Animali (topi gatti cani e mia sorella)
Letteratura italiana
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Rievocazioni animali
Rielaborare la propria vita attraverso il nostro personalissimo percorso animale, associazione di ricordi e di idee che legano a ogni luogo un’epoca ad ogni epoca una convivenza. Cosi’ in questo libro Ugo Cornia ritorna nella proprieta’ di campagna dove la famiglia si trasferiva in vacanza e si delineano poco per volta non solo gli ambienti, ma anche le personalita’ dei vari membri di casa Cornia. Dalla sorella che si dedica al volontariato in una associazione di recupero per animali dilettandosi nella cura domestica di piccioni affetti dal vaiolo, per esempio, alla mamma che si prodiga per collocare la numerosa prole della gatta, al papa’ che di gatto in casa ne vuol solo uno, ma poi ne arrivano due.
Non si risparmia certo su compagni di ventura meno canonici, buona parte del racconto si concentra su un fenomeno significativo della casa di Guzzano : i topi. Dall’invasione barbarica del 1992 in cui i ratti prolificarono a macchia d’olio in una sorta di espropriazione degli umani abitanti, alle piu’ miti descrizioni della caccia felina col ben noto martirio della povera preda.
Scrittura a getto che personalmente non ho apprezzato, si tratta di una narrazione per fortuna dotata di virgole ma decisamente carente in punti, che latitano anche per una o due pagine intere. Ne consegue un flusso di pensieri ininterrotto, con riflessioni che spesso si accavallano ripercuotendosi sul lettore in una sequenza di lunga apnea.
Cio’ detto, il lavoro del Cornia resta comunque di facile comprensione e di rapida deambulazione. A tratti molto buffo e sempre piacevolmente nostrano, e’ stato nonostante la penna poco gradita una lettura amabile e soddisfacente.
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I topi nel muro non sono soltanto quelli di Lovecr
“Animali (topi gatti cani e mia sorella)” di Ugo Cornia è un monologo ironico suddiviso in tre capitoli, dedicati rispettivamente a topi, gatti e cani.
Quanto ai TOPI, essi pullulano a Guzzano, nella casa di vacanza sull’Appennino, in ogni forgia e dimensione – topolini di campagna, toporagni, arvicole, ratti, pantegane (“Era sicuro che fosse un ratto perché era molto grande, mentre mia sorella sosteneva che era un topo di campagna, come genere, anche se molto cresciuto”) – e imperversano, attratti dalla relativa tranquillità della casa poco abitata e dall’abbondanza di granaglie.
Mentre “questi topi… rosicchiano, e rosicchiano…”, l’autore spesso impegnato nella disinfestazione sembra attratto dalla dimensione sociale dei roditori (“Io in un certo senso li trovo degli animali ammirevoli, e anche molto simili a noi, e su questo discorso magari ci torniamo più avanti…”).
Quanto a reminiscenze, la mente corre un po’ ai “Ratti nel muro” di Lovecraft (“Si sentivano degli strani rumori di grattugiamenti in qualche zona della casa, allora mia madre diceva che magari c’era un nido dentro al muro…”), un po’ a “Il pozzo e il pendolo” di Poe (“Dove stavano i suoi quattro piedi incollati all’asse adesso c’erano rimasti quattro buchi”): ma qui il registro è completamente diverso, sospeso tra il sarcasmo e la libera associazione dei pensieri (“Due allocchi hanno già abitato dentro al granaio per tutto un inverno, cosa che riempiva di contentezza sia mia madre che mio padre… sia per la bellezza del fatto di riuscire ogni tanto a sbirciarli… sia proprio perché questi allocchi mangiavano i topi…”).
I GATTI appartengono alla dinastia di una micia matriarca, votata a generare figli che se la vedono brutta a causa di un’antica pratica di crudele selezione (“Aveva già partorito tre volte, due volte affogati tutti e una volta tutti salvati”).
I CANI sono indegnamente rappresentati da Tobi-Tobia, un meticcio colossale, prima vittima della malasorte (“Mia sorella… aveva le sue manie sull’infanzia disgraziata di quel cane”), poi oggetto delle discutibili, invasive attenzioni della sorella del narratore (“Che Tobi fosse una spugna impregnata dell’inconscio di mia sorella”). Il protagonista ne patisce l’ingombrante presenza, con lui rivaleggia per l’egemonia domestica, grazie a Tobi matura una folgorante convinzione: “Che gli animali si facciano le loro cose, in totale libertà in prati, cielo, boschi, paludi e acquitrini, case e giardini, che io mi farò le mie cose in casa mia”.
Anche per effetto di uno stile narrativo volutamente naïf (mi ha decisamente ricordato i “Grandi ustionati” di Paolo Nori), la lettura è divertente anche quando rasenta il nonsense (“I gatti la natura li ha fatti così, cioè fatti a modo loro, e fatti per esempio diversissimamente dai cani, cioè fatti da gatti”) e anche quando sfida l’animalismo – latente o manifesto – del lettore.
Bruno Elpis
A questo link potete trovare l’intervista all’autore:
http://www.brunoelpis.it/le-interviste/1054-intervista-a-ugo-cornia-autore-di-animali-topi-gatti-cani-e-mia-sorella
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Animali (topi gatti cani e mia sorella)
Una chicca. Semplicemente una piccola deliziosa rarità. In questo suo breve ma esaustivo e ricco libricino Cornia ripercorre gli anni della sua vita prima con la presenza di animali e dopo con la loro assenza. Retoricamente parlando il filosofo ci mostra gli aspetti della natura a noi vicini e a noi lontani, quelle sfumature di colore che quando abbiamo dinanzi agli occhi non riusciamo a percepire quasi fossimo accecati da una luce e non avessimo gli occhiali da sole per filtrarla.
Parte dai topi il nostro autore. Siamo nella “casa vacanze” a Guzzano e sua sorella, nonostante la precedente derattizzazione del ’92, ha accolto alle sue amorevoli cure dei piccioni col vaiolo che hanno a loro volta richiamato topi, arvicole e ratti a volontà. Da qui l’arguto pensatore si sposta sulle variabili di “eliminazione” di questi ultimi riflettendo sui pro e i contro, ma anche sull’intelligenza di questi mal visti esseri, della loro uccisione; sulle modalità adottate e sulla inevitabilità del conosciuto epilogo. Con questa riflessione introduce il tema della pena di morte ancora oggi vivente in taluni paesi e con semplici esempi invita alla riflessione del lettore.
Abbraccia la filosofia felina descrivendone la psiche con maestria. Ci racconta della gatta persiana che ha partorito ben 17 volte e della sua voglia di insegnare, di seguire i suoi cuccioli di difenderli da Celeste pronto immediatamente ad annegarli o a spaccargli la testa pur di sbarazzarsene; ci narra le avventure di Cito, Cionci e la Pinza, del loro acume e della loro intelligenza; del loro farsi voler bene e considerarti una loro proprietà, della depressione della micia e della non poi così grande diversità tra umani e gatti. Ci descrive la situazione di chi umanizza e di chi lascia inalterato l’animus dell’animale; delinea il bisogno stesso di questi quasi elastici esserini che pur se indipendenti bisognosi di affetto. Cornia non si risparmia e non ci ovatta niente; tanto meno le uccisioni da parte di terzi di questi cuccioli anche con spari o veleni di più generi. Una domesticità molto diversa dalla tradizionale.
Infine Tobia, l’ultimo ma non il primo cane entrato nell’abitazione di Cornia, conclude con la sua apparente pazzia questo breve saggio sulle convivenze animalumane. Tobia è il cane della sorella. Questa, uscendo un giorno di casa per andare a comprare un paio di scarpe, è tornata con le predette calzature e Tobi; un delizioso incrocio di più razze; alto circa 80 cm e amante di una sola ed unica persona: lei. Tutti gli altri individui non sono ben accetti e non possono compensare l’assenza della famigerata sorella dell’autore. Tra Cornia e Tobi nasce immediatamente un rapporto contrastante, letteralmente di chi; scusate il francesismo; “piscia più lontano”. Lotte interminabili per il divano, stratagemmi di crakers, sguardi funesti e piccoli morsi inattesi quando nessun gesto era anche solo lontanamente pericoloso, patti silenziosi, conflitti e affetti. Una convivenza che si aggiunge alla già precaria condivisione di spazi con la sorella e le sue regole fortemente tutelanti della libertà e psiche animale.
Cornia in queste ultime pagine ci mostra il suo lato più ironico, apparentemente quasi delirante per chi è un animalista al 100%, per giungere infine a tracciare il labirinto delle emozioni.
Lo stile narrativo ricorda la lingua parlata, come se fosse stato scritto di getto ciò che l'autore stava pensando in quel momento. Una impostazione che può piacere o meno.
Vi lascio con un incipit:
“[..] che un gatto ha un modo di volerti bene che non è tanto un modo di volerti bene, quanto il considerarti una sua proprietà, secondo questa opinione tu per lui saresti una sua proprietà, una sua cosa. A questo riguardo chiunque abbia un gatto lo sa che il gatto ha una sua ben specifica psiche, e che se tu ti siedi a una tavola e inizi a scrivere su un foglio, oppure apri davanti a te una rivista ed inizi a leggerla, dopo dieci minuti che sei li tutto assorbito che sfogli e leggi sta rivista in quel momento arriva il gatto e si sdraia al centro della rivista, e se il gatto sta dormendo in una poltrona e tu vai a sederti a tavola magari con un foglio su cui devi fare dei compiti, oppure appoggi sulla tavola una rivista per leggerla, mettiamo anche che sia diventato buio e tu hai acceso una lampada per guardare bene il tuo foglio, e tutto il resto della tavola sia libero e nel resto della stanza ci siano altre tre poltrone libere e la stanza sia completamente vuota, comunque dopo un quarto d’ora che tu sei li e che stai leggendo la tua rivista appoggiata alla tavola, in quel momento il tuo gatto in gran silenzio arriverà e si sdraierà esattamente in mezzo alla tua rivista bella aperta, proprio nel punto dove stai guardando e se tu lo sposti lui continuamente cerca di tornare li, perché non vuole stare a dieci centimetri da quello che stai facendo ma VUOLE STARE ESATTAMENTE NEL MEZZO DI QUELLO CHE STAI FACENDO. [..]