Latte di iena Latte di iena

Latte di iena

Letteratura italiana

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La presentazione e le recensioni di Latte di iena, opera di Antonio Mocciola pubblicata da La Quercia Editore. Dopo il successo de “Le vie nascoste”, e a cinque anni dall'esordio narrativo con “La sottrazione”, Antonio Mocciola torna nelle librerie con un lavoro estremo, dal forte impatto emotivo. “Latte di iena”, inquietante fin dalla copertina (la Madonna del Latte di Caravaggio virata in negativo), è una raccolta di racconti “dark” nel senso letterale del termine: oscuro. Atmosfere raggelanti, tra cimiteri abbandonati, chiese in sfacelo, sguardi invisibili, personaggi sinistri, terre ferme in quieti apparenti. Una scrittura secca, tagliente, affilata, scomoda. Pronta a seminare tracce, come gocce di latte. Di iena, naturalmente.



Recensione della Redazione QLibri

 
Latte di iena 2014-02-20 10:25:36 LadyA
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LadyA Opinione inserita da LadyA    20 Febbraio, 2014
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Latte di iena: l'animo umano fa così paura...

Antonio Mocciola è un giornalista e scrittore napoletano che ha pubblicato diversi testi, ognuno dei quali, a suo modo, si è guadagnato il posto che meritava all’interno del panorama narrativo.

Latte di iena è l’ultimo lavoro pubblicato dall’autore che differisce da quelli realizzati in precedenza per molti fattori, su cui spicca uno in particolare: il tono tipicamente dark della sua scrittura e delle ambientazioni.
Latte di iena è una raccolta di 21 racconti tutti incentrati sull’odio e sul veleno dell’animo che lentamente viene distillato attraverso i pensieri e le azioni dei personaggi che più che esseri attori presenti sul palco appaiono più come fantasmi, semplici e fluttuanti comparse che volteggiano, ignare, sullo sfondo che appare sempre più oscuro di quanto è in realtà.

Mocciola non ci risparmia nulla. Le storie sono maledettamente fedeli al titolo. Mamme che non amano i propri figli, vecchie che uccidono, uomini che abbandonano le loro donne e poi tornano, preti che si macchiano dei peccati più oltraggiosi, chiese, cimiteri e abbazie dimenticate sono i non-luoghi presso cui le anime di questi dannati si muovono, cercando di affermare in una sorta di dormiveglia, i loro desideri più nascosti.

Si è parlato a questo proposito di catatonia, di sovrappensiero per spiegare o per cercare di spiegare il modus operandi di questi uomini e donne che parlano, scelgono e agiscono senza un apparente motivo. Lo stesso autore si consola pensando che se una persona agisce sovrappensiero, e quindi la sua azione è senza volontà razionale potrebbe dunque essere davvero più spontanea, più vera, più diretta? Priva quindi della meccanicità e della maschera proprie di un’azione pensata e razionalizzata? Non saprei, forse è solo il tentativo di trovare una ragione ad un agire che sotto sotto non è altro che un agire semplicemente cattivo. Esattamente come il veleno, come l’odio, l’uomo, in quanto essere umano, è capace di provare questi sentimenti in modo gratuito anche solo, probabilmente per scaricare le proprie frustrazioni, le insoddisfazioni di un destino che non è mai pronto a darci quello che desideriamo. Non a caso i personaggi di Mocciola sono insoddisfatti, hanno qualcosa dentro che li tormenta, li corrode, li rende rabbiosi, anche quelli che appaiono più tranquilli, sono iene pronte ad attaccare tanto nel silenzio quanto nel delirio.

E allora, ci si chiede, come giustificare questi comportamenti?
Io non cercherei di dare una giustificazione, ma li prenderei per quello che sono. Insomma come siamo pronti a prenderci le belle azioni, i bei pensieri, così dobbiamo fare con le cattiverie, dobbiamo considerarle per quello che sono: manifestazioni anch’esse dell’animo umano. E’ lontana seppur sempre attuale la disputa tra Rousseu e Hobbes. Due grandi filosofi che hanno discusso nelle loro teorie di quanto l’uomo fosse cattivo. Se per il filosofo francese l’uomo nasce buono ma è la società che lo corrompe, che lo incattivisce, per Hobbes invece l’uomo è cattivo nell’animo da quando nasce fino a quando muore. Una visione pessimistica e negativa che prevede un uomo che ha non ha alcuna possibilità di redimersi. Proprio a questo mi hanno fatto pensare i personaggi di Mocciola. Sono cattivi ma lo sono senza intenzione, senza pensarci, senza una vera e propria volontà di fare del male. Sono così e basta, come se fossero condannati ad esserlo. E questo naturalmente fa un po’ paura, non è così? Ci si chiede cosa si nasconde dentro di noi, di così oscuro e perverso, da poter prendere improvvisamente il sopravvento, senza farci comprendere quale sia il limite oltre il quale non possiamo più andare.

La maggior parte dei racconti sono così oscuri da non permettere di intravedere alcuna possibilità di luce. Quello intitolato Latte di iena, ad esempio che conclude il libro, è un racconto in cui sono presenti tutti gli elementi tipici di un horror. Fa davvero paura se si pensa a quella strana vecchia che vive da sola in un paese in cui sono scappati tutti e che alleva iene, di cui beve il latte come fosse la cosa più naturale del mondo. La sua casa è una struttura fatiscente e dimenticata, il paese un ammasso di pietre distrutte e di odore di animali morti e putrefatti. Un silenzio tombale governa le stradine interrotto soltanto dai canti famelici e disumani del branco di iene che tiene rinchiuse dietro la casa. Un presenza inquietante che trasmette terrore e voglia di scappare. Mentre si legge il racconto, c’è un ansia che pervade quei momenti, come se il primo desiderio fosse quello di aprire la porta e fuggire da quella casa e da quelle strane e quasi soprannaturali presenze. Dunque ansia, mistero, oscurità, paura, fino al terrore per questi racconti che non ci risparmiano davvero nulla.

Il linguaggio è perfetto per rendere una scrittura asciutta, priva di fronzoli, fredda e tagliente così come le anime dei personaggi. Lo stile è cattivo, essenziale, fatto di pietra e di tomba, asfissiante e persino blasfemo ed irriverente. Il racconto che ho preferito è Cani in chiesa dove è evidente la polemica dell’autore nei confronti della chiesa e dove è ancora più forte quell’odio gratuito e assurdo che emerge da un fondo come quello religioso che dovrebbe essere invece la culla dei buoni sentimenti. Ma neanche i preti si salvano. Neanche le madri, né i figli, né i fratelli né gli innamorati.

Tutti persi in un vortice di odio e malignità. Una malignità che perde della sua spaventosità perché viene descritta talmente in modo pratico, essenziale, come un “detto-fatto” che alla fine questi personaggi sembrano agire per rimando. Sono fantasmi sospesi nel tempo, immobili, fissi nella loro inettitudine. Il loro è un agire automatico, privo di moralità e di regola. Un agire che potrebbe anche definirsi libero o meglio liberatorio e che li pone al di sopra del caos e delle leggi sociali, perché essi, nella loro folle amnesia di vita, scelgono quasi sempre la morte come anestetico per se stessi e per gli altri. L’odio non merita alcuno sforzo, questo sembra essere il messaggio dell’autore, l’odio è spontaneo.
Le pagine sono cariche di metafore molto belle, capaci a tratti di interrompere quel flusso di negatività e far assaporare seppur per poco tempo l’anima poetica di chi scrive.

Lo stile è spesso carnale, viscerale immediato. Così l’autore riesce a coinvolgere e a far sentire seppur con brevi frasi ed immagini veloci, tutto ciò che vuole, come se usasse piccole pennellate di colori mai superficiali e sempre ben definite.

Alcuni racconti come il Luogo azzurro, sono carichi di sentimenti, non necessariamente negativi. Lì c’è l’amore tradito, quello abbandonato, una donna che ama ancora il proprio uomo e che dentro di se sente il fuoco che le arrovella le membra e non la lascia in pace fino a quando non vedrà lui tornare. Lì le parole diventano metafore traboccanti di significato, talmente forti, così’ animate che sembra quasi la pagina non riesca a contenerle. Quasi come se avessero una vita propria oltre la volontà di chi le pronuncia . Alcune sono cariche di odio altre sono pesanti e profondi squarci sull’amore. Così come certi racconti sono caldi di vita altri sono freddi di morte e solitudine.

Molti sembrano fatti di pietra tanto da far credere che sia impossibile scavare per trovare un sentimento che non sia l’odio. E’ bravo l’autore in questo a rendere chiaro il concetto.
E tutto diventa un tripudio di colori che lottano posizionandosi su due lati opposti: il grigio dell’odio e il rosso e il giallo di ciò che resta dell’amore.

Concludo dicendo che Latte di iena è un testo che può lasciare anche allibiti, volendo. Insomma ci si chiede perché tanta cattiveria gratuita, tanta freddezza. E’ mai possibile tutto questo? I racconti sono talmente brevi che non avrete tempo di trovare una risposta, perché poi una risposta non c’è.
Le pagine scivolano veloci e voi sarete talmente catturati dal non senso dei pensieri e dai non luoghi carichi di fascino surreale e maledetto che alla fine crederete più all’autore che a voi stessi quando dice che sovrappensiero siamo più veri e aggiungerei più liberi.

LadyA

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