Proust e gli altri
Letteratura italiana
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Proust e Alessandro
«È di lui che vorrei parlarvi. Della sua centralità nella vita di tanta gente come me, di come ha contribuito a cambiarcela, ma anche di come è riuscito ad avvelenarla ben benino e per sempre. Perché, occorre esserne consapevoli, quando ti entra dentro non ti lascia più in pace.»
Avvicinarsi ad autori del calibro di Marcel Proust non è semplice. Se da un lato ne siamo profondamente attratti, dall’altro ne siamo anche respinti. Un sentimento ambivalente che spesso sfocia in una forma di attrazione rocambolesca che porta ciascun lettore a chiedersi perché Proust affascini così tanto, perché Proust non abbia affascinato. Alessandro Piperno cerca di comprendere e analizzare quelli che sono in particolar modo gli effetti affascinanti della prosa proustiana sul lettore e per farlo decide di partire dalla biografia, scandagliandola, analizzandola in più aspetti e retroscena, partendo, a voler essere ancora più precisi, dal suo incontro con l’autore. Piperno si trova all’ultimo anno di liceo quando riceve per Natale da un amico, Roberto, un librone blu: il primo volume de “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust con traduzione da parte di Giovanni Raboni per i Meridiani Mondadori.
Un po’ come per ogni battesimo, Proust non si dimentica. E un po’ come quando accade con la scelta di una macchina, non siamo noi a scegliere ma è la macchina/libro a scegliere noi, a chiamarci. Quante volte ci sarà capitato di trovarci tra le mani un libro di un determinato autore così, quasi per caso, perché attratti da un quel qualcosa che nemmeno noi sappiamo ben spiegare.
Ed ecco allora che ci immergiamo in un Proust adulto e recluso, ipocondriaco e snob, segregato nella propria stanza, insonne e affiancato dalla fida governante. Conosciamo il Proust che vuol farsi conoscere, il Proust che vuole mostrare un determinato volto. Altresì conosciamo un Piperno che non vuole abbandonarsi, per ingenuità e/o romanticismo, al mito di uno scrittore che si contrappone con un alter ego.
Piperno ci invita alla riflessione, all’interrogazione, all’interpretazione. Chiede al lettore di farsi una propria idea, di custodirla e di condividerla una volta che questa ha preso forma. C’è un profondo orgoglio nell’essere proustiani che trapela da queste pagine, ne emerge anche un vero e proprio identikit proustiano.
«La verità è che sono un proustiano, e lo sono dalla testa ai piedi. In quanto tale, seguace di una vera e propria consorteria che annovera tra i suoi adepti individui tra i più disparati, e non tutti raccomandabili.»
Piperno si sposta poi a quelle che sono le tematiche trattate da Proust e che oscillano tra l’ebraismo, la moralità, la morte, la moralità, la letteratura e il suo ruolo nel nostro vivere. Pone in essere anche un vero e proprio parallelismo tra realtà proustiana e società attuale scandagliando quelli che sono i punti in comune ed evidenziando quelli che sono i punti di distanza tra lo ieri e l’oggi.
Nella seconda parte del componimento, ancora, Piperno accosta Proust a Montaigne, Céline, Nabokov, Balzac, Dante, Virginia Woolf, Roth. Per ogni coppia è evidenziata la tesi e l’antitesi, il parallelismo positivo e il parallelismo in negativo, l’ammirazione (come nel caso della Woolf), la differenza e distanza (come nel caso di Céline ma anche Balzac).
In conclusione Piperno con “Proust senza tempo” dona ai lettori uno scritto che porta il lettore a conoscere meglio Marcel Proust ma che al contempo perde un poco di quella che è l’essenza del saggio. Si evince l’amore del narratore contemporaneo per il narratore del passato ma si tende ad eccedere. Il risultato è un saggio “spuntato”, che perde di mordente perché troppo soggettivo e poco oggettivo. Quell’entusiasmo di Piperno sdubbia, finisce con il lasciare perplessi e rischia di suscitare nel lettore un effetto inverso, di allontanamento e non di vicinanza.
Un libro dai grandi intenti e le armi senza punta. Può conquistare il lettore già avvezzo all’opera proustiana per cameratismo ma finisce con l’essere di nicchia non riuscendo a coinvolgere completamente anche il conoscitore sommario, prossimo, novizio o anche appassionato ma con riserva. Un saggio non saggio.
«Nell'eterodossa famiglia di lettori (categoria umana non sempre simpaticissima), i proustiani si distinguono per una singolare inclinazione allo snobismo e all'idolatria. Se da un lato sono soliti guardare dall'alto in basso chiunque non abbia finito la Recherche, dall'altro considerano un dovere patriottico visitare almeno una volta nella vita i luoghi proustiani (case di campagna, alberghi di mare, cattedrali), con lo spirito del pellegrino che si reca in Terra Santa.»
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- sì
- no
Spero sia la scheda giusta
Proust senza tempo perché è intramontabile? Un’opera letteraria che segna con la sua cifra stilistica e contenutistica una svolta nel canone letterario senza che nessuno possa sovvertirlo in futuro facendolo biecamente coincidere con il gusto di un’epoca? O ancora un letterato capace di fare del tempo la sua cattedrale perdendosi al suo interno e annullandone di fatto la dimensione, azione del tutto congrua alla stessa idea di letteratura?
Potrei rispondere accogliendo tutte queste suggestioni, di fatto quando si è davanti a Proust penso che nulla possa essere percepito come giusto, definitivo, certo: occorre indubbiamente aprirsi ad un’altra dimensione, quella di un’intimità trascesa in opera d'arte, capace per questo di attenersi al requisito minimo delle vere opere letterarie ovvero all'estrema apertura interpretativa che esse possono generare.
Al di là di questi dubbi amletici che Piperno ha scatenato in me con la scelta del suo titolo, tutto il resto è risultato estremamente gradevole, dall'accettazione di uno scritto che trasuda modestia senza scadere nella captatio benevolentiae, alla curiosità che accompagna la lettura di una cronistoria della passione dell’autore per Proust, tutta individuale ma dalla forte portata e che scaturisce da un semplice processo di immedesimazione tipico del lettore forte, all’apprezzamento infine delle citazioni della Recherche utili a sostenere di volta in volta le argomentazioni prodotte. Quali siano le tesi, è presto detto: Proust ha creato uno stile inedito prima di lui, musicale, necessario per “dare sostanza ai ricordi che lo assediano” e che faranno di lui un artista; tuttavia ciò non deve portare a credere che egli si sia annullato nella letteratura perché la vera vita, a dispetto di quella famosa citazione in cui il nostro farebbe coincidere la vita vera con la letteratura, è quella casistica amorfa ai quali tutti siamo sottoposti vivendo, come capita a qualunque uomo che sul limitare della vita si arrovella a cercarne un senso. Molto interessante allora l’operazione che fa Piperno che appunto argomenta rimpicciolendo questo mostro sacro della letteratura all’essenza di un uomo, operazione ben difficile vista la mitizzazione a cui è ancora oggi sottoposto a cento anni esatti dalla sua morte. Marcel Proust era un borghese infiltrato nei decadenti salotti della nobiltà, ben consapevole della sua portata sociale prossima allo zero ma capace di inserirsi in quel mondo, rappresentandolo e vivendolo in trasposizione letteraria più che nella realtà frequentata solo con il fine di attingerne l’essenza, creando così una sovrapposizione della persona e del narratore capace di generare curiosità intorno al suo nuovo sé travasato nella dimensione del mito. Tesi affascinante, indubbiamente.
Le disquisizioni continuano con brevi capitoli dedicati alle “ossessioni romantiche di un cinico impenitente” agli “esercizi di seduzione” affinati da Proust per ammaliare noi lettori, allo snobismo e all’idolatria quali atteggiamenti tipici del proustiano perfetto, per arrivare poi a tratteggiare i difetti della voce narrante e la sua necessaria e reale imperfezione: egli è semplicemente, nella sua sostanza, un uomo ”gretto, mediocre, vendicativo, chiuso nella sua impenetrabile torre d’avorio”. Mi ha fatto vedere un altro Marcel e lo ringrazio. La seconda parte dello scritto è poi una raccolta di saggi che mi hanno deliziato ancor di più, una serie di accostamenti di Proust ai grandi della letteratura e non solo francese: Montaigne, Céline, Balzac, Nabokov, Dante, Virginia Woolf e persino Philip Roth. Sezione ricca di suggestioni che trasuda fine competenza critica senza mai appesantire la lettura.
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Il nostro piccolo Marcel
“ (…) quando la Recherche mi capitò per le mani avevo già alle spalle diverse letture entusiasmanti. Avevo passato al setaccio - come avviene nell’età delle grandi scoperte artistiche - i russi, i vittoriani, i realisti francesi. (…) L’esperienza che mi stava regalando la Recherche era di tutt’altra natura. Come se la sua lenta, fatale, velenosa assimilazione titillasse un senso che non sapevo neppure di avere”.
“Proust senza tempo”: un titolo che afferma negando, un vero ossimoro. Lo scrittore che ha dedicato al Tempo e alla memoria del tempo tutte le sue energie per costruirgli una cattedrale, è in realtà, come Piperno ci dimostra in questo libro, un autore che travalica i limiti di quel tempo, diventando eterno modello dei grandi scrittori.
L’opera non si presenta come un saggio accademico, anche se la seconda metà, annunciata da una “Avvertenza”, raccoglie saggi scritti in occasioni diverse che Piperno definisce “esercizi di ammirazione”: è così che vorrebbe che noi, comuni lettori o studiosi patentati, li considerassimo.
Una struttura così pensata, lungi dal creare disarmonie, ha lo scopo di raccontare “la storia di una lunga fedeltà”, una dichiarazione d’amore, un amore che, superata la primitiva fase di pura esaltazione e di giovanili entusiasmi, è diventato più consapevole e maturo, ma non per questo meno intenso.
“Diciamo che con il trascorrere degli anni è cambiata la natura dello stupore che mi provoca”.
È la storia di chi comincia a leggere Proust a diciassette anni, grazie al dono di un compagno di studi, e finisce poi per insegnarlo all’Università.
Alessandro Piperno, scrittore affermato, vincitore con il suo romanzo di esordio “Con le peggiori intenzioni” del Premio Campiello nel 2005, è infatti professore di letteratura francese all’Università Torvergata e cura la collana I Meridiani Mondadori.
L’opera non poteva non cominciare con una breve riflessione sull’importanza che riveste il Tempo nelle nostre vite e nella letteratura e introdurci così l’autore che forse più di tutti ha fatto di esso il nucleo centrale della sua opera.
“(…)a cinquant’anni suonati, la maggior parte dei quali trascorsi a leggere romanzi, e a scriverne, una cosa ti pare di averla imparata: il Tempo per la narrativa è come l’ossigeno per l’essere vivente, questione di vita o di morte”.
“Proust senza tempo” è un libro piacevolissimo, ogni lettore del grande autore francese dovrebbe leggerlo, senza timore di imbattersi in complicate esegesi accademiche oppure in opinioni divisive come è capitato ad un libro di Piperno pubblicato nel 2000 per i tipi di Franco Angeli, “Proust l’antiebreo” (da cui ha preso le mosse il Brugnolo, ma non solo). E’ una sorta di debito che l’autore sente di avere da oltre trent’anni nei confronti di Proust “un debito inestinguibile”.
Piperno reintegra Proust nella sua totalità a dispetto di chi, come ad esempio Nabokov e Barthes, sosteneva di tenere ben separata l’opera dal mito del suo autore:
“Perchè rinunciare all’incantesimo che il mito di Proust continua ad esercitare? (…) chiamatemi ingenuo, accusatemi pure di melensaggine, ma scordatevi che alla mia età mi privi del piacere romantico di sovrapporre il destino di Proust a quello del suo alter ego. Sordo come sono a qualsiasi confessione religiosa, ho bisogno di credere che la vita si specchi benignamente nell’arte”.
Ma come si fa a contraddire uno studioso così sincero e appassionato? Come si fa a non commuoversi talvolta di fronte a certe confessioni di chi veramente ha vissuto e creduto - fede assolutamente ben riposta - nell’autore che ha raccolto e condensato il senso dell’intera tradizione letteraria francese da Hugo a Balzac ?
E devo dire inoltre che anche riguardo al presunto antisemitismo di Proust su cui Piperno torna più volte, sia nella prima parte del libro che in uno dei saggi, trovo assolutamente degne di rilevanza le argomentazioni dello scrittore romano e questo non soltanto per la sua autorevolezza e la sua competenza in merito a Proust, ma anche per la sensibilità che egli mostra per questa questione che gli sta veramente a cuore, vivendo lui stesso sulla propria pelle questa situazione anomala di chi vive “coi piedi in più staffe”: Piperno ha origini ebraiche.
A distanza di più di vent’anni dal libro controverso “Proust l’antiebreo”, egli ammette di avere adesso una posizione più morbida, ma tuttavia si dichiara convinto di un particolare “imbarazzo”, una sorta di inadeguatezza, inettitudine in chi è mezzosangue.
“E’ tipico degli ibridi, dei bastardi, percepire e portare sulle spalle il peso di questa contesa ancora irrisolta”.
Avrei tantissimi passi ancora da citare, il mio testo è pieno zeppo di sottolineature colorate, post it imbrattati e adesivi segnapagine che fanno del libro un curioso oggetto con la frangia, ma non si può.
Una parola sui saggi: sono scritti pregiati, che oltre ad essere veramente interessanti, sono -qualità rara nei testi accademici - scorrevolissimi e accessibili, adatti anche al lettore non specializzato.
In essi Proust viene affiancato ad altri mostri sacri come lui: Montaigne, Nabokov, Virginia Woolf, Philip Roth, Dante, Balzac . Piperno coglie con arguzia nel binomio vita-arte i tratti in comune che Proust ha con questi autori e le loro opere, indipendentemente dal periodo storico in cui sono vissuti.
Perché l’opera di Proust è senza tempo.