Nel chiaro della notte
Letteratura italiana
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Inferiore alle attese
Se c’è un fatto che mi provoca particolare dispiacere è trovare l’opera di un autore, che stimo molto, notevolmente inferiore alle aspettative e ben al di sotto delle sue potenzialità. É questo il caso di Nel chiarore della notte, una raccolta di racconti in cui Tomizza descrive i propri sogni, tema in cui si sono cimentati altri narratori con risultati ben più apprezzabili. Infatti, da chi ha scritto romanzi di grande valore come La miglior vita, Franziska, Materada e Gli sposi di Via Rossetti, prose originali e dai contenuti di assoluto rilievo, é lecito attendersi ben altro e pertanto trovarsi di fronte a racconti per lo più banali è francamente disarmante. Ci sono brani di non più di una paginetta, senza capo e coda, e mi sono chiesto a cosa servano, visto che risultano scialbi e incomprensibili. Qualcuno mi potrà obiettare che sovente i sogni non ci sono chiari e che non a caso un certo Sigmund Freud ha a lungo dissertato sulla loro interpretazione; d’accordo, ma io non sono uno psicoanalista, e anche nel caso dei miei, qualora arcani, non vado oltre un semplice “boh”, né si può pretendere che diventi un esperto di cabala, visto che ho non ho l’abitudine di giocare i numeri al lotto. Per onestà, tuttavia, mi corre l’obbligo di evidenziare che, a mio parere, un racconto si stacca dagli altri, il primo (il che invoglia molto, ma ben presto arriva la delusione). La vicenda di questo trio Mystic, da baraccone, lui mangiatore di fuoco, la moglie dotata di poteri esoterici e la figlia desiderabile, in perenne spostamento da un paese all’altro, più zingari che esuli, ha una sua originalità che credo avrebbe potuto interessare un grande regista come Federico Fellini, fra le cui opere non poche sono una commistione fra realtà e fantasia (I clowns, Roma, E la nave va e La voce della Luna). Altri elementi di pregio non sono tuttavia presenti e la lettura, non affaticante, ma certo non gradevole, prosegue fino all’ultima pagina ingenerando un progressivo senso di noia. Ho inoltre percepito, fra le righe, una malinconia pronunciata, che non è quella che si trova in diversi suoi romanzi e che è tipica di un uomo senza terra, di uno spirito di frontiera legato indissolubilmente al suolo dove è nato, ma sballottato, di qua e di là dal confine, dai venti impetuosi della storia; è una malinconia ben diversa, una specie di rassegnazione al tempo che inclemente scorre e implacabile trascina la vita al termine.
Avrei voluto scrivere queste note con l’emozione e la gioia che mi sono state proprie in occasione delle recensioni delle sue opere migliori, ma purtroppo non è così; ne prendo atto, ma il mio giudizio sulla grandezza di Tomizza non cambia per un lavoro assai inferiore, scritto da un narratore che nulla più aveva da dare se non il suo incondizionato amore per la scrittura.
Ed é per questo che il mio giudizio se non può essere positivo, non può risultare nemmeno negativo.
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