Pugni Pugni

Pugni

Letteratura italiana

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«A me la faccenda della boxe piaceva parecchio. Non so cos’era. Forse anche la formidabile sensazione che c’era un luogo dove avevo qualche numero, o dove comunque potevo battermi ad armi pari». Il Ballerino e la Capra: è come se tutta la loro vita, quella breve trascorsa ma anche la futura, fosse stata disegnata per il loro incontro. Il Ballerino è per bene, prende bei voti, non ha mai una ragazza, goffo («sfigato», secondo l’autodefinizione) e «dice sempre la cosa sbagliata»: fa pugilato per riappropriarsi dell’esistenza; con la sua leggerezza da libellula sul quadrato è diventato una leggenda, ma la madre gli vieta di salire sul ring seppure per un solo incontro e lui non si è mai misurato. La Capra, è povero, è sordo e non riuscire a sentire le voci lo ha escluso dal mondo, combatte con una testarda determinazione ed è un campione che scala la vittoria come le capre i burroni, ma vuole sapere se veramente è lui il più forte. Boxe, il primo di questi tre ritratti di giovani alle prese con l’iniziazione alla vita, parla di palestre e odori di corpi, di sacrifici e rese smargiasse, della prova e della sfida, della rivelazione folgorante del senso segreto della vita, dando la sensazione di un arco che si tende al limite della rottura. Cavalli, il secondo, ha come un andamento di ballata e fa sentire spazi aperti: due fratelli, ricevono dal padre due cavalli e il via al loro destino. «Fu subito chiaro a tutti che i cavalli avrebbero portato i due fratelli in luoghi diversi» e il primo usa il suo per andare e venire dalla città in esperienze e avventure; l’altro resta, col laborioso intento di metter su un allevamento. Una ferita aperta da lavare li ritrova fianco a fianco e svela chi è già uomo e chi deve ancora diventarlo. Se i primi due hanno a che fare con l’impresa di giovani uomini di diventare ciò che sono, il terzo racconto, La scimmia, narra la voglia di sparire come strada possibile in agguato, e rappresenta la fragilità invincibile degli esseri: l’amico conosciuto come più ricco, più fortunato, improvvisamente decide di essere una scimmia, e il velo impenetrabile del delirio mostra un certo senso della vita che da quel momento si attacca all’amico sano come il doppio che sta sempre accanto. Pietro Grossi, giovanissimo scrittore, esprime un’epica del quotidiano; i suoi personaggi, uniti in coppia da doppi legami destinati a salvarsi assieme o cedere entrambi (l’avversario-amico per sempre, l’antagonista-fratello, l’alter ego sconfitto) lottano per una specie di unità dell’esperienza.



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Pugni 2017-04-04 09:11:11 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    04 Aprile, 2017
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Maturazione

Tre racconti, intitolati rispettivamente “Boxe”, “Cavalli” e “La scimmia”, compongono “Pugni” seconda opera firmata Pietro Grossi. E se nel primo episodio narrato effettivamente si parla di Boxe, si descrivono i combattimenti tra due giovani che non fanno altro che scontrarsi nella diversità per riscoprirsi uguali, per riscoprirsi accomunati dalla medesima ricerca; nei successivi comprendiamo quanto quel titolo possa essere, ad una prima analisi fuorviante, e, ad una più approfondita, rivelatore di quello è l’intero senso della raccolta.
Grossi, infatti, ci invita a riflettere su quei pugni che la vita ci riserva, su quegli ostacoli che fanno parte della quotidianità, su quelle difficoltà che siamo chiamati a superare, su quegli scalini che siamo chiamati a salire, per raggiungere il nostro equilibrio, la nostra maturità, semplicemente per crescere. Di fatto, ciascun protagonista è accomunato da quel grande denominatore comune: la ricerca di sé, la ricerca della propria strada.
Non solo. Ogni racconto è caratterizzato anche da quel confronto tra “mondo esterno” e “mondo interiore”, confronto necessario per raggiungere la propria completezza. Al tutto si somma una penna veritiera, contraddistinta da elementi concreti, tangibili, tanto nelle espressioni linguistiche quanto nelle ambientazioni. Lo stile narrativo adottato è altresì diretto, ironico, e avvalorato dalla presenza di qualche intercalare fiorentina che non fa che rendere ancora più realistico il componimento.
Innegabile la maturazione dell’autore che già in “Touché” si era dimostrato piacevole e degno di nota.

«Mi resi conto d’un tratto che eravamo della stessa razza, due ragazzetti sfigati emarginati che lottavano per la vita, per quel brandello quadrato e sporco di realtà in cui le cose andavano come dovevano e tutto si rimetteva insieme. E d’un tratto una parte di me capì che nessuno dei due avrebbe potuto vincere, che entrambi non avevamo che da perdere» p. 58

«Finito l’incontro riprese tutto più o meno come prima: mi alzavo, andavo a scuola, studiavo, prendevo bei voti. Tutto però era a suo modo diverso. Tutto da un momento all’altro era vero. Forse è questo che vuol dire crescere, rendersi conto di come stanno davvero le cose. Se ci pensi è tanto affascinante quanto triste, e per quanto sai che non potresti vivere altrimenti, lo dici ugualmente con una vena di malinconia» p. 70

«C’è chi il coltello lo usa per uccidere e chi per affettarsi una mela. Lo stesso coltello, e tutto ciò che c’è nel mezzo, è il mondo diverso per ognuno di noi» p. 90

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