Narrativa italiana Racconti Il teatro della memoria. La sentenza memorabile
 

Il teatro della memoria. La sentenza memorabile Il teatro della memoria. La sentenza memorabile

Il teatro della memoria. La sentenza memorabile

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Il 6 febbraio 1927 la "Domenica del Corriere" pubblica, con il titolo 'Chi lo conosce?' la foto segnaletica di un uomo ricoverato nel manicomio di Torino e senz'altra identità che il numero 44170. Inaspettatamente, di identità ne affiorano addirittura due, opposte e inconciliabili. Chi è veramente lo sconosciuto? Il caso dello 'smemorato di Collegno' nato sotto il segno "dell'ambiguità, dell'ambivalenza, dello sdoppiamento o dimezzamento" e già in sé pirandelliano, non poteva non attirare l'attenzione di Sciascia, che nel "Teatro della memoria" lo ripercorre con l'accanimento del detective e l'urgenza di verità del filosofo, mostrandocene le più segrete implicazioni.



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Il teatro della memoria. La sentenza memorabile 2010-01-03 08:29:00 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    03 Gennaio, 2010
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Identità usurpate

Le identità usurpate, uomini che si sostituiscono ad altri, prendendone in pratica il nome e il ruolo, abbandonando quella che era la personalità innata, è questo il tema di questi due saggi storici che Leonardo Sciascia ha affrontato con la sottile capacità di analisi che gli è propria.

Non so quanti siano a conoscenza dell’incredibile vicenda Bruneri o Canella che appassionò, meglio ancora infiammò l’Italia sul finire degli anni venti del XX Secolo. Non sto a raccontarla perché sarebbe inutile per chi non la ignora e costituirebbe invece un’indebita ingerenza nella curiosità dei futuri lettori che, cono certo, saranno avvinti da una trama che sembra quasi inventata.

Ma da un fatto certo, oggetto di numerosi dibattiti giudiziari, che cosa avrebbe potuto dire di nuovo Leonardo Sciascia?

Ecco che qui si mostra, nel pieno del suo vigore, quella capacità di andare a fondo nei fatti, di porsi domande, di cercare risposte, più che per arrivare a una verità - che una volta tanto non è di comodo, ma corrisponde alla realtà – per pervenire a una spiegazione del perché dilemmi di così facile soluzione finirono invece per dare luogo a vere e proprie battaglie contro ogni logica.

C’è così chi riconosce il Bruneri nel prof. Canella senza la benché minima razionalità, per non parlare della moglie, che più di altri dovrebbe essere in grado di smascherare l’usurpatore e invece se lo tiene stretto solo perché vuole credere che quell’individuo sia il marito disperso in guerra.

Eppure la soluzione è facilissima, perché basta confrontare le impronte digitali e allora senza ombra di dubbio quello che si fa passare per Canella è il tipografo e pregiudicato Bruneri.

Ma anche quando viene portata dall’accusa la prova dattiloscopica e la sentenza smentisce “i canelliani” non è finita, perché ormai turbina nel paese una tifoseria quasi calcistica fra i fautori dell’usurpatore e invece quelli che non gli credono.

E’ una pantomima che dissacra perfino le aule giudiziarie e questo con il tacito assenso del regime fascista, che approfitta del clamore dell’evento per imporre in sordina la sua dittatura. Quindi matura ed evolve un’altra usurpazione, ben più pericolosa, poiché le basi democratiche piano piano vengono sostituite da un unico partito che continua a professarsi liberale, ma che da lì a poco potrà in tutta tranquillità inneggiare alla dittatura del fascio.

Se con Il teatro della memoria Sciascia ha analizzato la vicenda Bruneri e Canella, con La sentenza memorabile si occupa di un caso analogo avvenuto molto prima in Francia nella seconda metà del XVI secolo: l’affaire Martin Guerre.

Analogo non vuol dire uguale e anche se la comunanza è per l’usurpazione di un’identità la vicenda, pur presentando alcuni aspetti simili, è completamente diversa.

Certo, si tratta di un’altra epoca, forse altrettanto se non maggiormente oscura, però resta il fatto che l’usurpatore, che finirà condannato a morte, desta una naturale simpatia, in quanto assume sì l’identità di un altro, ma non cela la propria naturale personalità e anche perché il reato non è commesso per lucro, bensì per amore, un amore così forte al punto che, nonostante la donna che ha voluto riconoscerlo come legittimo marito poi lo disconosca in corso d’udienza nel timore di fare una brutta fine, lui si precipita a salvarla, confessando e così determinando la sua infausta sorte.

Nel lavoro Sciascia si avvale delle memorie del caso lasciateci da Montaigne, altra mente raffinata che non prendeva mai nulla per certo e al riguardo l’autore siciliano accompagna questi due saggi da alcune note che finiscono con l’introdurre all’appendice finale, una riflessione di grande valore dello stesso Montaigne intitolata “Degli zoppi”, assolutamente da non perdere e che conclude il tutto nel migliore dei modi.

La lettura è senza dubbio caldamente raccomandata.

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