Bora
Letteratura italiana
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Anna Maria Mori è nata a Pola. Inviato speciale per "la Repubblica" dalla fondazione al 1995, ha realizzato per Rai Tre la serie Vent'anni solo ieri e per Rai Uno Istria 1943-1993: cinquant 'anni di solitudine e Istria, il diritto alla memoria. Con Nata in Istria ha vinto il Premio Recanati 2006.
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"Bora" - Commento di Bruno Elpis
Un modo per accerchiare la tragedia istriana. Guardarla da due prospettive diverse e complementari. Magari per arrivare alla medesima conclusione: asserire, cioè, che il dramma sia lo stesso. Per chi parte e per chi rimane.
Le due autrici (Anna Maria Mori esule, Nelida Milani rimasta in terra d’Istria) intessono uno scambio epistolare e pervengono ad affermare che la sofferenza per la violenza subita è unica, come unica è la nostalgia: per la terra perduta, per la cultura usurpata. Basta un atto semplice, per rendersene conto: ricercando in Google Map, ci si accorge che ”per il computer, e quindi per la collettività, Pola non esiste, non c’è più, addirittura non è mai esistita: c’è Pula, Histra, Croatia”. “Pola cancellata dalla faccia della terra. Il nome era un simbolo, e quando i simboli cadono, nulla è più come prima.”
L’usurpazione è stata costruita, come spesso avviene nella storia, su una menzogna: “Non è vero che io e tutti i trecentocinquantamila esuli istriani, siamo, eravamo, borghesi e fascisti. Non è vero che tutta l’Istria era slava e doveva tornare alla Jugoslavia. Non è vero che tutta la mia gente è stata nostalgica e irredentista.” E la menzogna esplode, paradossalmente, con la fine della guerra: “Per la gente dell’Istria con i paesi e le città affacciate su quel mare bellissimo, incorniciato da ghirlande di ciottoli bianchi e da rocce grigie a strapiombo, non arrivò la pace come per il resto d’Italia.” Al punto che la liberazione di Pola (“Guardarono sfilare per le strade del lungomare o del Corso quello che chiamarono … con alterigia di classe … ‘l’esercito in ciabatte’. Erano i partigiani slavi …”) coincide con un incubo: “Vivevamo chiusi nelle case, terrorizzati … Cominciarono a far sparire le persone sin dalle prime ore…”
Molti sono gli interrogativi. Il primo è storico: quello istriano è un dramma minore rispetto ad altre diaspore o eccidi?
E’ un dramma dimenticato “… nella disperazione di chi assisteva alla partenza, un dolore unico e solitario, che non trovava spazio nei discorsi ufficiali, nei titoli dei giornali, nella storia”?
O è un dramma tacitato dalla natura dei luoghi o dal carattere fiero degli italiani di quelle terre?
“… La campagna si stendeva calma. Un silenzio che proveniva dalla violenza. Tutto era stato sgomberato, e da quel vuoto, dall’aspro abbandono delle cose, separate a forza da chi le aveva amate, avute in cura o in possesso, non si levava un suono. Eppure l’aria vibrava di affanno e di lutto.”
Infine, un sospetto: che il dramma sia imputabile a una volontà politica: “L’Italia non muoveva un dito per noi, ma se appena succedeva, ci pensavano i drusi a farcela pagare. Perciò era meglio lasciarci perdere. Perdere e dimenticare.”
Il libro delle due autrici conferisce ai fatti dignità storica attraverso il confronto dialettico: il dittico, nella magia della letteratura, diventa un assolo. Grazie a una voce unica, che si leva dalle pieghe della sofferenza.
Bruno Elpis