alberto Rollo è un libro importante, soprattutto per chi non è di Milano, non ha mai abitato a Milano e non conosce, minimamente, Milano. E quest’affermazione non è redatta per amor di paradosso ma piuttosto sorge da una precisa analisi di tipo sociologico: se è vero come è vero che Milano, negli ultimi anni si è imposta come modello alternativo di dinamismo opposto e contrario al “sistema Italia” immobile e fossilizzato, una serie di motivi ci devono pur essere. E buona parte di essi sono contenuti in Un’educazione milanese che lungi dal voler essere un romanzo-manifesto o una sorta di guida a capire la città meneghina della seconda decade del Nuovo Millennio, racconta la piccola storia di un uomo della generazione precedente, di quella metropoli anni Sessanta e Settanta così arcaicamente borghese, biologicamente proletaria e idealmente rivoluzionaria che sarebbe potuta essere un sacco di cose ma invece è stata soprattutto altro: una città di ponti, ora che collegano con il passato ora che mettono in contatto con il futuro, sempre e comunque ben presenti sotto i nostri piedi. Certo il libro di Rollo è anche e soprattutto una storia su una città ma, proprio per il suo evolversi da un lato sghembo e dall’altro rigoroso, permette alle persone che non conoscono Milano di avvicinarsi meglio, sia da un punto di vista sociologico sia da un punto di vista umana, alla cosiddetta “capitale morale d’Italia”. Tutto inizia con la citazione di Rocco e i suoi fratelli, il film –cult di Luchino Visconti, del 1960, ispirato dal romanzo di Giovanni Testori, Il ponte della Ghisolfa. Già perché se la famiglia di Rollo, come tante altre come tutte, è, almeno per metà, non lombarda e nemmeno milanese, essendo originario il padre della Puglia, la vicenda cinematografica è utile per paragonarla a quella propria, in un’ottica costantemente legata al concetto, letterale e filosofico, di ponte. Infatti Milano è per l’autore anche e soprattutto una città di ponti, di ponti che collegano alle ferrovie, al ferro delle rotaie e all’acciaio delle sue industrie. Nei primi capitoli del libro si possono leggere numerosi “ricordi di infanzia” di Rollo, magnificamente sospesi tra il retroterra di un’Italia bucolica e contadina, di gente che:
“andava a Magenta per tirar su ciliegie”
E di un’Italia che sale, in costante progresso e destinata ad un futuro migliore,
“perché non torneremo mai più indietro, si ricostruisce per il meglio”,
proprio come il padre dello scrittore, fervente operaio-comunista, era solito dire al figlio.
Il libro è, dunque, caotico ma anche rigoroso perché rigorosa non può che essere una scuola di vita in questa città. C’è troppa dignità borghese, che si può leggere ora in senso negativo ora in senso grandemente positivo, nella commistione precipua tra grandi famiglie ottocentesche, immigrati del Sud, giovani con la testa calda ed eterni pendolari che dalle campagne si spostano per dieci ore in città. La scrittura di Alberto Rollo è rigorosa, molto più simile alla china che scorre su un tecnigrafo di un bravo geometra cresciuto a pane ed edilizia popolare piuttosto che al ticchettare un po’ stanco di un giovane creativo di viale Forlanini. Dunque la Milano di Rollo è una Milano ideale e concreta, operaia ed intellettuale, piena di artisti e piena di pendolari dalle facce antiche che prendono il treno per lavorare e per rendere ancora più bella, grande e rigorosamente caotica questa grande città.