Parla, mia paura Parla, mia paura

Parla, mia paura

Letteratura italiana

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Poche volte come in questo libro il dolore diventa carne viva e incandescente, racconto sincero di un'esperienza che nasce autobiografica e si fa subito universale. Simona Vinci si immerge nella propria paura e cerca un linguaggio per confessarla. L'ansia, il panico, la depressione spesso restano muti: chi li vive si sente separato dagli altri e incapace di chiedere aiuto. Ma è solo accettando di «rifugiarsi nel mondo» e di condividere la propria esperienza che si sopravvive. La stanza protetta dell'analista e quella del chirurgo estetico, che restituisce dignità a un corpo di cui si ha vergogna, l'inquietudine della maternità, la rabbia della giovinezza, fino allo strappo iniziale da cui forse tutto ha avuto origine. Scavando dentro sé stessa, Simona Vinci ci dona uno specchio in cui rifletterci. Si affida alle parole perché «le parole non mi hanno mai tradita». Perché nella letteratura, quando la letteratura ha una voce così nitida e intensa, tutti noi possiamo trovare salvezza.



Recensione della Redazione QLibri

 
Parla, mia paura 2017-12-06 14:28:17 Vincenzo1972
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    06 Dicembre, 2017
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Quando arriva l'ora del lupo

"Parla, mia paura"
E' un'incitazione, imperativa come un ordine ma al contempo disperata come una preghiera, quella che l'autrice rivolge a se stessa o, meglio, a quella parte di lei che abita in lei, coinquilina indesiderata, fastidiosa e relegata in un angolo, isolata e celata a tutti.
Quasi fosse un peccato, una perversione, un segreto da occultare al mondo: perchè nessuno potrebbe capire, gli altri sanno solo giudicare, condannare o talvolta incoraggiare, spronare con parole di conforto che in realtà sconfortano più di prima, perchè solo chi prova può sapere, solo chi convive ogni giorno con la paura può comprendere questo stato d'animo.
E Simona Vinci è una di queste persone. Simona Vinci soffre di depressione, ne ha sofferto per molto tempo, ora ha imparato a conviverci, a non lasciarsi sopraffare, perchè è il massimo a cui si possa sperare, inutile infatti illudersi che la depressione possa essere sconfitta definitivamente.
La sua depressione è cominciata proprio con la paura, paura di tutto, 'Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. Paura dei cinema, dei supermercati, delle poste, delle banche. Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate. Paura di corde, lacci, cinture, scale, pozzi, coltelli. Paura di stare con gli altri e paura di restare sola.'
Frequenti attacchi di panico che hanno disintegrato le sue relazioni sociali, ostacolato il suo lavoro e ridotto la sua vita ad un misero arrancare, un faticoso ed estenuante tentativo di superare l'oggi per arrivare al domani.
Ma Simona non si è arresa ed in questo libro non solo confessa il suo demone interiore ma lo esorcizza: l'unico modo per indebolirlo è proprio attraverso la parola, l'unico modo per vincerlo è accettarlo, riconoscerlo e raccontarlo.
"Ecco il trucco, la magia: non chiudere, apri. Non nasconderti, mostrati. Non tacere, esprimiti. Se hai paura, chiedi aiuto."
E' un racconto forte, toccante: nelle prime pagine, quelle in cui l'autrice descrive la lenta e progressiva evoluzione della sua malattia, si avverte prepotentemente il senso di disperazione di una donna sull'orlo del baratro, alimentato peraltro dalla consapevolezza che quel baratro sarà sempre lì, dinanzi ai suoi occhi, e che nessuno potrà mai allontanarla da quella condizione di precario equilibrio con la paura assillante, martellante, di cadere, di sprofondare. E quando la paura non lascia tregua allora si può persino desiderare che accada una volta per tutte, si può persino sperare di cadere per porre fine a tutto.
"C'è chi legge il suicidio come un implacabile atto di accusa verso gli altri. Non so se crederci, perchè quando è capitato a me, di essere sul punto di saltare, gli altri erano scomparsi: c'ero io, da sola, e tutto quello che volevo, tutto quello che provavo era di essere qualcosa che voleva finire."
E' una donna che si racconta ma ciò non implica necessariamente che questo libro sia rivolto in modo esclusivo alle donne: certo una donna potrà più facilmente immedesimarsi in alcuni stati d'animo tipici del genere femminile perchè, per esempio, legati al periodo della gravidanza o a quel senso di insoddisfazione verso il proprio corpo (o parti di esso) che sfocia poi nell'intervento di chirurgia plastica estetica, con tutti i risvolti psicologici che comporta.
"La chirurgia estetica non ha a che vedere soltanto con lembi di pelle, fasce muscolari, strati adiposi e protuberanze ossee, ma lavora su strati della coscienza individuale intangibili eppure determinanti. Ogni volta che un bisturi incide e rimodella un corpo scolpisce anche una mente e un'interiorità e bisogna considerare con attenzione quale possa essere l'impatto sulla psiche della trasformazione morfologica che la chirurgia plastica opera."
Tuttavia, da uomo, ho apprezzato molto il coraggio e la caparbietà di questa donna che ha messo a nudo se stessa, la sua parte più intima, le sue debolezze e fragilità, senza alcuna remora o autocensura, andando quasi controcorrente, sfidando una società che celebra i più forti, i vincenti e ripudia i più vulnerabili.
Facendo parlare la sua paura, Simona Vinci ha non solo aiutato se stessa ma chiunque stia vivendo il suo stesso disagio, fornendo preziosi consigli che sono àncore di salvataggio nel mare profondo che la depressione crea intorno a chi ne soffre: perchè - inutile negarlo - nonostante sia stata riconosciuta come una malattia con un'incidenza altissima nella popolazione mondiale su una fascia ampia ed eterogenea di età, viene spesso considerata come una colpa di cui vergognarsi, come un problema esistenziale sintomo di insicurezza e debolezza.
"Ho deciso di scrivere questo resoconto di un periodo difficile della mia vita e di un disagio esistenziale che mi appartiene, e probabilmente in vario grado mi apparterrà per sempre, perchè avevo bisogno di perdonarmi e al tempo stesso di offrire ad altri che abbiano vissuto o vivano qualcosa di simile, la possibilità, se non di immedesimarsi, almeno di cogliere un riflesso di sè nelle mie parole."
Ma se da un lato è importante parlare, lo è altrettanto saper ascoltare: tanto più se diventa indispensabile saper ascoltare anche i silenzi, le parole non dette, soffocate, saper interpretare atteggiamenti e stati d'animo 'di facciata' che mascherano sotto una parvenza di normalità un profondo disagio interiore.
Bisogna saper ascoltare per poter offrire un valido aiuto all'amico, alla compagna, a chiunque soffra di depressione: per riempire il buco, quel vuoto che si crea nella loro mente e nel loro cuore. In fondo la depressione annienta come il mal d'amore, bellissima la frase tratta da una canzone dei Soundgarden, "I'm the shape of the hole inside your heart".
E direi che da questo punto di vista il libro di Simona Vinci acquista una valenza universale, sia per il genere maschile sia per quello femminile.
"Ogni giorno usciamo di casa e qualcosa di terribile potrebbe accaderci. Ogni giorno ci alziamo dal letto e sappiamo che potremmo morire. L'unico potere che abbiamo è tentare di vivere al meglio il presente senza farci annientare dal terrore del futuro. L'unico potere che abbiamo è continuare a cercare lo sguardo degli sconosciuti senza vedere in loro dei nemici, ma sperando di trovare degli amici. L'unico potere che abbiamo è fidarci della nostra immaginazione e cercare di guidarla verso pensieri positivi, anche quando stiamo attraversando una selva oscura: il buio può parlare e non è detto che le sue siano soltanto parole dolorose."

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Parla, mia paura 2018-02-17 18:32:30 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    17 Febbraio, 2018
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Il potere salvifico della parola

Simona Vinci scrive Parla mia paura: un’esperienza autobiografica, che assume una valenza universale. L’ansia, il panico, la depressione spesso restano uniti, solo accettando di condividere l’esperienza si sopravvive. La Vinci si affida alle parole perché
“non mi hanno mai tradita”.
Si immerge nella paura e cerca un linguaggio per confessarla. Descrive la sensazione di soffocamento, di terrore che paralizza, una tempesta di stati di animo:
“la paura delle automobili, delle luci troppo forti, dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi o troppo aperti, paura di stare con gli altri o di restare sola.”.
Il linguaggio è crudo e diretto nel raccontare un’esistenza tra attacchi di panico e depressione. Parla del declino, dei momenti più duri della malattia ma anche di quando ha deciso che la paura non doveva vincere. E’ un viaggio scarnificante nell’anima, la Vinci ritiene che la parola non sia il mezzo per raggiungere la soluzione, ma la soluzione stessa. Tra il memoir e il manuale di auto aiuto combatte “il luogo nero, il fantasma che striscia sul pavimento della soffitta.” Chi ha una fede trova spiegazione nella logica celeste, la Vinci crede solo nella scrittura. Questo libro dolente invita a far luce sui mostri invisibili della depressione. In un soliloquio parla alla sua coscienza, alle canzoni generazionali di Chris Cornell, a un amico che non c’è, di un dolore giovane e di una malinconia curata male con l’imbarazzo del silenzio, parla di un figlio non desiderato, poi compreso. Un libro con la musica e i colori, tinto dalle parole, dalla loro sonorità. Scavando dentro se stessa ci dona uno specchio in cui rifletterci: nella letteratura dalla voce nitida ed intensa, tutti possono trovare salvezza. Consapevole della lezione di Plutarco secondo cui la lingua è fortuna o destino, divinità o demone, ha usato parole che hanno aperto varchi e l’hanno salvata.

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