Il Decamerone
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Una ghirlanda mirabile calata sulla testa
Cosa combina Aldo Busi ne Il Decamerone di Giovanni Boccaccio? Risponde lui nella prefazione: “Ho tradotto il Decamerone di Giovanni Boccaccio, non ho scritto il mio”. Il fine è quello di rendere il Decamerone fruibile a tutti, soprattutto a coloro che storcono il naso dinnanzi all’idea di leggere un libro scritto nel volgare del ‘300.
L’orditura dell’opera è nota: a Firenze infuria la peste, ciascuno si protegge (“Schivare e tenere alla larga gli infetti e le loro cose”) e si difende come può (“L’unica medicina contro un male così radicato era alzare il gomito più che si poteva, godersela a squarciagola in giro dando sfogo a tutte le voglie”). Sette fanciulle (Pampinea, Fiammetta, Filomena, Emilia, Lauretta, Neifile, Elissa) e tre giovani (Panfilo, Dioneo, Filostrato) di buon lignaggio si rifugiano in un’amena villa sui colli fiorentini e lì si trastullano e trascorrono il tempo raccontandosi storie.
Ogni giornata ha il suo sovrano (“Una ghirlanda mirabile che, una volta calata sulla testa, fu in seguito considerata il simbolo della sovranità dell’uno sugli altri”), che sceglie l’argomento delle dieci narrazioni quotidiane. Così, ad esempio, nella sesta (“Sotto la reggenza di Elissa, si parlerà di chi ribatté una provocazione con un sol colpo di spirito e di chi con una rispostina pepata o con un immediato raggiro mise rimedio a una perdita, a un rischio o a uno scorno”), nella settima (“Sotto la reggenza di Dioneo, si parlerà delle beffe che le donne, o per amore o per non vedersela brutta, organizzano contro i loro mariti, senza che questi se ne accorgano o no”), nell’ottava (“Sotto la reggenza di Lauretta, si parlerà degli scherzi che una donna gioca a un uomo, o un uomo a una donna, o un uomo a un uomo”) e nella decima giornata (“Sotto la reggenza di Panfilo, si discorre di chi ha fatto qualcosa di nobile e di generoso in faccende d’amore o in altri campi”), ma non nella nona quando “sotto la reggenza di Emilia, ognuno racconta quello che gli pare e piace”.
Il risultato? La traduzione di Busi pullula di inglesismi (“Con tutti quei falsi status simbol in giro”), neologismi (“Molto chic”), forzature linguistiche (“Cane della Scala… è stato dei VIP più in vista”) e ardimenti lessicali (“Un maniaco dell’alta gradazione, neanche fosse Veronelli”) che sono in attrito con lo spirito e il costume trecentesco (“L’insolito taglio punk”).
Boccaccio, che si rivolti nella tomba o che plauda alla diffusione della sua opera, guarderà comunque con benevolenza all’anticlericalismo (“Se va a Roma, alla corte papale, e vede che vita da bagasce fanno questi preti”) e all’erotismo di Aldo Busi?
Giudizio finale: enciclopedico, reviviscente, meritorio.
Bruno Elpis