Sbirre
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Tre donne poliziotto
Sbirre reca in sé tre firme autorevoli come quelle di Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo e Maurizio De Giovanni. Il punto cardine del libro è che le protagoniste sono tre donne:
“Anna aveva due vite e ha perso tutto.
Alba non crede a nessuno.
Sara è la donna invisibile.”
Queste tre figure sono il frutto della fantasia di tre giallisti importanti per l’editoria italiana: uno ha inventato Marco Burrotti detto L’Alligatore, l’altro ha firmato Romanzo criminale e Suburra, e l’ultimo il commissario Ricciardi e i Bastardi di Pizzofalcone.
Ora parlano di tre poliziotte, tre donne in divisa. Ma:
“Le sbirre di questi racconti sono creature di confine, paladine mancate, guerriere comunque sconfitte, sedotte dal delitto, soggiogate dalla vendetta, in bilico tra bene e male.”.
Il primo racconto vede protagonista il vicequestore Anna Santarossa, una donna corrotta, che insieme al suo amante Zeno Degrassi, vendono “soffiate” alla mafia bulgara, spietata come non mai. Qualcosa sconvolge gli equilibri e il cadavere del suo amante viene ritrovato orrendamente mutilato. Lì Anna comprende di aver commesso un errore determinante. La sua vita è sconvolta, la sua perfetta immagine di giovane donna sposata ad un dentista ed inflessibile poliziotta perduta per sempre. E allora come comportarsi? Inseguita da criminali indefessi e pericolosi non le rimane che inventarsi e costruirsi una terza vita, dove non esistono né valori né regole per salvarsi.
Invece il commissario Alba Doria si trova ad indagare su un omicidio inquietante: un giovane della Roma bene ha sparato ai due genitori, e poi si è gettato dalla finestra con il suo computer, quasi obbedendo ad un ordine che non si sa da dove e da chi proviene. Nessuno le crede, ma lei ben presto si rende conto di dover affrontare le insidie del web, di un uomo misterioso che si fa chiamare “il Maestro”, che semina odio e vendetta tra le pieghe più segrete del dark web.
L’ultimo racconto, a firma De Giovanni, vede Sara Morozzi, una donna speciale, fantastica. Lei sa leggere le labbra delle persone, e interpretarne il linguaggio del corpo. Ha lavorato fino a poco tempo prima per i Servizi, ora, dopo la morte dell’amato compagno, si è ritirata a vita privata, alle prese con la cura delle tante ferite che la opprimono. Ma un evento tragico la costringe a ritornare là dove aveva lasciato: l’investimento del suo unico figlio abbandonato da lei in tenera età, per seguire un grande amore, segreto e difficoltoso. Ora cerca vendetta ma a modo suo.
Questo testo spazia :
“Dall’estremo Nordest di una frontiera selvaggia fino alla Napoli anonima di sobborghi e quartieri residenziali, passando per una Roma in cui davvero aprile è il più crudele dei mesi e la primavera ha smesso di riscaldare i cuori. Massimo Carlotto Giancarlo De Cataldo e Maurizio De Giovanni raccontano l’Italia al tempo dell’illegalità globalizzata, delle “fake news”, del condizionamento di massa. Svelano le ossessioni, le paure e la privata ferocia di coloro che dovrebbero difendere l’ordine pubblico. Inaugurano una “new wave” della letteratura nera, in cui la donna non ha più nulla di fatale, ha rinunciato alle pose marziali della giustiziera e, lontana dall’eroismo inquirente, restituisce la cupezza di una realtà quanto mai controversa.”.
Non si può rimanere indifferenti dinnanzi a queste tre figure di donne. Donne sofferenti, difficili da comprendere, donne in bilico tra bene e male in un sottile confine. Una lettura che colpisce il lettore trascinandolo in un vortice di emozioni e di sentimenti. Un caleidoscopio di figure femminili affascinante e profondo. Una narrazione precisa e sintetica, che giunge al nocciolo profondo delle tematiche discusse. Un ottimo testo e una bella lettura.
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Il terzo è una perla
Tre autori italiani. Tre racconti. Tre donne. Tre poliziotte. Anna è un poliziotto corrotto e paga molto cara la sua superbia, la sua strafottenza ed i suoi errori. E’ la protagonista del primo racconto in cui però spicca, per bellezza, il personaggio della vedova dell’amante. Il secondo racconto è estremamente attuale: ambientato nel mondo del dark web, fra haters e istigazione degli adolescenti a giochi violenti e pericolosi. Il terzo racconto, “Sara che aspetta”, è il più breve ed è semplicemente superbo. In assoluto il migliore dei tre. Un vero gioiello. Per il ritmo, lento e sempre più in progressione. Per il ritratto della protagonista, che ho amato fin da subito. Per le figure secondarie che costellano la storia. Per l’atmosfera intima che, seppure in poche pagine, l’autore è riuscito a creare e per l’inaspettato finale.
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Quoto solo De Cataldo.
Tre storie quelle presentate che assumono la forma di tre lunghi racconti scritti da tre autori diversi.
Nella prima, a firma Carlotto, ci troviamo di fronte all’ennesima poliziotta corrotta e fedifraga, nella seconda, a firma De Cataldo, ci troviamo davanti ad una agente precisa, incorruttibile e meticolosa che indaga su misteriosi morti che richiamano in parte il fenomeno del Blue Whale per poi distaccarsene e dar vita a un intreccio narrativo solido e ben architettato, la terza, a firma De Giovanni, è una sorta di prequel di quello che poi è divenuto “Sara al tramonto”.
Che dire, i nomi sono altisonanti, le aspettative altrettanto alte. Purtroppo però tra le tre l’unica vicenda davvero originale, innovativa e piacevole da leggere è quella di De Cataldo. Carlotto eccede con il malcostume dei funzionari di pubblica sicurezza – tema che ormai è stato trito e ritrito – e con la volgarità e le violenze al genere femminile, i suoi personaggi, infatti, faticano a entrare nelle grazie del lettore, De Giovanni, al contrario, non convince soprattutto se si è già letto – come nel mio caso – l’opera citata e di fatto successivamente pubblicata. Il risultato è un senso di delusione cocente che non manca di aleggiare nell’aria con tutto il suo disarmante aroma. A mio modesto giudizio “Sbirre” indossa i panni dell’evento mediato e si offre al grande pubblico al massimo come un libro per “novizi” di questi autori ma che è incapace di esprimerne il vero potenziale.