Narrativa italiana Romanzi autobiografici Gli orologi del diavolo
 

Gli orologi del diavolo Gli orologi del diavolo

Gli orologi del diavolo

Letteratura italiana

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Gennaio 2005. Gianfranco Franciosi, per tutti Gianni, ha venticinque anni e un talento innato come meccanico navale. Un giorno riceve una strana visita: due clienti offrono un anticipo da cinquantamila euro in contanti per un gommone velocissimo. Gianni si insospettisce, va alla polizia e accetta di aiutare gli investigatori a capirci di più. Gianni scivola in un gioco più grande di lui e diventa un agente infiltrato a tutti gli effetti. Iniziano quattro anni di viaggi in Sudamerica per trasportare enormi quantità di cocaina, quattro anni di festini con i narcos e di riunioni di emergenza con la polizia. Diventa fratello acquisito del boss spagnolo Aurelio ma al tempo stesso perde tutto: l'amore, la famiglia, il lavoro. Quando finalmente la polizia conclude il più grande sequestro di droga mai avvenuto in Europa, Aurelio sfugge all'arresto e vuole vendetta. Gianni deve rinunciare alla sua identità e sparire nel nulla.



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Gli orologi del diavolo 2015-08-27 05:28:08 AndCor
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AndCor Opinione inserita da AndCor    27 Agosto, 2015
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Da 'tutto' a 'niente' in un solo, infinito attimo

Gennaio 2005.
Gianfranco "Giannino" Franciosi è un meccanico di motoscafi con un cantiere in riva al Magra. Una passione smisurata, un talento per gli offshore potenti e aerodinamici al servizio di tanti facoltosi clienti, fra cui Giuseppe "Tortellino" Valentini, un presunto trafficante di collegamento fra la malavita romana e la mafia siciliana, che ben presto rimane coinvolto in una brutale esecuzione nella periferia della capitale. Informazioni che Gianni passa allo Sco di Genova e che rimangono in standby sino al 2007, quando l'uomo riceve una strana visita di uno spagnolo e un napoletano a nome del Tortellino che fu. I 50mila euro di acconto in contanti che i due portano in dote fanno drizzare le orecchie persino alla Dda del capoluogo ligure, mentre indagini più approfondite rivelano che l'iberico corrisponde anagraficamente ad Aurelio Pinero Campos, potentissimo boss del narcotraffico fra Europa e Sudamerica.
Inizia così la vita da infiltrato di Gianfranco: dall'omicidio "di fedeltà" su commissione ai sette mesi di reclusione nel carcere di massima sicurezza di Tolone insieme a un fidato braccio destro del boss, senza dimenticare i ripetuti viaggi intercontinentali verso le paradisiache frontiere del narcotraffico quali Caracas, Santiago de Compostela e Isla Margarita e l'incarico di pilota per interagire con la "nave madre" Dona Flora, una portacontainer di droga che attraversa in lungo e in largo il Mediterraneo come un ipermercato all'ingrosso, Giannino perderà ogni affetto più caro per diventare un uomo di fiducia per il capoclan e per coloro che guardano il mondo e le sue verità dal rovescio sbagliato della medaglia. Quattro lunghi anni, scanditi dal suo registratore e dal marcatore Gps nascosto nella cintura, che portano al maxisequestro di dieci tonnellate di droga (traducibili in ventotto miliardi di euro nel mercato al dettaglio) e alla condanna di ventisei primavere dietro le sbarre per il boss Aurelio.
'La polizia ha fatto in modo di farmi uscire dalla scena del crimine, fingendo che fossi riuscito a scappare', afferma il protagonista, ma da allora sulla sua testa pende una ghiottissima taglia di milioni di euro e, addirittura, si è visto costretto a uscire dall'"approssimativo" (eufemismo) programma di protezione dopo appena due anni di "tutela" (altro eufemismo), perchè gli sono stati proposti 63mila euro di fronte a una richiesta di mezzo milione di risarcimento e perchè era trattato alla stregua di un appestato, obbligato a 'essere spostato ogni 3 mesi da un posto di merda all’altro'. E incatenarsi e protestare di fronte al Viminale insieme agli altri testimoni di giustizia "ribelli" è servito solo a mostrare al mondo intero un uomo sedotto, illuso e abbandonato da una legge che assomiglia tanto a una diabolica roulette della morte.
'Mi vennero a cercare due giorni dopo gli arresti', racconta, e gli otto proiettili distribuiti equamente fra il parabrezza della sua auto e il cancello del suo cantiere lo costringono a constatare amaramente che 'Io lo so che sono un morto che cammina, non faccio mai programmi a lunga scadenza'. Anche se, nonostante tutto, è meglio questa non-vita che raccontare aneddoti del tipo 'Pioveva da settimane e io chiesi un’auto perché la mia era inutilizzabile, dal momento che i trafficanti la conoscevano benissimo. Chiamai il mio referente e gli esposi il problema della pioggia, la difficoltà di accompagnare i bambini a scuola sotto l’acqua. E lui sai che mi rispose? Si compri un ombrello più grande.'

Da 'Sembra Disneyland. Ma con la coca al posto dei lecca lecca, i narcos al posto di Pippo e i sottomarini al posto delle tazze volanti.' a 'Poche volte nella vita sono rimasto senza parole. Forse mai. Stavolta le ho finite. Più che le parole, sento di aver finito la speranza.', il passo è tremendamente breve e la delusione, la frustrazione, lo scoramento, il trauma ti mostrano una 'vita che scivola via dallo scarico del water mentre tu non puoi far altro che guardare. Non puoi neanche urlare.'

Ma c'è un "però". Tanti "però", che 'arrivano senza sapere cosa cercano, chi cercano. Io gli do una bussola, gli mostro l'altra strada, quella che nessuno conosce.
Tutto qui. Dopo sta a loro."

Quell'altra strada, sconosciuta, conduce all'Epilogo e ai Ringraziamenti conclusivi.
Sentiti.
Toccanti.
Intensi.
Perché lo Stato si è preso il suo spazio, il suo tempo, la sua vita, ma in cambio non gli ha dato nulla.

Noi, di contralto, vogliamo dargli qualcosa.
Anzi, vogliamo dargli tanto.
No.
Vogliamo dargli tutto.

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