L'uva puttanella. Contadini del Sud
Letteratura italiana
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Un amore infinito
E’ ben strana la vita: come un narratore del calibro di Tomasi di Lampedusa fu portato a conoscenza dei lettori dall’opera di un altro grande autore, Giorgio Bassani, anche nel caso di Rocco Scotellaro, se non vi fosse stato l’interessamento di un grande artista, Carlo Levi, non avremmo mai potuto apprezzare le sue stupende poesie. Peraltro, quest’uomo, la cui vita fu intensa, ma eccezionalmente breve, essendo nato a Tricarico nel 1923 per poi morire a Portici nel 1953, si rivelò anche un eccellente narratore, con uno stile tutto suo personale, ma di grande efficacia. Così, grazie a Carlo Levi, dopo la scomparsa improvvisa di Scotellaro, fu possibile dare alle stampe L’uva puttanella, un romanzo autobiografico, nonché Contadini del Sud, uno studio sociologico sulla cultura dei contadini meridionali. Entrambe le opere sono proposte da Laterza riunite in un unico volume.
L’uva puttanella è quell’uva dagli acini piccoli costretti, per sopravvivere, a lottare con quelli più grossi, una metafora della condizione di chi lavora la terra in Meridione. Scritto in modo semplice, oserei dire perfino elementare, ricalca un po’ il parlato di quelle genti, con toni colloquiali che non appesantiscono, ma snelliscono il discorso. Ciò che emerge in tutta la sua forza è la grande insoddisfazione dei meridionali che si manifesta in uno spirito di ribellione, più che in una ribellione vera e propria, con uno stato talmente lontano da sembrare – ma in effetti lo è – assente. Non poche sono le pagine dedicate all’esperienza di carcerato dell’autore, richiuso in cella per motivi esclusivamente politici quando era sindaco di Tricarico e poi assolto in appello per non aver commesso il fatto. I compagni di galera, fatta eccezione per i delinquenti incalliti, che nascerebbero a qualsiasi latitudine, è costituita da sfiduciati verso uno stato che tutto toglie senza nulla dare e i reati sono di poco conto, sono infrazioni a norme di quell’autorità così lontana, come per esempio il contrabbando. Ci sono tanti personaggi che restano nel cuore, come Pasquale, l’artigiano pirotecnico, che ridotto in miseria e privato della casa si fa esplodere, o Zia Filomena, la baldracca del paese, un tempo, da giovane, bella, ma ora sfatta, o i braccianti, che hanno occupato la terra dei padroni e sono stati sbattuti in carcere, dove lentamente si consumano. E’ un Italia che si vorrebbe fosse diversa, un paese aperto al progresso e alla giustizia, ma purtroppo non è così e Rocco Scotellaro, innamorato della sua terra, strenuo difensore dei poveri contadini, ci fornisce un quadro che nella sostanza è così anche oggi.
Contadini del Sud è uno studio sociologico di rilevante valore che si estrinseca per lo più nelle interviste ad alcuni contadini, da cui apprendiamo la storia delle loro vite che hanno, come comune denominatore, la sfiducia nei confronti di uno stato o assente, o che pretende solo senza nulla dare. E’ gente umile, ma dignitosa, che parla senza levare un grido di dolore, ma di cui si avverte un senso di disagio per una situazione di cui non hanno colpa, perché l’essere poveri non può né deve costituire una colpa. E per finire un testo di struggente bellezza, scritto da Francesca Armento vedova Scotellaro, la madre di Rocco, che in poche misurate pagine, senza enfasi, senza pianti, racconta la vita del figlio fino a quel giorno del dicembre del 1953 della sua morte improvvisa. Si sa, le mamme sono sempre le mamme, e stravedono per i figli, ma in questa donna, che per tanti anni aveva fatto la levatrice, il ricordo dell’esistenza del figlio è solo l’occasione per imprimere nella mente una serie di immagini, per renderne partecipi gli altri, ma senza imposizioni, con un pudore a cui solo il riacutizzarsi di un’antica sofferenza per quella perdita può consentire di esprimersi liberamente, ma sempre con moderazione.
Da leggere, ci mancherebbe altro.