Il più e il meno
Letteratura italiana
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Ricordi malinconici
Breve libro che di fatto è una raccolta di pensieri, di appunti e di ricordi, personali, autobiografici, familiari. Fra i vari capitoli non c’è un filo logico. Si presentano proprio come frammenti di memoria. Interessante è il peso che, in questi lampi, hanno i genitori dell’autore, le proprie origini napoletane, i libri e le scalate. In tutto questo c’è la maggior parte della sua vita. E se è immenso il concetto che il libro, di per sé, è un semilavorato, in quanto per finirlo ci vuole il dopolavoro del lettore, in più frammenti io ho ritrovato una parte di me. Bellissimo il capitolo della “variante di parabola”, dove pesa il silenzio lasciato dal vuoto dopo la morte dei suoi genitori. Lui, rimasto figlio, senza essere padre, con la sensazione forte di essere un ramo secco. Prepotente è il senso di mancanza, il senso di tristezza, il senso di nostalgia, che traspare da ogni angolo della memoria.
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Raccontandosi
“Oggi so che i poteri con le loro accuse possono rendere il più grande onore a uno che scrive. Fare della scrittura un corpo di reato che disturba la loro disciplina. Ai poteri riesce, insultando, di aggiungere valore a uno che scrive.”
Sin da queste righe si intuisce come “Il più e il meno” sia un libro autobiografico. Non pura autobiografia, ma piuttosto una serie di frammenti di sé.
Erri De Luca racconta di come è stato, di volta in volta, bambino, ragazzo, lavoratore, appassionato, membro appieno di una gioventù contestatrice, sfruttato, dedito ad interessi, viaggiatore del mondo, innamorato, lettore, scrittore, e tanto altro ancora.
Un racconto che passa attraverso diversi episodi, e che inevitabilmente incrocia brandelli di storia: dagli ultimi anni di Giacomo Leopardi ai postsessantottini, dalla camminata in una Sarajevo distrutta all'incontro con il giornalista Giancarlo Siani (poi ammazzato dalla camorra). Particolarmente toccanti alcuni capitoli posti sul finire del libro, in cui l'autore accarezza la figura paterna e tratteggia l'eredità morale che il genitore gli ha lasciato.
La scrittura di Erri De Luca non rinuncia mai ad abbinare potenza ed evocazione: un effetto che si ottiene se si padroneggia la parola, sì da riuscire a dire tanto in poco. Può anche non piacere, De Luca, ma non si può disconoscere che ha uno stile unico, non duplicato, forse non duplicabile. E' un artista nel rendere immagini le parole.
Se si deve trovare un neo a questo libro, è nella divagazione: si va da un argomento all'altro, senza un filo conduttore che vada oltre la voglia di ricordare come si era, come si è stati e dunque come si è. Tra l'altro, la presentazione in quarta di copertina dell'edizione “Universale economica Feltrinelli” non aiuta, giacché induce ad inquadrare il volume come qualcosa di diverso da quel che si rivela alla lettura: “Il più e il meno sono segni della contabilità, della partita doppia del dare/avere. Qui riguardano lo scorrere del tempo. Il Più è già arrivato, era un vento di corsa alle spalle, spingendo innanzi, sparecchiando tavole, sfrattando inquilini, stringendo appigli e libri. Il Più è stato giovane e indurito come un callo. Il Meno governa il presente e mantiene quello che dice. Il Meno è sobrio, risoluto perché deve condurre fino in fondo”. Solo una brillantissima capacità d'intuizione può trarre da una tale sinossi la fondata opinione che si tratti di una biografia.
D'altronde, quante volte Erri De Luca si è raccontato in altri racconti? In storie apparentemente non sue? In fin dei conti, queste storie – di se stesso, attraverso altri – si fanno preferire a “Il più e il meno”.
Fermo restando che lo scrittore napoletano non riuscirebbe a deludere neanche volendo.
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La voce scritta
Tanti episodi brevi ma intensi, il concentrato di una vita o la parte di essa che De Luca ha voluto farci conoscere. I ricordi della giovinezza napoletana, il duro lavoro in cantiere, la lotta operaia e tante istantanee di vita che racchiudono in breve un mondo, un’esistenza.
Alcuni capitoli sono a mio avviso straordinari, il racconto della parmigiana di melanzane, e il Natale lontano da casa, con persone di diversa cultura, ma non per questo ostili o distanti, il racconto di amicizie vere, l’unione nata dalle difficoltà, dove l’umanità e la fratellanza vanno oltre ogni religione, oltre ogni credo, oltre ogni colore, ogni cultura o tradizione.
Una storia composta da svariate piccole immagine, ben descritte al punto di sembrare catapultati dentro la storia.
Un bel libro, bello secondo i miei canoni ovviamente, bello per come è scritto, adoro il modo di scrivere di De Luca, sempre al confine tra prosa e poesia, e proprio con alcune poesie l’autore ci saluta.
Veniamo portati con lui in cantiere, sentiamo il freddo che ha patito e il calore con cui i suoi compagni di lavoro e di lotta lo hanno protetto. Entriamo nel suo studio di scrittore, leggiamo insieme a lui le sacre scritture, De Luca ci fa compagnia per poche pagine, ma almeno per quanto mi riguarda, rimane con me ancora adesso a lettura ultimata.
Certamente sono di parte, ormai si sa che adoro De Luca, adoro soprattutto il suo modo di scrivere, leggerlo per me è come ascoltare un racconto, la sua penna è “sonora”, il suo stile mi parla, nei suoi racconti sento la voce di Erri che mi parla. Solitamente si sa che il linguaggio scritto e quello parlato sono differenti e giungono a noi in maniera differente, questo scrittore mi rende meno distanti questi due modi meravigliosi di comunicare.