La vita che si ama La vita che si ama

La vita che si ama

Letteratura italiana

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«Qui sono proprio io», scrive Roberto Vecchioni: e questo è davvero il suo libro più intimo, più autobiografico e urgente. Il libro in cui l’idea stessa della vita e della felicità, il senso del rotolare dei giorni, trova forma di racconto. Perché i momenti più belli o più intensi della nostra esistenza brillano nella memoria: sono luci che abbiamo dentro e che a un tratto sentiamo il bisogno di portare fuori. Magari per i nostri figli, e per tutti quelli che hanno voglia di ascoltare.



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La vita che si ama 2016-07-19 01:44:35 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    19 Luglio, 2016
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Quello di oh oh cavallo?

Roberto Vecchioni rappresenta “La vita che si ama” in racconti e versi dedicati ai figli.
I racconti talvolta traggono spunto da (e distorcono) esperienze reali, ispirate dalla vita del docente e del cantautore.

Al primo profilo (quello dell’insegnante) appartiene un episodio nel quale Vecchioni, presidente di commissione d’esame di maturità, con sensibilità paterna combatte la caparbia volontà di autodistruzione di uno studente deluso (“Mi ha chiesto se Orfeo era sceso agli inferi più per sconfiggere i dèmoni che per riprendersi Euridice”) e lo induce a reagire facendo propria l’interpretazione che Cesare Pavese diede al mito di Orfeo nei Dialoghi con Leucò. In un altro racconto (Il biliardo di Chomsky) il compositore di “Luci a San Siro” (canzone della quale in questo libro viene narrata la genesi) affronta la confessione di un altro studente, che confida al professore, esperto di tragedie greche, di essersi innamorato… della sorella.

Quanto alla seconda dimensione ne “La barzelletta di Dio” l’artista (“Quello di oh oh cavallo?”) ricorda il divertente equivoco nel quale incappò in occasione di un’audizione dal papa.

L’opera potrebbe essere assimilata a un diario intimistico, spesso sdrammatizzato, dei rapporti con i familiari. Ci sono tutti: i figli, la moglie, la mamma e il padre Aldo che in “Duplice accoppiata” scrittura il figlio (“Noi Vecchioni”) per un’impresa improbabile: recuperare un biglietto vincente incautamente buttato nell’ippodromo di Anagni…

Giudizio finale: autobiografico, prosastico e poetico al tempo stesso.

Bruno Elpis

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Roberto Vecchioni rappresenta “La vita che si ama” in racconti e versi dedicati ai figli.
I racconti talvolta traggono spunto da (e distorcono) esperienze reali, ispirate dalla vita del docente e del cantautore.

Al primo profilo (quello dell’insegnante) appartiene un episodio nel quale Vecchioni, presidente di commissione d’esame di maturità, con sensibilità paterna combatte la caparbia volontà di autodistruzione di uno studente deluso (“Mi ha chiesto se Orfeo era sceso agli inferi più per sconfiggere i dèmoni che per riprendersi Euridice”) e lo induce a reagire facendo propria l’interpretazione che Cesare Pavese diede al mito di Orfeo nei Dialoghi con Leucò. In un altro racconto (Il biliardo di Chomsky) il compositore di “Luci a San Siro” (canzone della quale in questo libro viene narrata la genesi) affronta la confessione di un altro studente, che confida al professore, esperto di tragedie greche, di essersi innamorato… della sorella.

Quanto alla seconda dimensione ne “La barzelletta di Dio” l’artista (“Quello di oh oh cavallo?”) ricorda il divertente equivoco nel quale incappò in occasione di un’audizione dal papa.

L’opera potrebbe essere assimilata a un diario intimistico, spesso sdrammatizzato, dei rapporti con i familiari. Ci sono tutti: i figli, la moglie, la mamma e il padre Aldo che in “Duplice accoppiata” scrittura il figlio (“Noi Vecchioni”) per un’impresa improbabile: recuperare un biglietto vincente incautamente buttato nell’ippodromo di Anagni…

Giudizio finale: autobiografico, prosastico e poetico al tempo stesso.

Bruno Elpis
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La vita che si ama 2016-06-03 12:14:26 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    03 Giugno, 2016
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Tempo di bilanci nell'ancora attuale ricerca

Un’opera, quella di Vecchioni, fondata sull’intramontabile dogma della ricerca della felicità. Tanti gli episodi narrati; racconti autobiografici e storie talvolta inventate mixate a poesie in canzoni, con cui l’uomo ripercorre gli anni di quella che è stata la sua vita e di quella che è la sua famiglia, di chi sono gli affetti più cari, i dolori e le difficoltà che ha dovuto affrontare, gli aneddoti più esilaranti della sua carriera di insegnante nonché di cantautore.
Sono vicende semplici, genuine, pieni di emozione. Piccole perle di scrittura in cui realtà e finzione si fondano tra loro commistionandosi. Ed al valore contenutivo dell’opera, si aggiunge quello stilistico caratterizzato da una penna erudita, ricercata, attenta alla qualità della sua prosa.
Un elaborato che nelle sue 158 pagine vi farà sorridere, sospirare, rivivere i tempi che furono, sognare. Un testo che se vi interessa per la tematica non vi lascerà delusi, al contrario non vi appassionerà particolarmente se questa non è di vostro gradimento.

«Ma non potevo capire, allora. Non potevo capire che quel diamante spartito agli addii e conservato tutte insieme nella tenerezza e nella forza delle sere e di un canto, non era solo un verbo, non era solo una ripicca infantile, lecita ma di poco conto, di un vecchio alle soglie della pensione, ma una grandissima metafora sulla povertà spirituale di ogni ignoranza, sulla terapia irrinunciabile della poesia umana inascoltata, derisa, minimizzata, ridotta a polvere.» p. 71

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