Una storia semplice
Letteratura italiana
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Una giustizia possibile o non possibile?
«E poi la gran trovata di mettere il punto dopo “ho trovato”: “ho trovato che la vita non vale la pena di essere vissuta”, “ho trovato”, “ho trovato”: il tutto e il niente»
Una storia semplice, o forse una storia affatto semplice. Una storia semplice perché specchio di una realtà che ci appartiene e che è diventata fin troppo quotidianità comune, una storia semplice che semplice non è perché narra di un giallo intricato che, se vogliamo, non trova nemmeno davvero soluzione. Una storia semplice che viene narrata da un narratore mai semplice e sempre molto molto particolare e minuzioso nel suo scrivere. Uno scrittore che sa rendere apparentemente semplice un fatto affatto tale.
Sciascia scrive questo breve scritto nel 1989, ci trasporta in una realtà con molte criticità e nello specifico in un ambiente poliziesco, una caserma, che riceve una chiamata da parte di un diplomatico assente da molto tempo nella cittadina. Rientrato nella tenuta ha trovato qualcosa e chiede l’intervento della polizia. Il commissario declina e prende alla leggera la richiesta considerandola quale quella di un mitomane che quasi si sia dedicato a fare uno scherzo alle autorità e invita il brigadiere a farvi una capatina il giorno successivo. Sarà proprio in queste circostanze che il brigadiere scoprirà quello che è il corpo di un uomo senza vita e quella frase “ho trovato” seguita da un punto fermo. Da qui i sospetti. All’inizio ci sarà chi punterà sull’ipotesi di un suicidio mentre costui sin da subito su un omicidio. Tanti i dubbi e le nefandezze che si celano dietro “una trama semplice” che finisce con il concludersi con un “finale aperto”. In perfetto parallelismo e binomio in stile Sciascia.
Lo stile è asciutto, la trama non scontata, la vicenda appassionante. Al contempo vi è amarezza e malinconia, tra queste pagine. Sembra che la conditio sine qua non quella sia e quella resti in ogni caso voluto o fortuito del nostro vivere, quasi come se quel malessere fosse radicato nella nostra società senza possibilità d’appello. Emblematico l’incipit di partenza nonché la citazione che ne apre le pagine.
«Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia.» Durrematt, Giustizia
Ultimo suo scritto, forse, ma certamente da non dimenticare nonostante l’asciutezza del medesimo. Un gioco di specchi e intrecci che non delude le aspettative e invita alla riflessione il lettore.
«L’atavico istinto contadino a diffidare, a vigilare, a sospettare, a prevedere il peggio e a riconoscerlo gli si era risvegliato fino al parossismo.»
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La chiarezza di Sciascia
La quarta di copertina e molte delle recensioni che ho letto su questo racconto di Sciascia sottolineano come il titolo, in una sorta di ironia tragica, usi l’aggettivo semplice laddove la trama è invece molto complicata. Io credo invece che questa sia davvero, purtroppo, “una storia semplice”, semplice perché fin troppo quotidiana, semplice perché fin troppo entrata in un sistema di pensiero per cui quasi si fatica a stupirsi. Semplice non è facile, è soltanto l’ipotesi più ovvia: e purtroppo mai per un istante il lettore riesce a illudersi che tutto è come appare. Io penso che in questo “semplice” ci sia più amarezza che ironia, più disincanto che sarcasmo, più dolore che umorismo. Lo stile di Sciascia è pulito e tagliente, caratteristico col suo incedere leggermente anacolutico, con i suoi costrutti dal ritmo quasi classico, con la sua sommessa grandezza e la trasparenza del pensiero. Ecco i punti migliori del racconto sono proprio quelli in cui più brillante risalta l’intelligenza acuminata dello scrittore, nelle battute laceranti e improvvise che irrompono in un dialogo e che sono capaci, in due parole, di adombrare spazi di intensa riflessione.
C’è un omicidio, c’è un intrigo, un nodo da sciogliere: è una storia semplice, quella di un giallo che si è fatto realtà, quella di una terra dilapidata della sua innocenza, stretta nella morsa di un potere che vuole solo preservare se stesso. È un racconto condotto con grazia, raccontato con intelligenza, cui forse nuoce solo una lunghezza ambigua: troppo per un racconto fatto e finito, troppo poco per un romanzo breve. Eppure scrivere con tanta decisione e con tanta limpidezza di pensiero non può che essere segno di uno scrittore dotato di rara coerenza e ancora più rara umiltà.
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Sciascia il "semplice" ma potente
Sciascia ha una "capacita di sintesi" fuori dal comune. Questa definizione va tuttavia estesa: essa non si limita all’accezione del “raccontare molte cose in poche parole”, ma anche all’abilità di trasmettere un messaggio forte e efficace, senza la necessità di mettere in piedi storie complicate e condensando tutto in poche pagine. A questo, aggiungiamo che Sciascia, anche nelle sue opere più brevi, non risulta mai sbrigativo o sciatto e capirete di avere di fronte un “matematico” della letteratura. Sì, perché così come i matematici snelliscono le loro formule facendogli mantenere lo stesso significato, così Sciascia riesce a snellire le sue storie senza che queste ne perdano in forza.
Per quanto mi riguarda, questa è una delle peculiarità più grandi dell’autore, che gli ha permesso di distinguersi nel panorama letterario italiano e che lo rende quanto mai leggibile in questi tempi in cui le digressioni ci piacciono così poco. Di questa peculiarità, “Una storia semplice” è un fulgido esempio.
Partiamo dal titolo, che potrà apparire banale ma non lo è: "Una storia semplice" narra infatti gli eventi di un caso poliziesco che tanto semplice non è, ma che tale viene considerato fin dall'inizio. Questo perché alcuni degli attori coinvolti vorrebbero bollarlo in fretta come “un caso di suicidio”, così da non doversi assumere gli oneri e i rischi che vi sono implicati, con immensa vergogna per gli organi di giustizia. Se non fosse per la solerzia del brigadiere che si ritrova per primo sul luogo del delitto, il caso verrebbe archiviato come se fosse davvero una storia semplice e priva d’importanza.
In secondo luogo, soffermiamoci sull’aspetto puramente narrativo: in effetti non v’è nulla di cervellotico o difficile da comprendere, in questa storia, eppure questa porta a galla una realtà tutt’altro che semplice da digerire; una realtà che si palesa con una potenza inaudita soprattutto nella pagina conclusiva. L’ultimo paragrafo è infatti un pugno nello stomaco, un paragrafo in cui ci viene presentata una verità scomoda, che provoca riflessione e amarezza.
“Una storia semplice” si legge anche in un’ora, ma credo che ne valga assolutamente la pena. Ricordate, vi sono pochi autori che riescono a trasmettere così tanto, con così “poco”; in modo semplice.
“Il magistrato scoppiò a ridere. «L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica…». «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare» disse il professore. «Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto». La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.”
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Eccellenza dell’essenzialità
Come i preziosi distillati che racchiudono il loro pregiato gusto in poche gocce da sorseggiare, i romanzi di Leonardo Sciascia non finiranno mai di stupirmi per la capacità di condensare altissimo valore stilistico e profondità di contenuto in una manciata di pagine. Nel suo modo sottile e pacato, senza proclami e senza retorica, l’autore riesce, in un racconto di poco più di sessanta pagine, a rappresentare la società con lucidità e ironia, denunciandone soprusi e contraddizioni. Bastano poche argute battute, qualche precisa pennellata e un intreccio apparentemente semplicissimo per dire tutto. Perché, davvero, a questo piccolo elaborato non manca proprio nulla.
La “storia semplice” è il presunto suicidio di un diplomatico in pensione, una storia che sembra già scritta, con un colpevole che accontenta un po’ tutti. Ma un solerte brigadiere, spinto da onestà intellettuale e naturale curiosità, non si fermerà all’apparenza delle cose e porterà avanti un’indagine che nessuno sembra aver interesse ad approfondire, trovandosi così coinvolto in una “storia complicatissima” di mafia, traffico di droga e corruzione.
Con la solita penna essenziale e ricercata, di dialoghi brillanti e sottile ironia, l’autore siciliano mette ancora una volta in scena temi a lui cari quali la corruzione delle istituzioni, la connivenza con il potere mafioso, l’omertà diffusa. Perché etica e onestà si pagano spesso a caro prezzo e la verità finisce così per piegarsi alla paura e alla convenienza personale.
Si nota come in questo racconto manchino quasi completamente descrizioni dell’ambientazione e dei personaggi. Siamo in un commissariato dove il potere è malato e colluso. Siamo in un paese in cui anche la religione puzza di malaffare. Siamo in Sicilia ma in fondo potremmo essere ovunque e quest’assenza di coordinate geografiche e umane sembra quindi una scelta che aggiunge, invece che togliere. Aggiunge universalità.
Ancor più emblematica appare allora la frase di Durrenmatt, scelta come epigrafe al testo: “Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”. E ancor più amaro è pensare che nell’ultimo suo scritto, datato 1989, l’anno della sua morte, Sciascia non abbia concesso alcuna possibilità alla giustizia, che soccombe ai soprusi, ai silenzi e all’opportunismo caratterizzante la società in cui viveva. La società in cui viviamo.
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L'ultima parola
Lascito dello scrittore siciliano, esce postumo, offre attraverso una storia emblematica un'amara constatazione: l'opportunismo vince sull'etica, la giustizia è ancora un ideale cui tendere. Tutta una vita spesa a credere a questo valore ma un'ultima opera, emblema ancora una volta della sua sconfitta. Per chi credeva nella ragione , nella libertà e nella giustizia solo il dovere di ricordare a noi tutti che legalità , giustizia, ragione sono prima di tutto da ricercarsi nel singolo, nella sua azione nel quotidiano anche quando esso sia già muffito per ragioni storiche, geografiche, culturali e di appartenenza ad un territorio difficile. L'invito a fare della giustizia un valore intrinseco all'individuo per non ritrovarsi a ricercarla in modo estrinseco in un meccanismo che non è perfetto ma che la ragione può aiutare.
La scrittura magistralmente concisa e semplice offre con questo racconto lungo la possibilità di focalizzare l'attenzione del lettore sul caso di un omicidio che si vuol far passare per suicidio.
Una telefonata muove le indagini, a farla è chi, inconsapevolmente, spezzerà l'immobilità di un commissariato disturbato la vigilia di S. Giuseppe. La stessa telefonata che darà il via ad un curioso via vai di brigadieri, commissari, questore rappresentati immobili nel loro antagonismo fine a se stesso, suscitando indubbia ilarità, decreta anche la condanna a morte di chi quella telefonata farà.
Il caso farà irrompere sulla scena, all'atto della ricostruzione dei fatti, chi nella scena non avrebbe voluto entrarci e che, all'uopo, deciderà di abbandonarla tempestivamente. L'opportunismo vincerà sull'etica mentre un altro piccolo grande uomo, un' altra individualità, fa della sua etica una scelta di vita.
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Intrigo e colpi di scena
Lo stile narrativo di Leonardo Sciascia è sempre indirizzato nella descrizione particolareggiata e peculiare della sua Sicilia e con la maestrìa di far intravvedere, al lettore attento, il profondo dell’animo dei suoi protagonisti.
La vicenda del romanzo in questione ha luogo in un luogo non meglio precisato della Sicilia dove fa ritorno, dopo un’assenza di oltre quindici anni, un diplomatico in pensione per recuperare alcuni oggetti a cui è particolarmente affezionato e che si trovano in un villino di campagna di sua proprietà fino allora abbandonato. L’anziano diplomatico nota delle strane circostanze che sono, nel frattempo, accadute durante la sua assenza; informa le forse dell’ordine locali che inviano un solerte brigadiere a verificare “in situ” ciò che è realmente successo. Il funzionario di polizia trova nel villino, riverso sulla scrivania, il cadavere del diplomatico che si accingeva a scrivere qualcosa su un foglio di carta. Le indagini da parte delle autorità vogliono chiudere presto il caso classificandolo come suicidio; ma il brigadiere è scettico e vuole andare fino in fondo, anche perché accade un altro fatto delittuoso a scapito del capostazione e un manovale della locale stazione ferroviaria che vengono trovati morti senza ragione apparente.
La storia, all’inizio, appunto, semplice, diviene complicata in quanto, agli occhi dello scrupoloso brigadiere, comincia a dipanarsi un intricato scenario in cui sono coinvolti personaggi molto in vista nel territorio i quali avevano scelto proprio il villino temporaneamente abbandonato dal defunto diplomatico, per svolgere particolari attività delittuose a fine di elevato lucro.
Vi è un epilogo tragico che viene comunque “coperto” come fatto accidentale.
Un romanzo piacevole che riserva diversi colpi di scena e strane coincidenze coinvolgenti autorità di forza pubblica, magistratura e rappresentati del clero.
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Il centro del bersaglio
Se si potesse entrare in questa storia diventandone un personaggio di rilievo occorrerebbero nervi saldi, occhi e orecchie bene aperti e una buona dose di intuito. La capacità, insomma, di cogliere al volo i particolari e il significato che sta nascosto dietro le parole più banali.
Che possibilità restano alla giustizia?
Non molte, se si vuole prestare fede al messaggio ironico e amaro dello scrittore, che espone i fatti dettagliatamente cominciando dal presunto omicidio di un diplomatico.
Presunto, perché con un po' di buona volontà potrebbe anche passare per suicidio ed essere archiviato come una storia semplice, a meno che non si voglia andare a cercare il pelo nell'uovo.
Il pelo in questione lo trova quasi subito un brigadiere con “il vizio di intervenire”, quando si accorge di un tentativo di depistaggio improvvisato e astuto nel suo genere.
A volte basta aggiungere un semplice punto ad una frase ritrovata vicino ad un cadavere per stravolgerne completamente il significato e, nel caso particolare, “dar l'impressione che con quel punto l'uomo aveva appunto messo un punto fermo alla propria esistenza”.
Lo scrittore gioca chiaramente con le parole e deride sottilmente l'andamento stiracchiato delle indagini, con le forze dell'ordine che sono solite intervenire “al più presto possibile ma appena possibile, così collocando la possibilità in modo da non illudere sulla prestezza”.
Intanto una verità scomoda e clamorosa si fa strada per chi abbia l'onestà intellettuale di guardarla in faccia: mettete insieme un paio di guanti e due occhi “invetrati come di terrore” ed avrete l'immagine di un omicida.
I dialoghi sono una delle chicche di questo racconto, caratterizzato da arguti botta e risposta all'ultimo sangue:
“Badi che colpire il centro di un bersaglio non basta per essere considerati buoni tiratori. Ci vuole destrezza, rapidità...”.
Vince chi riesce a non farsi mettere nel sacco da chi può cambiare le carte in tavola trasformando un testimone oculare in un colpevole, e vince, è ovvio, chi ha l'accortezza di non farsi ammazzare con frasi avventate.
L'importante è non tornare sui propri passi, soprattutto se portano in questura per raccontare fatti di cui si è a conoscenza:
“E che, vado di nuovo a cacciarmi in un guaio, e più grosso ancora?”.
In effetti, non sembra che restino molte possibilità alla giustizia.
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un nido di rondine
Perché Sciascia ha scelto un titolo così lontano da quella che è una storia complicata come l'architettura di un nido di rondine?
Grande perla della letteratura gialla italiana, un'ottantina di pagine che racchiudono l'essenza del giallo. Sciascia con un libricino come questo prende a sberle chi per attirare il lettore si ingarbuglia con trame assurde e finali inconcludenti. Una storia semplice è opera schietta sincera che non lascia delusi alla fine della lettura. Diretto e semplice nella narrazione ma elevato e complesso nella trama. Rasenta l'eccellenza.
Si legge in poco tempo e riempie di soddisfazione. Consigliato a chi non ha voglia di perdere tempo. Scorrevole essenziale e magistrale.
Buona lettura a tutti.
Syd
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Complicatissima
A dispetto del titolo, è una storia complicatissima, un giallo siciliano, con sfondo di mafia e droga, senza che mai l'autore si trovi costretto a nominare sia l'una sia l'altra parola. La storia comincia in sordina e subito si espande, si dilata, si aggroviglia. Splendido è il personaggio del brigadiere. Lo stile è sapiente, elaborato seppure nella sua apparente linearità. E' un piccolo capolavoro di suspence, di ritmo e di indagine psicologica. E' bello come aritmeticamente si arriva alla verità, svolgendo la catena delle deduzioni.
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ho fatto una strana esperienza di lettura
Premetto che non è il genere di libro che leggo spesso, molto piccolo e se non fosse per qlibri non sarei riuscita a classificarlo nei "racconti" ... sembra un piccolo poliziesco.... all'inizio addirittura scontatuccio però è carino il capovolgimento che l'autore attua.... devo dire la verità, mi sembra uno di quelle letture per ragazzi (non inteso in senso dispreggiativo) essendo abbastanza sempliciotto per quanto riguarda il modo di scrivere e la storia di per sè... però,tutto sommato è carino, l'ho letto in pochissimo tempo, tipo un oretta e questo non mi ha dato la possibilità di affezionarmi ai personaggi e alla storia, cosa che io invece amo particolarmente fare!
cmq è un'esperienza che valeva la pena fare, perchè ho capito che mi piacciono i libri con almeno 200 pag, dove la storia si mescola con l'aspetto umano dei protagonisti, cosa che l'autore essendo un libro di 60 pag circa, tralascia!!!