Undici. Non dimenticare
Letteratura italiana
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Atti unici
Uno dei primi testi editi da Andrej Longo, scrittore ischitano di nascita e napoletano per indole ed estensione, era una raccolta di dieci racconti, intitolata appunto “Dieci”, che descrivevano molto bene, con accuratezza e meticolosità, non disgiunta da intenso coinvolgimento emotivo, la prosaica realtà napoletana, in verità analoga a quella comune e ricorrente, sotto qualsiasi altra latitudine, ogni qual volta si realizzano contesti di un certo degrado economico e sociale, con conseguenti difficili condizioni di vita. In sintesi, storie difficili, dolorose, come lo sono sempre i racconti dal degrado.
“Dieci” non raccontava quindi di angeli e cherubini del Paradiso trapiantati in Terra, piuttosto narrava di una terra da paradiso. Che poteva essere davvero un intero Eden luminoso, in certi angoli bui però qualcosa è andato storto, in mancanza di adeguati punti di luce. Se mancano i giusti spot, faretti denominati scuola, lavoro, famiglia, educatori, giuste opportunità e sane condizioni di vita, nessun paradiso in terra sarà illuminato, in buona luce, e poiché il buio è complice foriero d’ignoranza, miseria, fame, delinquenza, appare inevitabile scadere nell’illecito per procacciarsi altrimenti il necessario. In questo ultimo lavoro di Longo, però, l’autore si differenzia, va oltre: stavolta racconta di altri, e narra di più, con maggiore partecipazione, lo spot lo indirizza specialmente su chi invece si danna per restare nei limiti del lecito e del consentito, e paradossalmente realizza così uno stile di vita ancora più tormentato e stentato, avaro di giustizia e meritata ricompensa.
Votarsi onestamente, con fatica, sudore, umiliazione e sconforto, per quanto possibile, alla mera ma onesta sopravvivenza quotidiana, equivale a scendere in battaglia, una guerra aperta, soli contro tutto e tutti, e tutto questa fatica solo per sbarcare il lunario in modo lecito e consentito.
In guerra, le vittime predilette sono sempre i più deboli, le donne e i bambini, le prime assai più delle seconde: e “Undici – per non dimenticare” di Andrej Longo è appunto la naturale prosecuzione di “Dieci”, uno step successivo nella fortunata produzione dell’autore, un testo qualitativamente migliore, e però sempre uguale nella trama, nell’intreccio, nel vissuto, nel dolore, perché costante è la realtà riportata, seppure a distanza di qualche tempo.
Si vede che servono ancora altri punti luce per rischiarare le vie, e le vite: in particolare, le vite femminili. Quelle di “Undici” allora sono atti unici, riportati con crudezza e realismo; Longo ha una scrittura asciutta, secca, senza fronzoli, è una voce garbata e rispettosa, che riporta letteralmente quanto vede, non ingigantisce, non esagera, nemmeno esaspera, gli basta descrivere le cose come stanno perché incidano, inducano alla riflessione, se non allo sdegno, e non si dimentichino, da qui il sottotitolo: non dimenticare.
Sono racconti in cui ci si interroga, chi racconta e chi legge, se per esempio, in “La vita che volevo”, innamorarsi a quindici anni, sposarsi l’anno dopo, fare due figli , come tante, come tutte, è davvero la vita che volevi. Oppure, nel racconto tragico e dolente “La sedia”, se rivendicare un posto auto, situato immediatamente all’infuori del proprio domicilio, pur non possedendo nemmeno l’automobile, sottraendolo ad altri con il semplice espediente di occupare lo spazio pubblico con una sedia malridotta, sia un atto di semplice protervia, da contestare in nome del diritto comune e della civile convivenza, o piuttosto un segno di tracotanza malavitosa, con tutti i pericoli che questo comporta, e quindi da lasciar correre, perché non sai mai cosa ne possa derivare.
Ancora, in “La cinese” ci si chiede se la maternità sia davvero il fiore all’occhiello, per non dire di totale ed esclusivo appannaggio delle matrone napoletane. Certamente vi ricorderanno qualcosa i famosi modi di dire: “i figli non si toccano”, oppure “I figli so’ figli”, e ancora “ I figli sono pezzi di cuore”.
Non credeteci, anche le donne cinesi sono mamme.
Che si ammazzano di fatica, ma non muoiono se non, forse, di crepacuore.
Ricorderete tutti la famosa canzone che chiede a qualcuno di poter andare allo zoo e per scherzo allarmare tutti affermando che è scappato il leone, e vedere di nascosto l’effetto che fa.
Ebbene, se nella realtà a scappare è una tigre?
Nel racconto “La tigre” riesce difficile stabilire chi è la vera bestia feroce, anche se sarà il possente felino a soccombere.
Non prima di aver fatto un atto di giustizia, però; perché la legge della giungla è crudele, ma fidatevi, è equa e solidale, e conserva memoria di quello che è giusto e di chi è empatico.
E via così per tutti gli altri racconti, un fluire continuo per un totale di undici gemme, anzi no, sono dodici, l’autore ne aggiunge un altro “motu proprio”, e a ragione.
In tutti racconta il vissuto che lo ha plasmato, con toni e accenti dei luoghi, termini dialettali, suoni e melodie, stridori e onomatopea, Andrej Longo trasporta chi legge a spasso nella Napoli meno folkloristica e più reale, non giudica, lascia che siano i fatti così come accadono a parlare singolarmente per lui al lettore. In poche parole, dopotutto sono atti unici. Da non dimenticare.