Nessuno può volare
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Librarsi nel cielo delle imperfezioni
Simonetta Agnello Horby è una donna dalle mille sfaccettature. Infatti, oltre ad aver esercitato per anni la professione di avvocato, è una scrittrice di notevole successo. Ha firmato testi, che hanno profondamente segnato il panorama letterario, quali: La Mennullara, La zia marchesa, Boccamurata, Vento scomposto, La monaca, Il veleno dell’oleandro, Caffè amaro. Ora con la casa editrice Feltrinelli pubblica Nessuno può volare, un romanzo autobiografico in cui si confronta con la grave malattia che ha colpito George, suo figlio, oltre che ad argomentare argute e serie considerazioni, anche legali, circa la disabilità e la malattia in generale. E’ un “memoir” molto personale di una famiglia, la sua, che di “normale” pare avere molto poco. Inoltre Nessuno può volare è anche un docu-film, girato con il figlio George, per laeffe.
Un episodio poetico e, al contempo, tragico simboleggia meglio di chiunque altro il contenuto di questo libro: l’autrice è appena venuta a conoscenza in che consta la malattia che distrugge suo figlio George. La diagnosi è infausta e paralizzante: sclerosi multipla primaria e progressiva. Lei è a casa con la piccola nipote Elena che, ignara della tragedia, gorgheggia seduta su un tappettino. Ad un certo punto:
“un piccione marrone e bianco, appollaiato su di un ramo, in alto, ci guardava curioso. (…) Un fruscio di penne e volò via; si librava in alto, magnifico, ad ali spiegate. Bastò quel volo nel cielo alto di Londra a riportarmi alla realtà. Tutti gli uccelli sanno volare, ma nessun essere umano ci è mai riuscito. Nessuno. Nessuno può volare.”
Ed ecco spiegata l’irruzione della malattia all’interno di questa famiglia serena e benestante. Cambia, inevitabilmente, i tempi e le configurazioni della stessa. Ma:
“era anche una sfida. Come noi non possiamo volare, George non avrebbe più potuto camminare: questo non gli avrebbe impedito di godersi la vita. Nella vita c’è di più del volare, e forse anche del camminare. Lo avremmo trovato, quel di più.”
L’accettazione della malattia e della disabilità hanno, sicuramente, delle radici profonde all’interno della famiglia stessa dell’autrice. Ce lo racconta molto bene. Infatti nella sua dinastia, di origine siciliana, ognuno dei componenti ha le proprie caratteristiche, mentali e fisiche- talvolta anche bizzarre- ma sono tutti uguali e tutti inseriti in una società che riconosce, con rispetto e costanza, il loro ruolo. Emerge prepotente nella narrazione una costante decisa: il rispetto per il disabile, per il malato. Assoluto, forte, indiscutibile. Sempre ed in ogni caso. Anche nella terminologia stessa con cui si rivolge a loro c’è sempre, anche se a volte sotteso, un che di onorevole. Ed ecco che allora:
“con naturalezza di un cieco si diceva “non ci vede bene”, del claudicante “fa fatica a camminare”, dell’obeso “è pesante”, dell’invalido “gli manca una gamba”, dello sciocco “a volte non capisce”, del sordo “con lui bisogna parlare ad alta voce”, senza mai pensare che si trattasse di difetti o menomazioni. “
L’autrice ci fornisce una serie di ritratti, atti a comporre quel puzzle gigantesco che è la diversità, e che addentrano il lettore sempre più all’interno di questo formidabile nucleo familiare. Ed è così che facciamo conoscenza della cugina Ninì, sordomuta, della bambinaia Giuliana, zoppa e claudicante, abbandonata dal marito, del padre affetto da osteomielite, della prozia Rosina, affetta da una cleptomania che la porta a rubare posate e coltelli, che immancabilmente, le venivano sfilati dai grembiuli. Ognuno di essi è catturato all’interno della propria quotidianità, con affetto sincero e profonda gratitudine.
Infine si torna al figlio George, di cui alternativamente alla madre, conosciamo opinioni e traversie, sofferenze e percorsi di vita. Una voce mai lamentosa, anche di fronte alle asprezze e alle durezze della malattia, a volte ironica e sagace. George ama la vita e non smette mai di amarla, l’apprezza e la vive appieno, in ogni istante ed in ogni attimo. Descrivono entrambi un viaggio percorso da loro due che conduce per mano il lettore partendo dai parchi e dalle bellezze di Londra fino a Siena, Firenze, Milano, Napoli, Roma per terminare in quella Sicilia degli avi bella, decantata e sorridente. Un viaggio che è:
“anche e soprattutto un volo al di sopra di pregiudizi e luoghi comini, per consegnarci, insieme a storie molto toccanti, uno sguardo nuovo, più libero.”.
Un libro forte, intenso nella disabilità, con occhi nuovi e differenti. Una prospettiva di lettura che aiuta all’accettazione, alla comprensione, al mutuo soccorso inteso non come atto di mera pietà, ma di assoluto e rigoroso rispetto.