Narrativa italiana Racconti Il tempo del castagno
 

Il tempo del castagno Il tempo del castagno

Il tempo del castagno

Letteratura italiana

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Raccolta finalista al Concorso Faraexcelsior 2016. «Quando si supera l’età della scalata sociale, della corsa al successo, alla carriera, alla costruzione della famiglia, si ritorna un po’ bambini e il desiderio di ricordare il passato diventa vitale, quasi a voler lasciare qualcosa del nostro passato ai posteri, salvo poi, non suscitare alcun interesse. In questi racconti ho riversato tanti dei miei ricordi e l’ho fatto consapevole che era un bisogno mio, una gioia far rivivere tante vere o finte leggende che mi aiutarono a crescere. Se poi saranno interessanti anche per altri, vorrà dire che le vite vere dei miei protagonisti, non sono state vane.» (dalla Premessa dell’Autrice)



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Il tempo del castagno 2017-10-26 14:07:47 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    26 Ottobre, 2017
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La malinconia sottile del tempo passato


Il tempo del castagno è il tempo che fu, che è trascorso, andato, è il fruscio, a tratti rumoroso del vento, che lo riporta alla luce. E’ il motivo di un riaffiorare alla mente carico di significati simbolici ed affascinanti. Una reminiscenza su di un mondo contadino, semplice ma carico di valori inviolabili. Simbolo di una saggezza popolare che si tramandava di padre in figlio, che non veniva mai messa in discussione per nessun motivo. Stanze di vita quotidiana, di tempi passati narrati con un sottile velo di nostalgia e di comunicazione autentica. Ci sono anche le leggende, le storie sentite, le migrazioni, le paure che costellavano la vita degli antichi, tutto legato alla tradizione popolare. Una prosa breve, attenta, precisa e veloce. Un’ottima narrazione per un libro intrigante ed affascinante. La descrizione nostalgica di un mondo che fu, ricco di pregnanza narrativa e di significati. Un ottimo elaborato, malinconico e molto bello.

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Il tempo del castagno 2017-01-16 12:17:53 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    16 Gennaio, 2017
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Mai dimenticare

Mi viene da sorridere se penso che, quando ero giovane, i vecchi erano soliti dire che con la mia generazione tutto era cambiato, e ovviamente in peggio. C’era in me un’incredulità che mi impediva di comprendere, c’era invece quel desiderio di gettarmi a capofitto nel futuro, cancellando il passato. E invece ora, a distanza di tanti anni, pure io incanutito mi rendo conto che quell’affermazione era veritiera e che nell’arco di poco tempo una civiltà millenaria, quella contadina, era scomparsa. Fissare i ricordi, non tanto per se stessi, ma per chi verrà dopo di noi è l’unico modo per fare un empirico giudizio della nostra vita, ma riportare le memorie raccolte dai nonni quando si era piccoli è molto di più, è concatenare delle epoche, è verificare ciò che c’era di buono e ciò che c’era di insano. Ci ha provato Franca Oberti con questa raccolta di racconti, Il tempo del castagno, che prende il titolo da uno di essi, per la precisione l’ultimo.
L’autore, legato per tradizione familiare all’attività agricola, in forza degli squarci che gli si aprono nella memoria propone delle prose brevi in cui il respiro di un tempo andato e che mai ritornerà è forte, tale da far comprendere che se la vita condotta dai suoi avi a coltivar la terra non era di certo paradisiaca, non era tuttavia da sminuire o denigrare. Il lavoro manuale era preminente, il tenore di vita, per lo più, era tale da garantire i pasti, se pur magri e poco vari, insomma quando non era proprio miseria, era ciò che oggi definiremmo una povertà diffusa, assai più marcata del concetto che adesso abbiamo di povertà. Eppure, a quei tempi, a quelli della civiltà contadina probabilmente si viveva meglio di oggi, perché non rientravano nel paniere della ricchezza quei mezzi materiali per cui ogni giorno lottiamo, ma erano bensì presenti i valori, le canoniche basi che in quest’epoca frenetica in cui viviamo sono spariti completamente, sostituiti da un unico scopo per il quale valga la pena di vivere: la continua ricerca del denaro per soddisfare bisogni che accortamente ci vengono inculcati.
La scrittura dell’Oberti è semplice, priva di fronzoli, così che si ricava l’impressione che i racconti siano uguali a quelli ascoltati da bambina dalla bocca del nonno o della nonna. E in questa letteratura orale, di cui da molto tempo non si nota più nemmeno l’assenza, è piacevole, pagina dopo pagina, immaginare di stare ad ascoltare davanti a un camino con un bel fuoco , su cui, in un paiolo, viene rimestata la farina gialla per quello che era un alimento diffusissimo: la polenta.
Così si sogna, si sogna a occhi aperti, e non si può non condividere quanto a pagina 12 scrive l’autore: “……/ A guardare bene sono sempre stati loro, i contadini, che ci hanno insegnato la sopravvivenza: insegnavano alle nuove generazioni come tramandare la vita, in ogni sua forma”
E’ vero, tanto che, scomparsa questa civiltà, oggi siamo come alberi a cui hanno tagliato le radici e, senza memoria del passato, continuiamo a correre verso un futuro nebuloso, incapaci di saper vivere il presente.
Da leggere.

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