La signora Sandokan
Letteratura italiana
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L'importanza delle parole in quattro letterati
Un perfetto costruttore di personaggi, in quattro drammatici monologhi, tra verosimiglianza ed immedesimazione, indossa le vesti di Carlo Emilio Gadda, Sibilla Aleramo, Ida Peruzzi Salgari, Samuel Beckett. Questo è La signora Sandokan di Osvaldo Guerrieri.
I personaggi si offrono in presa diretta, si riprendono la vita e la trasferiscono su momenti irrepetibili della storia di tutti noi, tra letteratura, teatro, amore e gelosia, egoismo e solitudine. Un’operazione letteraria brillante che ridà voce, carne e sangue ad esistenze divenute leggendarie. L’incontro di un giornalista romano con Carlo Emilio Gadda è godibilissimo: ombroso, legnoso e molto formale, Gadda non usciva mai dall’eremo delle sue parole inaspettate, dal mitragliamento parodistico-onomatopeico dentro cui si affollano il dialetto degli spezzini, il disincanto dei funzionari siculo-partenopei.
Una scrittura luminosa, teatrale, appassionata, ripercorre i momenti di Ida Peruzzi Salgari, che, rinchiusa nel Regio Manicomio di Torino, reparto indigenti, apprende che suo marito, il creatore di Sandokan, si è inferto una morte orrenda a colpi di rasoio. Tra sprazzi di lucidità e delirio, Ida ricorda la vita col marito Emilio e “nella reggia dei matti” rivive l’infame destino che l’ha strappata via da tutto, dai figli e dal marito stesso. Ida dice di aver perduto l’anima di donna e il suo corpo, non sopporta neppure più la luce che
“brilla, brucia, infetta, squarta”.
Sibilla Aleramo mentre attende l’amante Franco Metacottaa, ricorda il suo amore per Dino Campana: le fughe da un rapporto morboso, gli allontanamenti, e il bisogno di ritrovarlo e di amarlo. Un amore aspro dagli amplessi furiosi che rivive nella tenerezza del ricordo.
“Il tempo con noi si spalancava in un soffio di eternità, un’eternità smisurata.”.
E, ancora, nell’ultima casa di Samuel Beckett, una ragazza, incaricata di riordinare e di portar via gli oggetti del drammaturgo, trova un nastro bobinato con la voce dello scrittore che in una specie di confessione racconta i pensieri fragili e le sensazioni corporee che lo stanno attraversando fino a rievocare i tempi felici della gioventù e la relazione con Peggy Guggenheim.
Voci narranti diverse, ma simili per impeto, tragicità e volontà di esprimersi, oscillano tra narrativa e teatro, cronaca e finzione, riportando a galla ciò che i personaggi hanno provato sulla propria pelle. Tra passato e presente, un flusso di parole illumina esistenze dolenti, perché:
“Le parole sono l’unico gesto vero che la vita ci permette di compiere.”