L'estate del '78 L'estate del '78

L'estate del '78

Letteratura italiana

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Un pomeriggio d’estate Roberto Alajmo incontra la madre in una strada di Mondello. Non può immaginarlo, ma quello è un addio. «Cos’abbia fatto lei, nei tre mesi successivi, ancora oggi non lo so. È oggetto della presente indagine». Prendere per mano i lettori, invitarli in casa, guardare assieme le foto dell’infanzia, raccontare la parte più inconfessabile di sé e della propria famiglia. Roberto Alajmo, nella sua opera più necessaria e personale, ha trasformato un materiale intimo e doloroso nel romanzo di una vita. Luglio 1978: lo scrittore è uno studente in attesa degli orali dell’esame di maturità, studia con i compagni a Mondello, vicino Palermo, e a fine giornata esce insieme a loro per riposarsi, rifiatare, mangiare un gelato. Una passeggiata di trenta metri e lì, seduta sul marciapiede, trova la madre. Lei lo guarda riparandosi dal sole con la mano. «Mamma, che ci fai qui?». È l’ultimo incontro tra Elena e suo figlio Roberto, il momento da cui scaturisce questo libro, l’investigazione familiare di uno scrittore su un evento che ha segnato la sua giovinezza e la sua maturità: l’esistenza intera. È la storia di un addio di cui il ragazzo non aveva avuto sentore, la ricerca di un senso per il commiato improvviso di una madre dal marito, dai figli, dalla vita stessa. Il ritratto di una donna che voleva afferrare il mondo, e il mondo le scappava dalle dita. Un dramma di disagio domestico come forse se ne consumavano tanti, in quegli anni, nel chiuso segreto degli appartamenti della borghesia italiana. È un racconto di grande originalità letteraria, attraversato da una suspense che a tratti toglie il respiro, da un’emozione attenta a trasformarsi in pensiero e parola, da un umorismo necessario ed elegante. Mai il lettore ha la sensazione di spiare dal buco della serratura il dolore altrui. E questo accade nonostante l’autore accompagni il testo con le foto di una famiglia come le altre, almeno all’apparenza. Alajmo condivide la sua indagine con noi, ci esorta ad appropriarci del suo passato, ad affrontare con lui il mistero del susseguirsi delle generazioni umane. «Statemi a sentire», sembra dirci. E non c’è altro che possiamo fare.



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L'estate del '78 2018-04-04 04:05:40 evelyn73
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evelyn73 Opinione inserita da evelyn73    04 Aprile, 2018
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la madre seduta sul marciapiede di una stradina

Racconto autobiografico, corredato da foto e da stralci di autentica corrispondenza di fine anni ’50 fra Elena e Vittorio (genitori dell’Autore), dove Alajmo ci rende partecipi del dramma che anni addietro ha colpito la sua famiglia: l’Autore ripercorre la storia e lo svilupparsi degli intrecci familiari, dove il nodo è costituito da un tragico evento accaduto nel ’78 e che non può non avergli segnato la vita. La prosa è scorrevole (il libro si può leggere in un solo giorno, massimo due), molti gli spunti di riflessione che l’Autore semina nel corso della narrazione, ad esempio i suoi pensieri sulla non consapevolezza dell’uomo dell’attimo esatto in cui egli è felice, la non consapevolezza dell’importanza dei piccoli gesti (le “Gioie Irrecuperabili”), la difficoltà di accomiatarsi dalle persone care, l’ineludibilità del fato, per cui non si può mai sapere quando sarà l’ultima volta che vediamo una persona …
Alajmo tratteggia nel corso del libro se stesso bambino, poi ragazzo, adolescente, quindi padre di Arturo, avuto dalla compagna francese.
Delicato il richiamo alla memoria di parenti (nonni i zii) di entrambi i rami familiari, protagonisti dei Natali di “Roberto bambino” trascorsi a casa della nonna; alcuni ricordi sono sfumati, ma intrisi di memoria olfattiva.
Alajmo ci racconta il ricordo a volte ovattato, a volte vivido, dei segnali di malessere che dava la madre Elena ancor prima del ’78; lui bambino innocente che spera, ad ogni dimissione della madre dalla casa di cura, di non vedere più i farmaci da cui la madre era divenuta dipendente …. riecheggia la sua adolescenza/prima gioventù, irrimediabilmente segnata dall’episodio in cui ha incrociato la madre per l’ultima volta - inconsapevole in quel momento che non ci sarebbero poi state mai più altre occasioni di vederla. Alajmo lenisce la sofferenza dell’essere umano con una vena di ironia nei suoi confronti, trova linfa vitale nella paternità, idea rifiutata in gioventù (tanto devastante fu il trauma), ma poi concretizzatasi poco prima del suo 35esimo compleanno con la nascita del figlio Arturo; quindi va oltre, aprendo il pensiero al suo divenire nonno, quasi angosciato all’idea che, in caso contrario, nulla di sé verrà lasciato ai posteri. Nel finale, a mio parere, emerge serenità, grazie all’avvenuta rielaborazione dei vissuti e alla riconciliazione con un passato tormentato.

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