Ho sposato una vegana
Letteratura italiana
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Una divertente ideologista vegana
A chi è in dubbio se leggere o non leggere "Ho sposato una vegana" consiglio di leggerlo. Leggetelo, prendendo il libro per quello che è: un divertente racconto autobiografico dello scrittore e della sua conquista (anzi resa) di fronte alle posizioni etiche in ambito culinario della moglie Claudia. Eccoci di fronte al primo appuntamento, allo choc del veganesimo, alle ideologie e alle costrizioni alimentari a cui viene sottoposto Fausto pur di riuscire a mettersi insieme a Claudia.
Lo scrittore appartiene a quella specie di persone (pare in via di prossima estinzione) che amano mangiare cibi gustosi che li porteranno alla morte prematura. Carne, formaggi e latticini di ogni tipo affollano la dieta e i desideri di Fausto. La parola vegano nel suo vocabolario indica prima di tutto il popolo di alieni provenienti dal pianeta Vega in Ufo Robot. Al contrario il rispetto per l'ambiente, la salute personale, la vita portano a Claudia a battersi per il cibo del futuro e a farne le spese sono tutti coloro che si imbattono nella sua strada. Fausto dinanzi alla bellezza di Claudia cede via, via alle sue pretese alimentari, in un divertente e umoristico susseguirsi di rinunce, tentazioni, cadute culinarie che rendono il libro davvero spassoso per chi vuole concedesi una lettura leggera e dilettevole. Da leggersi in spiaggia
Indicazioni utili
Tu la conosci Claudia?
Solo leggendo il titolo la domanda che sorge spontanea è “perche”? Perché, parafrasando il titolo, hai sposato una vegana? Pur conoscendo le privazioni a cui saresti stato sottoposto perché ti sei concesso a questa forma di prigionia? La risposta che ritorna lungo il breve libercolo alligna nel sentimentalismo: l’amore “che move il sole e l’altre stelle” è la motivazione per cui il nostro eroe rinuncia gradualmente a qualsiasi cibo ritenuto non vegano dalla sua amabile consorte.
La di lui metà è peraltro una figura nota che risponde al nome di Claudia Zanella, attrice e neoscrittrice che nella narrazione viene ironicamente dipinta come l’Hitler della dieta vegana e obiettivamente, almeno per un pubblico italico abituato ai piaceri della tavola, la figura di Claudia risulta oltremodo fastidiosa. Essa infatti è rappresentata secondo un modello archetipico con cui siamo abituati a pensare i vegani: ferrea, intransigente, vessatoria, implacabile e invadente. Non solo impone una stretta pari solo alla censura del regime mussoliniano ma si scaglia contro amici e conoscenti, colpevoli di omicidio animale. Per chiarezza riporto un aneddoto contenuto nel libro: alla vista di un’abominevole piadina con il prosciutto cotto stretta nelle mani di un amico la signora Brizzi si lancia con furia animalesca verso il malcapitato che vede tristemente finire il proprio pranzetto nella pattumiera. Alla faccia dei bambini africani.
Per Brizzi è solo l’inizio e il nostro “eroe” vede gradualmente ridursi il suo ventaglio di possibilità gastronomiche ed è costretto a dire addio a carne, uova, latte, cappuccino, brioches al bar (dannosissime!), caffè, amatriciana, tortellini, formaggi, mozzarelle cancerogene e chi più ne ha più ne metta. La filosofia vegan di Claudia non travolge solamente le sue abitudini alimentari ma anche le sue abitudini di vita. Tutto diventa bio e green; dai bagnoschiuma al piumone, dall’orto in terrazza alle vacanze, dalle cure tricologiche alle tisane serali. Nonostante questa apparente odissea Brizzi decide comunque di sposare Claudia con la quale ha una figlia, educata secondo il regime vegano.
Il libro non è un capolavoro, né ha la pretesa di esserlo ma tratta un tema molto dibattuto che riguarda la nostra modernità e forse il futuro della nostra specie. Brizzi mette in evidenza il lato peggiore del “veganesimo”, incarnato magnificamente da Claudia, il quale sembra ricalcare gli stilemi della religione: prevaricazione sull’altro, convinzione di essere portatori dell’unica dottrina accettabile, intolleranza e disprezzo verso le altre forme di diversità (gastronomiche nel caso in questione). Si potrebbe affermare quindi che il “veganesimo” più spinto non è tanto dissimile da una setta religiosa. Brizzi stesso riconosce che i vegani utilizzano il metodo sbagliato per proporre le loro sostenibili idee.
Lo stile proposto da Brizzi è perennemente ironico, anche nel trattare i passaggi più “tragici” ed emotivamente difficili, e gioca sul confine che intercorre tra sceneggiatura cinematografica e narrazione romanzesca. Inoltre la sua scrittura, come i suoi film, è intrisa di un forte elemento pop; Brizzi attinge all’universo culturale dei suoi coetanei quarantenni non trattenendosi dal citare Wolverine, Ufo Robot, Goldrake. In conclusione è un libro piacevole, da leggere in poco più di un’ora per confrontarsi con quel mostro di Claudia.
FM