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Letteratura italiana

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La presentazione e le recensioni di Quota Albania, opera di Mario Rigoni Stern, edita da Einaudi. Un anno di guerra: la primavera degli anni 1940 e 1941, due campagne militari, quella di Francia e quella di Grecia, ricostruite attraverso due taccuini fortunosamente scampati alle vicende belliche. Il lungo anno si perde tra la neve, il fango, le morti silenziose, le rare lettere azzurre che una ragazza scrive dal Veneto all'alpino Rigoni. Gli fa da coro una piccola folla di compagni e di superiori, intrappolati in quello stesso viaggio assurdo.



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Quota Albania 2014-07-15 06:07:19 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    15 Luglio, 2014
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Il primo anno di guerra

Dall’autore di Il sergente nella neve, romanzo celeberrimo sull’esperienza dello stesso nel corso della tragica ritirata di Russia, questa nuova opera é la ricostruzione di un anno di guerra, dalla primavera del 1940 a quella del 1941, con due campagne militari, quella di Francia e quella di Grecia.
Lo stile scarno, quasi essenziale, rende ancor più drammatiche le scene belliche, soprattutto quelle sui monti innevati dell’Albania, e testimonia ancora una volta di più la follia di un regime, del tutto impreparato a un conflitto moderno, ma che volle egualmente prendervi parte per poter sedere con pochi morti al tavolo della pace. E invece, come sappiano, la guerra non fu breve e le vittime furono tante, anche sul fronte greco-albanese.
La narrazione di Rigoni Stern, frutto sue delle annotazioni su due taccuini in questo primo anno di guerra, evidenzia la rassegnazione del soldato italiano a cui si è sempre chiesto troppo in cambio di poco o niente. Le lunghe marce nella neve, il fango che tutto inghiotte, il freddo, la fame, le precipitose ritirate rivivono in queste pagine, non di rado commoventi, anche se l’autore non calca il piede sull’acceleratore dell’emozione; però, si tratta di vita vissuta, di patimenti provati veramente, anche se inferiori a quelli della disperata ritirata di Russia, e quindi il lettore finisce con l’essere coinvolto emotivamente.
Rigoni Stern non giudica, osserva, annota, si sofferma di tanto in tanto sulla bellezza di quella natura a lui tanto cara, pause di poesia nel fragore degli scoppi e delle urla dei feriti. È già evidente la sfiducia nei confronti di un governo dispotico e anche fellone, ma ciò nonostante questi uomini, che lottano ogni minuto, con armamenti e vestiario inadeguato, compiono il loro dovere di soldati e, soprattutto, di alpini.
Non c’è odio nei confronti del nemico, dal volto sempre anonimo e si uccide per non essere uccisi, senza eroismi se non quello di una continua quasi inimmaginabile sopportazione della fame, del freddo e delle fatiche.
L’autore, che è un portaordini, corre su e giù per questi monti, spesso la notte, ma a volte anche di giorno e negli orari più impensabili, perché gli ordini del comando devono essere trasmessi, in mancanza di radio funzionanti bloccate dal gelo. È giovane e non stima ancora il pericolo, tanto che il suo comandante, un colonnello che ama bastonare i sottoposti, ma che ha già capito che la guerra sarà per tutti un’immensa tragedia, un giorno paternamente gli dice:
“Io sono ormai vecchio. Tu sei un ragazzo. Devi vivere”.
Le poche notizie da casa, le lettere che non arrivano più da una ragazza di Venezia di cui è innamorato - ma che non fa per lui secondo i genitori di lei, di ceto sociale ben più elevato -, l’amicizia virile che aiuta a tirare avanti, il disprezzo per la viltà delle camicie nere che fuggono davanti al nemico senza combattere, la gioia che si prova quando tutti insieme ci si può mettere intorno a un fuoco a mangiare qualcosa, magari solo delle pannocchie di granturco, sono tutti momenti che rivivono in queste pagine, e sono talmente ben descrittii che il lettore ha l’impressione di essere presente.
L’opera è molto bella, anche se leggermente inferiore a Il sergente nella neve, ma tutte le eccelse qualità di scrittore di Rigoni Stern emergono nitide facendo sì che la lettura sia sempre gratificante.

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