Narrativa italiana Racconti La bella estate
 

La bella estate La bella estate

La bella estate

Letteratura italiana

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La bella estate e, come affermo lo stesso Pavese, la "storia di una verginita che si difende", il racconto dell'inevitabile perdita dell'innocenza. Sullo sfondo di una Torino grigia e crepuscolare, si dipana la dolorosa maturazione di una ingenua adolescente: nell'ambiente corrotto e sregolato della boheme artistica torinese, Ginia si innamora di un giovane pittore di cui, dopo resistenze interiori e rimorsi malcelati, si lascera sedurre.E l'inizio di un amore disperante, carico di attese e vane illusioni, destinato a consumarsi nel breve attimo di una stagione.



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La bella estate 2020-07-22 08:48:25 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    22 Luglio, 2020
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Tre belle estati

Tre i sono i racconti contenuti in questa raccolta a firma Cesare Pavese: “La bella estate”, “Il diavolo sulle colline”, “Tra donne sole”.
Nel primo racconto conosciamo Ginia e la sua ultima estate della giovinezza sino all’approdo di quella che è l’età adulta. Ella vive da sola con il fratello, senza genitori, lavora come modista ed è per questo convinta di esser già avvezza alla vita. Entra per mezzo di Amelia in un giro di pittori in cui riveste il ruolo di modella e qui si lascia trasportare dal sentimento e per questo si concede. Quando l’amica si ammala ecco che giunge la consapevolezza, l’estate che si rinnova, la stagione che giunge al termine.
Nel secondo racconto a far da condottieri sono tre amici universitari che trascorrono i mesi estivi in quel di Torino. In queste serate tra chiacchierate e scorribande conoscono Poli, il rampollo dell’alta società pieno di cocaina. Le circostanze vireranno in modo inevitabile, tragico. Oggetto principale del testo è quello di soffermarsi sulle criticità tra classi sociali e in particolare quello di mettere in evidenza la perdizione delle classi più abbienti che tutto hanno a differenza delle classi meno elevate che vivono con poco e di quel poco fanno tesoro.
Nel terzo racconto, stante le tematiche trattate e le ambientazioni aventi ad oggetto luoghi di moda e ambienti d’arte pittorica, viene naturale considerare sussistente un filo conduttore con il primo titolo della raccolta. Tuttavia, l’autore si distanzia anche da questo per soffermarsi sulla psicologia dei personaggi, sulla quotidianità, sul pessimismo di quei giorni che lo videro per primo protagonista. Una malinconia di fondo che non manca di far riflettere il lettore soprattutto a fronte delle circostanze storiche che sono seguite.
Tre storie, tre stagioni, tre belle estati.

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La bella estate 2018-03-03 16:46:18 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    03 Marzo, 2018
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Giovinezza (e oltre)

La bella estate
Se fosse solo per la lunghezza, sarebbe arduo definire romanzo questo lungo racconto scritto appena prima della seconda guerra mondiale, ma la storia che contiene è così ben conclusa in se stessa e ricca di sfaccettature nei personaggi da far dimenticare qualsiasi questione riguardante l’esiguo numero di pagine. Scorrendole, ci si appassiona al percorso di formazione della giovane Ginia dalla rigogliosa, ultima estate della sua giovinezza all’inverno dello scontento che la traghetta nell’età adulta: impatto ancor più doloroso per lei che adulta già pensa di esserlo – senza genitori, vive da sola con il fratello e lavora come modista – e invece non è preparata ad affrontare gli eventi e, soprattutto, le persone. Lasciate le amiche d’infanzia, si lascia trascinare dalla navigata Amelia nel piccolo sottobosco artistico che lei frequenta come ‘modella’: un giro di pittori di dubbie qualità, ma che ostentano un fascino bohemienne che fa colpo sull gentil sesso, specie se ingenuo. L’irregolare Rodrigues, il fascinoso Guido, il rapporto che si va intorbidando con la sua guida fanno di Ginia una ragazzina confusa che finisce per concedersi per un sentimento (tra l’altro molto acerbo) che con ogni probabilità sa non corrisposto mentre si alternano le bevute nella soffitta dei due uomini e le uscite fatte di chiacchiere con Amelia che si scopre malata. L’inquietudine della protagonista si placa solo quando accetta che una stagione, ovvero ‘la bella estate’, si è chiusa e si può/deve andare avanti magari chiudendo i sogni nel cassetto: la primavera arriva con l’avvisaglia della guarigione dell’amica. Quello che spunta alla conclusione è l’unico raggio di sole che brilla in una vicenda cupa in cui Pavese ci offre uno sguardo cinico sul genere umano: Ginia e le figure che la attorniano, per quanto si atteggino, sono come pupazzi trascinati dalle inevitabili esigenze dell’esistenza e la critica agli ambienti artistoidi fa il paio con una visione non edulcorata degli strati popolari, segnati sovente da ignoranza e piccineria. Malgrado il suo destino di vaso di coccio, la simpatia dell’autore non va neppure alla sua piccola donna che subisce senza reagire: i dialoghi spezzati e le descrizioni che restituiscono una Torino sempre più fredda e in qualche modo ostile consentono comunque alla storia di entrare nella memoria accompagnata da un’inevitabile sensazione di malessere.

Il diavolo sulle colline
Tre amici universitari trascorrono i mesi estivi a Torino sentendosi vivi soprattutto durante le scorribande notturne piene di chiacchiere e multiformi, per quanto lontane, tentazioni. la svolta improvvisa giunge quando, durate un'escursione - sempre di notte - sulle colline attorno alla città, incontrano Poli, un riccastro pieno di cocaina che è conosciuto alla lontana da uno di loro, Oreste, originario delle Langhe Il giovanotto è il rampollo debosciato di una famiglia abbiente e li trascina in una confusa giostra tra night e paesini appisolati in compagnia della sua matura amante. Quando il rapporto tra i due vira in tragedia, per i ragazzi pare tornare tutto alla normalità, incluso il programmato trasferimento in campagna da Oreste. Qui però, dopo una sorta di idillio agreste, le loro strade reincrociano quelle di Poli e della di lui moglie Gabriella: la convivenza nella villa di questi ultimi, tra nuove prospettive e vizi diffusi, segna la vita dei giovani, forse cambiandone la vita per sempre (almeno per uno di loro). E' evidente come il libro sia a tesi - la corruzione dei ricchi cittadini a confronto con una certa qual purezza della vita contadina - ma la capacità dello scrittore di descrivere in profondità le situazioni e gli stati d'animo consente di superare il problema (se è un problema) con facilità: solo nel finale, con la stereotipata rappresentazione degli amici di Poli, la forzatura iniza a farsi stridente. Tutto quello che vien prima invece affascina, seppur nella sua quotidiana semplicità: i giorni e le notti di Torino, inclusa la titubante escursione sul Po del narratore in compagnia di una ragazza, e l'inserimento nella realtà della famiglia di Oreste, con il padre in rapporto quasi simbiotico con la vigna, la madre in casa che si occupa di tutto quanto, la zia bigotta e la testarda coppia di cugini che vivono un po' selvatici sull'altro versante, ma fanno il vino buono. Tra un bicchiere e l'altro - la sobrietà non è la prima preoccupazione per nessuno - l'estate avvolge i tre protagonisti con la sua luce che acceca e le sensazioni lussureggianti che colpiscono gli altri sensi, nascondendo sotto la scorza della prorompente vitalità il disfacimento che aumenta con il passare dei giorni, giustificando almeno in parte i paragoni mortuari di Pieretto. Bene: tutto questo po' po' di roba - e di fuggita possiamo aggiungere le suggestioni alla Fitzgerald che scaturiscono dalla figura di Poli, assai probabili nell'americanista Pavese - è contenuto in poco più di centocinquanta pagine: a testimonianza della capacità dello scrittore di rendere un'immagine con poche, intense pennellate che vanno a creare un ritmo lento eppure implacabile nell'afferrare il lettore che sappia farsi coinvolgere.

Tra donne sole
Vuoi vedere che Ginia ce l’ha fatta? E’ impossibile sottrarsi al sottile fascino di collegare questo lavoro a ‘La bella estate’, uscito dieci anni prima, e vederlo come il desiderio dell’autore di analizzare l’altro lato della medaglia. Figlia della Torino operaia, Clelia ha fatto fortuna andandosene dal capoluogo piemontese in compagnia di tal – guarda caso - Guido in direzione Roma: quando l’amore è finito, si è costruita una carriera nel mondo della moda ed eccola di ritorno nella città natale allo scopo di curare l’apertura di un negozio per la griffe per cui lavora. Considerato il target, entra in contatto con un ambiente medio-alto borghese, mentre al suo vecchio quartiere riserva una sola visita in cui la nostalgia viene ben presto spazzata dalla grettezza umana. Non che i personaggi con cui si accompagna siano meglio: ragazze e ragazzi annoiati che, tra una gita in montagna e una in Riviera, conducono esistenze di nessuna prospettiva nelle quali anche il tentato suicidio di Rosetta, la più fragile fra di loro, non è altro che l’ennesimo argomento di cui blaterare senza costrutto. Ritornano le velleità artistiche – il pittore nell’atelier, il tentativo di fare teatro – ma sono tutti castelli in aria come pure il capriccio di esplorare la vita ‘vera’ (e osterie di bassa lega, il casino), scuse per trovare una sensazione alternativa ai piccoli ricevimenti e ai veglioni di un tristissimo carnevale in cui si annega fra le chiacchiere inutili. Il complesso rapporto di Pavese con l’altra metà del cielo si delinea in figure femminili dominate dalla futilità e dalla irresolutezza, delle quali Clelia è un parziale contraltare grazie alla professione e alla capacità di scegliere (compagnie maschili incluse): non siamo però di fronte a un romanzo misogino, semmai misantropo visto che le gli uomini non non sanno superare l’ambiguità e la piccolezza che le contraddistingue. Se Momina o Mariella sono ricche rampolle annoiate e Nene capace solo di sprecare i propri talenti, il bel Fefè pensa esclusivamente alle feste e Loris il pittore è pieno di sé, per non parlare dell’assatanato architetto d’interni Febo per il quale pare che le donne siano prede da cacciare. In queste pagine, lo scrittore si è ormai allontanato dal neorealismo: gli interesse lo studio delle psicologie e il loro interagire con la quotidianità, così che non pare un caso che Antonioni abbia utilizzato l’opera come soggetto de ‘Le amiche’. Soprattutto, si percepisce un pessimismo di fondo che diffonde una patina di malinconia particolarmente significativa vista con il senno del poi: pochi mesi dopo aver descritto il destino di Rosetta, Pavese vi fece seguire il suo.

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La bella estate 2017-09-25 15:38:59 cosimociraci
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cosimociraci Opinione inserita da cosimociraci    25 Settembre, 2017
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Una verginità che si difende

Un bel romanzo d'altri tempi. La lettura scorre piacevolmente lenta. Pavese è attento a seguire un rigoroso ordine cronologico degli eventi ed una meticolosa descrizione degli ambienti.

Il tema è scottante. Un intreccio amoroso tra tre personaggi singolari e distanti, ambientati in un contesto culturale non molto diverso da quello attuale. La morale è cambiata, i vizi e le abitudini un po' meno.

Chissà quale fu la reazione nel '49, quando questo libro uscì carico di erotismo. I tempi sono cambiati, i ragazzi e le ragazze sono più svegli. Quello che mi chiedo è se i sentimenti e la fragilità che manifesta Ginia esistano ancora, magari mascherati da sicurezza e sfrontatezza. Credo e spero proprio di si, sarebbe davvero triste se fosse il contrario.

Mi ha stupito come l'autore sia riuscito ad immedesimarsi nella giovane mente di un'adolescente che cammina a grandi passi verso il mondo degli adulti.

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La bella estate 2017-03-27 09:45:25 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    27 Marzo, 2017
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"La tenda"



Ma quanto mi piace Pavese...
Un libro scritto nel 1940 (pubblicato nel '49) e terribilmente audace per quegli anni.
Pavese lo definì "la storia di una verginità che si difende".
È una storia sul passaggio dall'adolescenza alla maturità, è la perdita dell'innocenza, con tutti i suoi turbamenti, dubbi, tentennamenti e l'inevitabile, fedele, immancabile...sofferenza.

"Qualche volta pensava che quell'estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere."

Siamo in una grigia Torino degli anni '40, cupa e malinconica, e troviamo una sedicenne alle prese con la dolce tentazione del proibito che si scontra con il suo senso del pudore, la sua vergogna.
L'ambientazione e un po' bohemien: pittori, modelle, quadri di nudo...
Pavese riesce, con un linguaggio semplice e lineare, a trattare temi scottanti come l'iniziazione al sesso, la disinibizione, la malattia (a trasmissione sessuale), l'omosessualità femminile...tutto concentrato in un centinaio di pagine.
Lo snodo fondamentale del romanzo, a mio avviso, risiede esattamente nel momento cui l'insicurezza amorosa sfocerà in gelosia, e questa gelosia porterà a compiere gesti che, travestiti da spavalderia, porteranno solo una grande umiliazione.
La "bella estate" è più che altro una stagione della vita, quella piena di attese e aspettative, quel momento in cui ogni cosa ha il sapore e i colori di una festa...quel momento che precede di un passo la disillusione.
Arriveranno altre estati sì, ma non sarà mai più la stessa cosa.

Ho scoperto che, inizialmente, il titolo di questo breve romanzo sarebbe dovuto essere "La tenda"...chi lo ha letto lo sa...la tenda presente nel libro ha una grande valenza simbolica: è, in un certo senso, la tenda che divide l'adolescenza dalla maturità, l'innocenza dal peccato, ma è anche la tenda dietro la quale si nasconde l'occhio indesiderato che guarderà la nostra protagonista nel suo momento di maggiore fragilità, e che farà crollare tutti i suoi sogni di donna innamorata, coprendola di vergogna.
E la stagione del suo primo amore disperato e disperante...finirà.

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La bella estate 2015-08-21 17:30:34 Riccardo76
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    21 Agosto, 2015
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Ginia e la sua fragilità

Ginia, giovanissima donna in pieno tumulto giovanile, è la storia di un’iniziazione all'amore, ambientato nelle atmosfere bohèmien degli artisti, in una Torino dipinta in toni grigi. L’innocenza di una ragazza non ancora maggiorenne, timida inizialmente, che si affaccia alla vita, scopre l’amore o quello che crede essere l’amore.
La festa intesa come periodo di vita in cui ci si dona alle nuove esperienze, al sesso, troppo spesso scambiato per amore dall'ingenuità e l’inesperienza che la giovane età porta con sé. Personalmente ho letto solo “La bella estate” primo romanzo della trilogia che porta lo stesso nome, pur non essendo stato particolarmente “rapito” da questo romanzo, ho comunque apprezzato la sua essenzialità, una narrazione senza fronzoli e divagazioni inutili, interessante l’intreccio: sesso, amore, amicizia vissuto e visto da diversi personaggi di diverse età, con diversi punti di vista. La storia è particolarmente incentrata sulle donne e sulle loro sensazioni. Bella l’ambientazione delle abitazioni-botteghe dei pittori e della loro vita atipica, eccentrica, per certi punti di vista peccaminosa. L’amore, forse unilaterale, forse ambiguo, ha, in questa storia la durata di una festa, semplicemente di una bella estate.

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La bella estate 2014-03-26 08:57:24 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    26 Marzo, 2014
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"Tra donne sole"

Libro del 1949. Vinse il Premio Strega nel '50, anno in cui l'autore si tolse la vita.
"La bella estate" di C. Pavese contiene tre brevi romanzi. Ognuno di essi meriterebbe un discorso a sé. Per questo, qui mi limito ad esaminare esclusivamente "Tra donne sole" (secondo me, il più bello), da cui M. Antonioni ha tratto il film "Le amiche".
Siamo nella Torino del dopoguerra. Il visitatore che giunge ora in questa città di nordica bellezza, passeggiando sotto i portici del centro, probabilmente non ha difficoltà ad immaginarla nei primi anni della ricostruzione.
Il mondo, che anima il romanzo, è quello della gioventù borghese (ma priva degli elementi 'virtuosi' della borghesia), di cui emerge un ritratto sconfortante.
Pavese conosceva sicuramente la 'gioventù bruciata' della letteratura americana, letteratura che amava e traduceva nella nostra lingua. Da essa ha probabilmente tratto qualche suggestione nel delineare le figure qui rappresentate.
I personaggi che animano la scena sono, però, soprattutto donne: gli uomini, poco significativi, rimangono sullo sfondo. Tra esse, Rosetta compare nelle prime pagine, distesa su una barella, in un albergo, ancora con l'abito da sera di tulle celeste, salvata da un tentato suicidio.
Un'altra, torinese di nascita e di umili origini, giunge da Roma per aprire in città un negozio 'di moda': è l'unica a praticare un'attività lavorativa; ma le difficoltà della vita hanno contribuito a renderla di una tenacia un po' disumanizzante, il pegno pagato per raggiungere il 'successo' (termine che la nostra contemporaneità ha reso alquanto volgare).
Le altre figure sono giovani donne (ma non più ragazzine), abbastanza abbienti da permettersi di non lavorare: trascorrono il tempo tra feste, chiacchiere e scorribande in auto; frequentano gente che si occupa di attività artistiche a tempo perso (con quale talento non è dato sapere).
Nel loro scostante modo di essere, paiono fondamentalmente creature ferite, donne orgogliose e disperate, indurite dalla vita e corazzate; ma la loro metaforica corazza è ,nel contempo, difesa e sconfitta. Non sono donne 'liberate'; la loro 'emancipazione' consiste nel far tardi la notte, fumare, frequentare uomini; paiono aver assorbito il peggio del mondo maschile.
Queste signore poco amabili forse rappresentano modelli femminili interiorizzati dall'autore (se così fosse, capiremmo meglio il suo difficile rapporto con le donne, senza per questo pretendere di psicoanalizzare 'a distanza' lo scrittore).
Queste figure femminili, sempre in compagnia, sono fondamentalmente "sole", artefici e vittime della loro carenza di valori e dell'incapacità di vivere e comunicare in modo autentico.
Solo Rosetta appare indifesa, fragile, non coinvolta nel profondo in tale modalità di vita. Questa emarginazione (estraneità) potrebbe costituire la sua salvezza. Ma, forse, proprio in lei l'autore si è identificato nel "vizio assurdo" di non voler vivere più.

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La bella estate 2013-03-25 18:12:45 antares8710
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antares8710 Opinione inserita da antares8710    25 Marzo, 2013
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"La storia di una verginità che si difende"

"La storia di una verginità che si difende". Questa è la frase con la quale Cesare Pavese ha cercato di riassumere e spiegare la sua opera, uscita nel 1949 sempre con Einaudi. La frase ci fa capire come l'intero romanzo ruoti attorno all'idea del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, dalla stagione dei sogni e delle illusioni, a quella di una più matura consapevolezza. Il mito della festa, sempre presente nella narrativa pavesiana, qui si palesa con tutta la sua forza, lasciando negli occhi del lettore un velo di malinconia e nostalgia, come quando finisce una festa...
La protagonista del racconto è una giovane ragazza Ginia, piena di vita e di allegria, che stringe amicizia con un'amica di qualche anno più grande che ogni tanto posa nuda per pittori e scultori. Grazie a questa amicizia Ginia entrerà nel mondo artistico di Torino e conoscerà un pittore di cui si innamorerà perdutamente, Guido. La storia tra Ginia e Guido, sarà travagliata e passionale, devastante e totalizzante, fino a quando Ginia deciderà di concludere quella storia fantastica, quel sogno di una "bella estate"...
Anche in questo romanzo, Pavese insiste con grande precisione nel racconto della borghesia torinese e della sua irreversibile crisi di valori morali e civili. La Torino di Pavese, è una città fatta più di ombre che di luci, rappresentata da una atmosfera cupa e malinconica...
Consiglio di leggerlo.

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La bella estate 2012-03-15 12:51:35 Efix
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Efix Opinione inserita da Efix    15 Marzo, 2012
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Diario degli avvenimenti di altri

" La bella Estate" è un opera di Cesare Pavese composta da tre romanzi brevi : "La bella Estate" , "Il diavolo sulla collina" e "Tra donne sole". Con questa raccolta lo scrittore vinse nel 1950 il Premio Strega. La tormentata interiorità di Pavese si riversa nelle storie dei giovani protagonisti della raccolta , storie semplici e comuni come quella di Ginia che inizia a scoprire l'amore , il sesso e la paura. Gli avvenimenti galleggiano nella nebbiosa atmosfera del dopoguerra fra caffè , strade e colline. Con pochi tratti Pavese dipinge i desideri , le speranze e le incertezze dei giovani che vagano in una cupa Torno ma che corrono verso la felicità e verso l'estate. Sono pagine piene d'amore che ci lasciano il profumo del dopoguerra , dei sogni , delle sigarette e dei caffè .

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Consigliato a chi ha letto...
Vittorini , Fenoglio , Pratolini , Carlo Levi .
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La bella estate 2011-12-16 12:19:12 charicla
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charicla Opinione inserita da charicla    16 Dicembre, 2011
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La più alta scrittura di Pavese

Quest’opera di Pavese, è composta da tre racconti indipendenti, tutti ambientati nella cupa Torino del dopoguerra. Il filo conduttore è rappresentato dallo squallore e dal degrado dei personaggi, intenti a prendere coscienza della propria condizione: cercando di sradicarsi dal proprio passato per reinserirsi in qualcosa di nuovo, disperdendo i veri valori della vita e dedicandosi esclusivamente al lavoro, inteso come unica salvezza in grado di ridare un senso all’uomo. Gli altri temi trattati nell’opera sono: la disperazione, l’ira, l’ozio e la vita intesa come continua lotta alla sopravvivenza, in cui il prossimo è l’unico antagonista dell’altro.
Nonostante le numerose critiche contrastanti piovute immediatamente dopo la sua pubblicazione e nonostante la monotonia e lo strano senso di depressione e di oppressione che aleggia dentro le vite e le vicende dei protagonisti, quest’opera è contraddistinta da una scrittura di rara qualità e difficilmente raggiungibile e una certa vena autobiografia che lega i racconti: tutti i personaggi rappresentano infatti, le follie interiori dell’autore, durante la lettura emergono nettamente il complesso verso le donne, la paura del sesso e soprattutto la paura e il malessere di vivere.

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