Tutti primi sul traguardo del mio cuore
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
primo tra i primi!
Tutti primi sul traguardo del mio cuore, scritto da Fabio Genovesi [Mondadori 2013], andrebbe letto solo per il titolo che racchiude l’amore smisurato che, l’autore stesso, porta verso il ciclismo e i ciclisti e il mondo che li circonda.
Nel raccontare il suo Giro d’Italia, accompagnato da Enzo e dal navigatore satellitare, l’autore ci porta a conoscere le pieghe più nascoste della provincia italiana attraverso personaggi che rendono bene l’idea di chi siamo e anche dove ci stiamo dirigendo. Non racconta l’Italia dell’arte ma quella che, alla fine, quest’arte l’ha costruita dando carne e sangue al servizio della bellezza. Un po’ come lo sforzo del ciclista che, con sudore e spesso sangue, è sempre alla ricerca del gesto perfetto che lo possa consegnare alla storia.
E’ per questo che il libro storce il naso nei confronti del team calcolatore Sky e si lascia incantare dal fuggitivo Pedrazzi dedito all’eroismo estremo, perché alla fine chi calcola è troppo attaccato al dio numero che lo incatena alla logica del do ut des, mentre chi sogna spinge soltanto sempre senza calcolo e magari finisce sveglio sotto un traguardo con le mani rivolte al cielo!
Il libro scorre piacevole, si legge in due-tre giorni, e, quando non fatichi sui pedali con i ciclisti, ti ritrovi a ridere per il ritratto di un assessore che cerca di piazzare il cugino poeta o per la ragazzina che canta “Ancora” mentre Fabio sta mangiando al ristorante…
Ve lo consiglio con molto piacere anche se non amate il ciclismo perché, anche se ne parla con amore incondizionato, vi fa capire che alla fine il ciclismo, nel fondo del vostro cuore, lo amate per davvero perché è sintesi e immagine perfetta della vita umana!
Buona lettura.
Indicazioni utili
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
L’Italia su due ruote
“Tutti primi sul traguardo del mio cuore” è una retrospettiva romanzata del Giro d’Italia 2013, scritta da Fabio Genovesi che – nello staff del Corriere – parte per un’avventura a tappe in compagnia dell’amico-autista Enzo.
L’autore ricorda il suo amore giovanile per la bicicletta: si era ripromesso di coronare un sogno, quello appunto di partecipare, un giorno, al Giro d’Italia, da protagonista: “All’epoca non l’avrei mai detto che al Giro poteva servire uno scrittore”! La scrittura diventa dunque il modo attivo e personale di vivere un’avventura che appassiona l’Italia intera. Così, con tanta ironia e con una punta di nostalgia, Genovesi ci conduce attraverso località, tradizioni, manie e sogni che aleggiano sulla nostra penisola, scandendo l’itinerario con le tappe del giro ciclistico e proponendo una divertente cronaca della gara (“Maglia rosa, maglia azzurra del miglior scalatore, rossa per la classifica a punti e bianca per il miglior giovane saranno protette dalle Ombrelline…”).
Oltre all’escursione geografica, il romanzo è anche l’occasione per narrare aneddoti e curiosità sui campioni del ciclismo: del passato e di oggi. A partire da colui che vincerà il Giro 2013: Nibali, “il giovane siciliano soprannominato lo Squalo dello Stretto, che sente l’odore del sangue ed entra in frenesia. Il sangue è quello di Wiggins…”
In questa rassegna naturalmente non possono mancare Gino Bartali (corre l’anno 1948: “Si racconta che De Gasperi e Andreotti telefonarono a Gino, che arrancava al Tour, chiedendogli una grande impresa perché gli italiani si esaltassero per la bicicletta e scordassero i bollori rivoluzionari”) e Fausto Coppi, Darwin Atapuma detto “El Puma” (“timidissimo… doveva fare il campesino…”), il Girardengo degli anni venti, il velocista colombiano Edwin Avila, i tre rivali Zandegù, Merchx e Gimondi. E naturalmente non può mancare il Pirata: “Da ragazzino ero innamorato di Pantani, come tutti. E quello che esaltava del Pirata non erano i suoi primi posti, erano le imprese, era il fatto che lui ci provava, sempre”.
Da non sportivo quale sono, durante la lettura mi sono sorpreso ad apprezzare il retrogusto di un romanzo che racconta lo sport non soltanto come tale, nelle sue gioie e nei suoi dolori, ma anche come disciplina di vita e come allegoria. E’ il caso del “paradosso della solitudine del ciclista”: “Quando le tappe sono adatte alla volata, i tuoi compagni non hanno il passo per starti accanto e lanciarti nello sprint, quando invece ci sono le montagne, loro se ne vanno lassù a tutta velocità mentre tu annaspi da solo in fondo al gruppo, sperando di sopravvivere in qualche modo”. Non è forse, questa, una metafora della solitudine umana?
Bruno Elpis