Splendi come vita
Letteratura italiana
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Strappi ricuciti
Un abbandono subìto la cui risposta da parte del destino fu un'accoglienza.
Un cordone biologico strappato ed un legame di cuore instaurato.
Due mamme fanno parte della storia di una donna, un volto mai goduto appieno ed uno amato come un pilastro fondamentale.
Una ricostruzione del proprio percorso personale, familiare, sociale e spirituale, compiuto abbandonandosi alle sensazioni evocate da ricordi, suoni, voci, immagini, oggetti.
Uno scritto che segna un momento di riflessione per raccontare quanto di più intimo possa esistere, come l'appartenenza ad una famiglia, i legami di sangue e i legami voluti, i vuoti da colmare e gli affetti da metabolizzare.
L'autrice avvezza al componimento poetico, presta la sua dote stilistica alla voce che le scaturisce dal cuore come fiume in piena, dando vita ad un genere ibrido che fonde narrato a elegia.
Una storia intensa e di grande trasporto, merito di un linguaggio fatto di essenzialità eppure efficace nel mettere a nudi i nervi scoperti.
Un'apprezzabile sperimentazione linguistica per evadere dai solchi del romanzo e del diario autobiografico.
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La Mammavéra
“Le parole sono la parte più concreta della materia.
La materia è uno scherzo ben riuscito.
Le parole non sono mai completamente pulite.
Le parole non dimenticano la materia dalla quale evaporano, ma non ne hanno alcuna nostalgia”
Ed è con le parole, stavolta scelte per un romanzo, la sua prima opera narrativa, che la poetessa Maria Grazia Calandrone dichiara il suo amore verso la madre adottiva, che lei vuole chiamare Mammavéra, tutto attaccato, proprio così.
Licenze poetiche, licenze di pausa, a capo inattesi, voluti dall’autrice. Stile sincopato che mi piace tantissimo. Scrittura tagliente, che sa farsi delicata.
Una narrazione in prima persona che, dopo le prime pagine in cui l’autrice presenta i suoi genitori, procede spesso per salti temporali, con piccoli quadretti, ricordi sparsi, come se stessimo sfogliando un album di fotografie sistemate, a volte, alla rinfusa. E in questo cammino la Calandrone ci accompagna con la sua voce mista di nostalgia e anche di orgoglio.
Dopo quasi cinquant’anni di silenzio, la nostra poetessa consegna al mondo i ricordi della donna che l’ha adottata, Consolazione, detta Ione, del loro rapporto di Amore che diventa poi Disamore, quando lei decide di rivelare alla figlia, quando aveva solo quattro anni, di non essere lei la Mamma Vera.
“Sono caduta nel Disamore a quattro anni, quando Madre rivelò Io non sono la tua Mamma Vera. Quella di Madre fu una decisione anticipatoria, d’amore ansioso: aveva letto sul giornale la notizia del suicidio (un altro! che cortocircuito nella mente di Madre!) di una diciottenne che, nel predisporre le carte per il proprio matrimonio, aveva scoperto d’essere stata adottata e si era tolta dalla vita. La ragazza doveva aver sentito sabotate le radici della propria identità. Il futuro che stava fondando, in lei valeva meno del passato. Le persone sono strane. A quattro anni, non ero probabilmente prossima al matrimonio, né avevo intenzione di richiedere documentazione alcuna circa la mia propria ascendenza: quello di Madre fu uno scrupolo decisamente precoce, ma ho sempre compreso con sincera adesione il conflitto che la indusse in errore”.
Questa rivelazione ebbe peso solo sulla vita di Ione, sui suoi nervi e le conseguenze sono sotto gli occhi del lettore.
Da quel momento qualcosa si ruppe nel loro rapporto, da parte della madre
“…non credette più al mio Amore. Come chi si sia frettolosamente denudato e non possa più tornare indietro. Quello che è stato visto, è stato visto”.
Tra le pagine fotografie, ritagli di giornale, frasi di canzoni, ricordi di eventi epocali (nube tossica partita dall’ICMESA di Meda, seguita dieci anni dopo da quella di Chernobyl), l’incontro con Ornella Muti.
Nessun periodo lungo, se non pochissimi. Capitoli brevi, momenti intensi tratteggiati, dichiarazioni d’amore incondizionato verso quella mamma professoressa, così sorridente in quelle fotografie mentre stringeva a sé la piccola Maria Grazia.
Leggendo questo libro, e anche ascoltandolo (su audible potete ascoltare la voce della Calandrone, è lei stessa che legge) con quelle pause ad effetto, quelle parole scelte al posto di altre, ho pensato a quei colpi di pennello che gettano sulla tela una macchia di colore che a poco a poco con l’acqua si apre ingrandendosi, mostrando tutte le sfumature che la sola pennellata, all’inizio, non rivelava.