Bagheria Bagheria

Bagheria

Letteratura italiana

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Un lungo racconto autobiografico che ritrae, con affetto e partecipazione, la Sicilia, la cittadina di Bagheria, l'atmosfera in cui la Maraini approda da bambina dopo due durissimi anni di prigionia in un campo di concentramento giapponese. Dai ricordi, dai sapori, dagli odori, emerge tutto un mondo fatto di affetti profondi, di scoperte del sesso, della natura e poi la mafia, lo scempio edilizio, l'arroganza di una società che sconvolge.



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Bagheria 2024-04-01 15:11:16 Calderoni
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    01 Aprile, 2024
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Il ventaglio della geometria familiare

Il titolo del libro di Dacia Maraini indica un luogo ben preciso: il secondo comune più popoloso della città metropolitana di Palermo. È un luogo molto connotato per l’autrice: è il primo in cui ha vissuto una volta tornata dal campo di concentramento in Giappone insieme alla sua famiglia. Era ancora una bambina e ci ritorna a distanza di anni, quando tutto o quasi è cambiato a Bagheria e nel suo animo. Penso che questo scritto di Maraini sia propedeutico alla lettura del suo romanzo più famoso: La lunga vita di Marianna Ucria. È proprio un grande ritratto di Marianna Ucria nella villa della famiglia materna della celebre scrittrice a chiudere lo scritto. Marianna è stata una sua ava del Settecento e scrive che era come se aspettasse da anni di trovarsi «faccia a faccia con questa donna morta da secoli, che tiene fra le dita un foglietto in cui è scritta una parte sconosciuta e persa del mio passato bagariota». Per poi immergersi nelle dense e fitte pagine del romanzo è utile questo primo incontro all’interno di un libro che è un insieme disordinato di memorie in cui i personaggi si susseguono, ognuno con le sue peculiarità, tra sogni, rimpianti, fughe, rapporti irrisolti.
Non mancano le denunce sociali. Le donne sono le “sacrificate” alla legge dell’onore in una società baronale che tutto sa ma finge di non vedere. Le memorie della scrittrice riguardano soprattutto la famiglia materna, nobile casata della Bagheria dei secoli d’oro così radicata in quel paesaggio fatto di palazzi baronali. Un paio di annotazioni interessanti riguardo al possesso maschile sulle figure femminili. «La figlia non poteva negarsi – scrive Maraini –. Neanche quando il padre carnale si sostituiva al marito. L’abuso veniva criticato ma nessuno avrebbe osato intervenire nel rapporto di autorità fra un padre e una figlia che è antichissimo e che, fra tutti gli usi, è uno dei più duri a morire». L’autrice riporta alcuni episodi che possono essere catalogati come “molestie sessuali”. Sono episodi che la riguardano in prima persona e vengono rianalizzati a distanza di decenni. «Era un amico di famiglia che ha approfittato di un momento in cui eravamo rimasti soli, per aprirsi i pantaloni e mettermi in mano il suo sesso. Io l’ho guardato con curiosità, per niente spaventata. Eravamo a Bagheria, e io avevo una decina d’anni... Chissà che scegliendo di dire pene non si volesse insinuare che il portatore di pene è anche un portatore di pena. Ma questo è un azzardo linguistico». «Un prete, un giorno, mi ha stretto forte a sé e mi ha dato un bacio frettoloso sulla bocca. Ho fatto fatica a sbrogliare la matassa della fede e della moralità, dopo quella volta».
Prima di risalire fino a Marianna Ucria si parla di nonna Sonia, di nonno Enrico, di zia Orietta e di zio Gianni e ancora ci sono zia Saretta e zia Felicita. Una grande epopea familiare che si è sviluppata in una Bagheria che è stata usurpata, rovinata, sventrata. È questa l’altra denuncia sociale che rende il libro memoria di Maraini interessante. Ci si chiede perché un posto incantato, in grado di ammagliare fenici e greci, sia stato deturpato a tal punto da renderlo irriconoscibile. Le straordinarie ville settecentesche di Bagheria, quelle di Marianna Ucria, che sono tra le più preziose dell’intera Sicilia, sono state private dei loro contorni, rimanendo lì, in mezzo alle case, «come testimoni intirizziti e malmenati di un passato che si ha fretta di distruggere». E chi ha contribuito alla distruzione? La politica. Si fa il nome dell’ingegner Giammanco, uno che «ha volutamente ignorato gli strumenti di legge che erano predisposti nel tempo, ha favorito la speculazione privata, ha dato un eclatante esempio di malcostume politico e di corruzione»; però, nel 1973 è stato prosciolto dalle accuse di interessi privati in atti di ufficio e di falsità ideologica per amnistia e per insufficienza di prove. A collaborare insieme alla politica, sempre latente ma così potente in quegli anni di costruzioni di massa, era presente la mafia di cui Maraini dice che non se ne parlava mai, «tutti sapevano che esisteva una forza maligna capace di imporre la sua volontà col coltello e il fucile. Ma chi stringesse quel coltello e chi imbracciasse quel fucile era difficile dirlo. D’altronde, per chi lo sapeva, era meglio fare finta di non averlo mai saputo».
Nonostante le denunce sociali, Bagheria di Maraini è innanzitutto il racconto infantilmente intenso di chi vive la scoperta delle proprie origini e di chi scopre nonni, zii, bisnonni e bisnonne tutte persone miti e pacifiche che avevano la tendenza a maritarsi con donne e uomini dal temperamento autoritario che finivano per metterli sotto i piedi e loro erano costretti a fuggire nei sogni. Ecco perché la conclusione di questo scritto non può che essere dedicata a una considerazione sulla strana geometria familiare che contraddistingue le nostre esistenze. Ha ragione Maraini: la geometria familiare si apre tutta verso il passato come un ventaglio, «due genitori, quattro nonni, otto bisnonni e così via» e alle volte è priva di futuro, come nel caso della stessa autrice che ha perso il suo unico figlio appena prima di darlo alla luce. E proprio per questo ha deciso che «a portare nel futuro qualcosa di me saranno i miei personaggi figli e figlie dai piedi robusti, adatti, a lunghe camminate».

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Bagheria 2022-03-25 20:07:24 siti
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siti Opinione inserita da siti    25 Marzo, 2022
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Accettazione

Dopo la lettura del romanzo breve “L’età del malessere”, il secondo scritto di Dacia Maraini, ho pensato di approfondirne la conoscenza della scrittrice con questo titolo ben più noto, apparso nel 1993, quindi ben trent’anni dopo il precedente. Pensavo precedesse “ La lunga vita di Marianna Ucrìa” - testo al quale è strettamente collegato - convinta per un buon procedere nella lettura che ne fosse quasi il documento preparatorio, per scoprire poi che lo segue di tre anni. Il legame fra i due testi è dato dal fatto che nella villa Valguarnera a Bagheria era custodito un ritratto della “mutola” ava della scrittrice, Marianna Ucrìa appunto, e questa villa rappresenta, nell’economia di questo breve scritto autobiografico, il perno della narrazione. Lì giunge infatti bambina Dacia Maraini, ospite dei nonni, con la sua famiglia, di ritorno dal Giappone nel 1947, dopo aver patito la fame più nera in un campo di concentramento nel quale erano stati internati in seguito al rifiuto del padre Fosco e della madre Topazia di aderire, come richiesto dai giapponesi, alla Repubblica di Salò.
La narrazione affascina fin da subito permeata com’è dalla materia biografica e capace di intrecciare in maniera sapiente due secoli, l’Ottocento nobiliare siciliano e il Novecento breve e intenso, racchiuso tra le due guerre mondiali. É come se la Maraini fosse la cerniera fra le due epoche: due genitori intrepidi, uno il grandissimo Fosco, studioso, alpinista, antropologo, scrittore, l’altra, Topazia Alliata di Salaparuta, discendente da una nobile famiglia palermitana. E lei - Dacia - nel mezzo, combattuta, dopo aver per lungo tempo patito questa discendenza, vuoi per lo stretto legame con la figura paterna, sfuggente e tanto amata, vuoi per lo spirito ribelle della nuova generazione che si riconosceva piuttosto appartenente a un nuovo modello borghese. Fatica la narratrice a tenere il filo della memoria, continuamente spezzato dalla mancanza del padre che abbandonò moglie e figli, e ricamato dal recupero non solo di un tempo, ormai trascorso, ma come detto prima, sul finire degli anni ‘40 del ‘900 ancora abbarbicato su vetusti pinnacoli nobiliari, ma anche di una geografia mutata. La Bagheria degli anni ‘90 custodisce una villa irriconoscibile, deturpata come le altre, numerose nei paraggi, da spazi urbani violenti e mafiosi capaci di sventrare i meravigliosi giardini che le circondavano per cedere il passo, fra tanti, ad un’autostrada sotto casa, a palazzoni di grigio cemento, a un improbabile liceo. E intanto l’ultima zia nobile ad abitare la villa racconta e lascia che sia apra quella porta della memoria che permette a Dacia di riappropriarsi del suo passato siciliano senza sentire più il peso della radice mafiosa nei vecchi retaggi nobiliari. Interessante.

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La lunga vita di Marianna Ucrìa
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Bagheria 2014-07-21 20:23:45 pupa
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pupa Opinione inserita da pupa    21 Luglio, 2014
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MEMORIE D'INFANZIA

E' un libro che ho letto più volte e le emozioni provate la prima volta si sono rinnovate con la rilettura. La storia si articola tra i ricordi infantili dell'autrice, con figure ed aspetti ben delineati che si staccano, a volte, dal racconto e i ritratti dettagliati della città, manifestazioni esteriori che suscitano sensazioni di soavità, di grazia, di condizioni spirituali felici o desiderabili, sembra quasi di partecipare ed esservi dentro. Mi è piaciuto il raccontare delle proprie radici, attraverso immagini, persone e particolari di ville e palazzi antichi allo sfascio e di una Bagheria distrutta.

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Bagheria 2013-01-16 18:00:21 Olmo
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Olmo Opinione inserita da Olmo    16 Gennaio, 2013
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Ricordi

Premessa: il libro non mi è piaciuto molto ma ne consiglio lo stesso la lettura. "E perché dovremmo comprare e leggere un libro che non ti è piaciuto?" vi chiederete. Per almeno due motivi. Il primo è che un libro vale sempre la pena di leggerselo, anche e soprattutto se non ti ha convinto fino in fondo (a parte alcune eccezioni ovvio, ma non così scontate). Chi, ad esempio, potrebbe qui consigliare la lettura di un Harmony? Eppure molta gente li trova rilassanti ed adatti a momenti particolari della propria vita...
Il secondo motivo è che il libro ha molti aspetti interessanti, spazia su argomenti importanti e che vale la pena approfondire: ricordi e sapori siciliani, bellezze architettoniche e conseguenti scempi, sesso e femminismo, e anche, ebbene sì, la mafia. Peccato che la Maraini qui non si curi di approfondire, o meglio lo fa in modo non organico e disordinato. Il libro è più uno stream of consciousness in cui si passa da un argomento all'altro, senza che appaia un senso logico al tutto, se non quello della scia dei ricordi, come in un sogno in cui io capisco benissimo la serie degli avvenimenti, ma se provo a raccontarlo tutto il senso scompare. E' troppo autobiografico, ecco; non sono riuscito a calarmi nella storia e per questo non ho goduto del libro.
Poi comunque è scritto bene, in uno stile leggero ma preciso, che tiene insieme ricerche storiche e detti popolari, è scorrevole (a parte forse qualche volta dove si parla di tutti i parenti siciliani), è in fondo anche un libro di denuncia, sugli abusi edilizi fa anche qualche nome (ma non aspettatevi chissà che), ed è, come potrete leggere dovunque, un atto d'amore per Bagheria e la Sicilia.
Che poi sia coinvolgente o godibile, ecco, questa è un'altra storia.

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