Buchi
Letteratura italiana
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Tutte le cose partono a razzo
Dai cassetti di mobili vecchi può fuoriuscire il passato.
E nell’appartamento di città ove si è abitato per cinquant’anni, così come nella casa sull’Appennino emiliano ove affondano le radici di una famiglia, continuano a vivere i fantasmi di genitori e parenti (“E il grosso dei fantasmi, pensavo ogni tanto per tirarmi su il morale, è sempre stato a Guzzano”) che ormai se ne sono andati (“6 luglio ’70, con nonno, robusto e svelto di riflessi, settantadue anni… 6 luglio ’71 senza più nonno…”).
Lo sostiene Ugo Cornia che, nei Buchi del suo romanzo racconta il ciclo della vita attraverso ricordi e divagazioni che si avvicendano in ordine casuale secondo il libero flusso dei pensieri sciolti.
L’intonazione ironica e stranita della narrazione consente di proporre in modo sostenibile i dolori dell’abbandono (“Finito? Boh. Finito dove. Smantellare ancora…”): dei genitori, dei luoghi cari, degli oggetti che sono testimonianze di una vita vissuta anche nell’ordinarietà e nella semplicità (“In uno di questi attacchi di furia… sposta sta famosa angoliera delle Nannini, e sotto, in fondo in fondo, contro il muro ci saranno state ottanta di ste gambe di pollo”).
Alcune annotazioni sono straordinariamente limpide (“Tutte le cose partono a razzo verso il loro destino”), lo stile è volutamente puerile e utilizza anacoluti e infinitive in modo efficace e divertente: un sistema informale per raccontare nostalgie profonde e inestirpabili…
Bruno Elpis