Le voci mute
Letteratura italiana
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Dare voce a chi non l’ha
Leggo la narrativa di Fiorella Borin da un po’ di tempo e ogni volta noto un progressivo costante miglioramento, una maggiore accuratezza nel ricreare l’ambiente e nel sondare i personaggi, così che pubblicazione dopo pubblicazione la scrittrice veneziana ha ormai raggiunto un particolare ed elevato livello di eccellenza. Per lei il romanzo e il racconto storico non devono essere fini a se stessi, ma nel rappresentare un’epoca è necessario che i valori e i difetti abbiano una portata più universale, quasi a testimoniare che l’evoluzione della specie è stata più un fatto tecnologico che una reale e radicata maturazione. Quindi, quando si dice che la storia si ripete, non si sbaglia, perché l’essere umano, nei suoi comportamenti, è rimasto sostanzialmente invariato e l’ingiustizia e la disuguaglianza c’erano un tempo come ci sono anche oggi.
In questa nuova raccolta di racconti (nove per la precisione) intitolata Le Voci Mute, tutte storie ambientate a Venezia nel XVI secolo, l’autrice dà voce a chi non l’ha, a sconosciuti personaggi della vita di ogni giorno che, senza che lo sappiano, anche loro fanno la storia, che non è solo il frutto delle decisioni e delle azioni dei potenti, ma anche di tutti gli uomini, in particolare gli umili, i diseredati, coloro che urlano muti il loro dolore di vivere.
Sono trame convincenti, con protagonisti dipinti con precisione, grazie anche a un’analisi psicologica attenta, che non resta in superficie, ma va a fondo, e così, pur se frutto di creatività, assumono la parvenza di personaggi reali, che si muovono sul palcoscenico di una Serenissima ricostruita fedelmente (e al riguardo opportuna è stata la scelta di riportare in calce la bibliografia utilizzata), attori che prendono vita dalla penna della narratrice e che li vedono impegnati nelle più svariate vicende. Così è infatti per La strazzona, una figura femminile che non si dimentica facilmente; percorso da una venatura gialla risalta Miserere; il vecchio Gerolamo, poi, è di una simpatia unica e questo carceriere umano lo si trova in Mir i dobro e in La sciarpa azzurra, due brani diversi, ma che sono di notevole interesse, anche per sapere come veniva amministrata la giustizia all’epoca; un tocco di grazia rende splendente Persona per hora secreta, un dramma che tocca un potente e una del popolo, ma a pagarne le conseguenze è sempre chi non ha potere; in La rabbia dei poveri l’attenzione per questi di Fiorella Borin si traduce in un desiderio di giustizia di fronte al quale non si può certo restare insensibili e che alla luce anche di recenti sentenze ci fa chiaramente capire che nulla è cambiato e che il potente non solo ha sempre ragione, ma può fare ciò che vuole, a meno che i sudditi non trovino nella loro unione la forza per ribellarsi; il tema della donna oggetto, in tutto sottomessa agli uomini, è quello di Ludovica de gatti; la vendetta, servita su un piatto freddo, domina in La congiura degli Olderichi, in una narrazione che sapientemente accompagna a un fatto tragico anche una vena di comicità che evita che la tensione arrivi al parossismo; infine un ragazzo che sogna ad occhi aperti, che si crede furbo al punto dal voler diventare un ciarlatano, nonostante l’ingenuità che lo caratterizza, con una vita che condurrà come in un sogno che morirà all’alba, è il protagonista dell’ultimo racconto, appunto Il ciarlatano, una vicenda che, se talora può provocare un sorriso, tanto è il candore del personaggio principale, si chiude poi con una nota malinconica, un velo di tristezza per queste voci che ritornano definitivamente mute.
Da leggere, perché lo merita.