Il fuoco che ti porti dentro
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
Madre e figlio
«[…] Nei tranquilli anni in cui vivevamo lontani e mi chiamava all’alba, non dovevo fare altro che dire ciao, appoggiare la cornetta al cuscino, continuare a dormire mentre il flusso del suo discorso scorreva come acqua da un argine rotto, e salutarla quando finiva. A chi non credeva fino a che punto potesse spingersi la sua furia monologante ne dimostrai la portata durante un viaggio in auto. Angela chiamò, io risposi mettendo il telefono in vivavoce, poi guidai tranquillo e concentrato sulla strada per almeno mezz'ora senza pronunciare verbo e senza che quel rovescio di sillabe si
arrestasse un attimo.
Angela sente e segue solo il ronzio dei suoi pensieri, delle ossessioni che la tengono desta, che la scuotono e pungolano i suoi giorni e le notti che sempre più tendono a confondersi, a scivolare gli uni nelle altre trasformandosi in uno stato perenne di dormiveglia.»
Avvicinarsi a “Il fuoco che ti porti dentro” di Antonio Franchini significa avvicinarsi a un romanzo dalle tinte anche del memoir e che ripercorre il difficile rapporto tra una madre e un figlio. Angela, la madre, non è mai stata una donna semplice. Tra queste pagine il rapporto viene analizzato in ogni sfaccettatura, viene rivissuta l’infanzia dello scrittore, riflettiamo sul nostro Paese di ieri ed oggi, su a Napoli, torniamo a Milano dove la madre anziana è stata trasferita dopo la vedovanza.
Angela è una donna incomprensibile quanto imprevedibile, una donna dal carattere pesante, insopportabile, livoroso, aggressivo e violento, è capace di furie istantanee non motivate, di insulti ai suoi stessi figli ed è una donna con una visione del mondo pessimista, razzista e piena di tanti luoghi comuni talmente scontati e talmente bassi che ne dimostrano tutte le limitazioni.
Non ha amici, è nata in provincia di Benevento e poi si è trasferita a Napoli, la città dai mille volti e le mille energie. Studentessa di liceo classico, studentessa universitaria, donna tipicamente meridionale, si sposa con un uomo più grande di un’altra classe sociale e da cui avrà tre figli (Antonio e due bambine). Su questi ultimi riversa tutta la sua rabbia, tutto il suo carattere astioso, tutte le sue angherie.
«[…] Non sa dimostrare l’amore e non sa farsi amare.
L’amore è il cruccio di tutti, ma sempre nel senso delle forme assolute: quella, puramente attiva, dell’amare, e l’altra, perfettamente passiva, dell’essere amati.
Del dimostrare amore nel modo più giusto e del farsi amare, cioè dei modi del sentimento, non della sua essenza, non si preoccupa nessuno. Gentilezza e tenerezza sembrano l’elemosina, la declinazione degradata delle passioni.
Ad amare come viene sono buoni tutti, e anche chi ama senza essere riamato trova consolazione in questo sacrificio, ma chi è incapace di risvegliare attorno a sé le forme minori dell’amore conduce una vita aspra e non sa perché.»
Il testo è avvalorato dal napoletano, un dialetto che dona alle pagine ancora più autenticità. Il fulcro dello scritto è e resta lei, la madre, ma man mano che andiamo avanti conosciamo anche le dinamiche che hanno caratterizzato la famiglia, dal rapporto coniugale asimmetrico sino all’odio per la sorella del marito, Anna, per i vicini di casa, per gli amici e i figli. La personalità della donna è estremamente incisiva e sarà soprattutto la figlia più piccola a far leva e a far le spese di questo carattere così livoroso.
Anche quando lo scrittore sarà adulto e la donna si trasferirà a Milano da “o’ scrittore”, le cose non miglioreranno perché mai lei ammetterà di essere orgogliosa di quel figlio.
Tanti i personaggi che si susseguono tra le pagine, dal padre sino allo zio Francesco, e che donano ancora più profondità allo scritto. Un romanzo dove ciascun volto ruota attorno alla figura di una donna che sopraffà e schiaccia con la sua disperazione.
Un testo che offre tanto, non sempre semplice da leggere per il profondo uso del gergo napoletano ma che invita alla riflessione soprattutto sulle dinamiche umane e familiari.
«[…] Eppure noi sappiamo che cos’è, in realtà, questo lungo, occulto bisogno dell’approvazione di un genitore, fosse pure un mostro, avvinto a noi più strettamente proprio in ragione della sua mostruosità; conosciamo questo senso d’inadeguatezza che non si placa, questa ricerca di un cenno di approvazione da parte di chi ci opprime…»
Indicazioni utili
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Una donna che odia il mondo
«la volontà di porsi sempre in maniera contraria a quella di qualsiasi interlocutore reale o immaginario, e se proprio non c’è nessuno che si oppone è lei a contraddirsi da sola, per non essere d’accordo neanche con se stessa»
«il qualunquismo, il razzismo, il classismo, l’egoismo, l’opportunismo, il trasformismo, la mezza cultura peggiore dell’ignoranza, il rancore…»
Il romanzo è autobiografico, l’autore ci parla di sua madre, donna che odia il mondo e che non sopporta gli altri, che ha un carattere davvero impossibile e da lui detestata al punto da trasferirsi da Napoli a Milano già a 19 anni pur di allontanarsene: cambiare città voleva dire stabilire anche una distanza fisica oltre che emotiva da colei che l’ha generato.
Ma da dove nasce l’odio che questa donna si porta dentro? Quali radici ancestrali ha? Forse in una malintesa cultura meridionale? L’autore cerca di scavare nella vita sua e della madre per andarle a cercare queste radici.
“Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza”
Già questa frase è spiazzante considerando che normalmente la madre è sempre adorata dai figli.
Dopo un’infanzia difficile Angela, originaria di Benevento e che pure in età giovanile era riuscita a coltivare qualche amicizia come qualsiasi ragazza, si sposa ed è come se con questo passaggio chiudesse irrimediabilmente con un passato più o meno normale dal punto di vista affettivo per passare ad un’età adulta che non prevede rapporti di amicizia o di stima con nessuno. O, per meglio dire, non prevede proprio rapporti.
Sposa un uomo più anziano di lei e che è il suo opposto: riservato ed educato, scorrerà silenziosamente per tutta la sua vita accanto alla moglie e, forse, la amerà davvero.
Il pessimismo è lo stile di vita di Angela e si accompagna ad un profondo disprezzo per qualsiasi altro essere umano, anche il più normale. Insulta tutti, seguendo in questo l’insegnamento di sua madre con la quale infatti ha vissuto una vita di scontri.
Nulla piace ad Angela, di nessuno ha stima, neanche dei figli. Non sopporta i vicini di casa, non apprezza nulla, maltratta chiunque. Urla, strepita, offende.
Tra i figli due rifiuteranno le sue intromissioni, la terza, più timida e riservata, la lascerà fare ed Angela si approprierà della sua vita decidendo tutto per lei. Diventata grande alla fine questa figlia avrà un rigetto per la madre con la quale taglierà i ponti lasciando anche il lavoro che la madre le aveva creato.
L’autore si trasferisce a Milano dove creerà la sua carriera professionale ma sarà costretto ad accogliere la madre ormai anziana nell’appartamento accanto al suo accudendola insieme alla sorella.
L’età non ha addolcito Angela, che è rimasta tale e quale. L’autore e la famiglia saranno costretti ad uscire di casa passando dalle cantine per evitare di essere visti e colpiti dai suoi strali. Prigionieri in casa propria.
Molti sono i personaggi del libro, ma al centro c’è sempre lei Angela, che svetta su tutti e si prende il centro della scena.
Il romanzo è stata una gradevole sorpresa, ben scritto e ben costruito, il personaggio di Angela sicuramente notevole. Non vuole raccontare vicende mirabolanti ma la cruda storia di una donna qualunque che ha odiato il mondo rovinando la vita a se stessa e agli altri. Metterlo su carta non era semplice: l’autore c’è riuscito regalandoci un romanzo che si legge senza rimpianti. Non indimenticabile, non un capolavoro ma sicuramente piacevole.