Narrativa italiana Racconti L'amore e lo sghignazzo
 

L'amore e lo sghignazzo L'amore e lo sghignazzo

L'amore e lo sghignazzo

Letteratura italiana

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Eretici, giullari, poveracci, trasgressori loro malgrado, ma anche sante e angeli: sono i personaggi che popolano i racconti di Dario Fo, voci fuori del coro che compongono le vicende di un''altra' storia. Eretica sarà dichiarata Mainfreda, della famiglia dei Visconti di Milano, che nel tredicesimo secolo raccolse l'eredità di una donna e di un gigantesco angelo. Non eretica, ma pur sempre trasgressiva nel nome dell'amore, è Eloisa, quando ormai reclusa ad Argenteuil racconta il suo incontro con Abelardo, i loro studi folli e la loro folle passione, e la terribile punizione che a lui toccherà in sorte. E trasgressivi, per caso o per vocazione, sono tutti i protagonisti di queste storie, capaci di grandi gesti e di irrefrenabili sghignazzi, come il 'comunista utopico' Qu o la domatrice di leoni e suo marito Alan: storie dalla Storia che Dario Fo narra e ricrea.



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L'amore e lo sghignazzo 2016-03-15 17:49:24 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    15 Marzo, 2016
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Dario Fo, un magico istrione da Nobel.

Dario Fo, magico istrione e maestro di lazzi e frizzi (nonché, è sempre bene ricordarlo, premio Nobel per la letteratura), propone in quest’opera cinque storie in cui l’amore, d’impeto o di sfuggita, entra sotto vari aspetti, condito da ironia e talora da teatrali sghignazzi. Si inizia con la più bella e tormentata storia d’amore di tutti tempi, quella della giovine Eloisa nipote dell’abate di Notre Dame di Parigi con il suo severo precettore Abelardo (siamo intorno al 1100), storia che culmina come noto in tragedia con trasversali vendette, Si continua con un’altra tragedia: la vittima è Mainfreda della nobile famiglia Visconti (siamo qui alla fine del XIII secolo), finita sul rogo dell’Inquisizione per eresia, avendo fondato presso l’abbazia cistercense di Chiaravalle una specie di setta promiscua ed egualitaria. In due altri capitoli, la tragedia lascia il posto alla fantasia ed allo sberleffo: nel primo vi si racconta di una singolare domatrice di leoni, il cui marito, nostalgico dell’Africa, vi fa ritorno con il suo amato leone, quasi umanizzandolo e spingendolo con vari e comici accorgimenti verso leonesse da lungo tempo desiderate, nel secondo il protagonista ( siamo nella prima metà del Novecento) è uno sprovveduto ed ingenuo contadinotto cinese, che viene scambiato per un sovversivo comunista e, da innocente capro espiatorio, condannato a morte: prima di salire sul patibolo, dà ai compagni di sventura la sua definizione di comunismo, una sorta di utopia auspicabile ma sfuggente e di fatto irrealizzabile. Ed infine l’ultima storia, che si focalizza sul teatro greco, ma non su quello paludato e tragico tramandatoci dalla tradizione e ritenuto da tutti l’unico e certificato, ma su quello vero, autentico e dissacrante della satira ( citati “Gli uccelli” di Aristofane), quello che veniva rappresentato in teatri sfavillanti di colori, con rivestiture in legno, giochi di luce, sofisticati marchingegni che spostavano le scenografie ed attori abilissimi nei travestimenti e nei trucchi. Quest’ultimo capitolo è un’autentica lezione di storia e di teatro, che fa capire quanto sia grande Dario Fo.

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