Il crollo della Baliverna
Letteratura italiana
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Fragile
Sotto una panchina del paesino di Tis, sin da prima dell'albeggiare, si può trovare una pagnotta fragrante, appena sfornata.
Defendente Sapori la deposita lì, separata dalla cesta di vimini che contiene i 50 kg di pagnotte destinate ai poveri. Pane donato ogni mattina suo malgrado, per rispettare la clausola testamentaria voluta dallo zio: se vuole in eredità il forno, gli tocca adempiere per ben 5 anni.
Quell'unica pagnotta, però, è una donazione spontanea del giovane fornaio: a ritirarla è, puntuale, Galeone, il cagnetto nero che inizialmente si accalcava tra i poveri alla cesta, e che ora può farlo in tutta tranquillità, da quando il fornaio gli ha accordato quello speciale trattamento in cambio di chissà quale benevolenza.
Già... perché Galeone non è solo un animale dallo strano contegno, ma anche il cane di Silvestro, l'eremita accampato in altura, al quale arriva quotidianamente la pagnotta e le fantasticherie degli abitanti di Tis. Ancor più quella notte in cui dal paesino si vedono intense luci passeggere. Ma cosa si vuole che sia? Alla fine le finestre si sprangano e si va tutti a dormire, come sempre.
Silvestro quella notte è morto assiderato. E allora è lecito pensare che neanche Galeone tornerà più.
Invece il cane ridiscende in paese, quindici giorni dopo, sporco, smagrito; ed inizia ad incutere ancor più timore reverenziale, con quel suo apparire in ogni dove ed osservare le azioni umane. Timore perché quello è “Il cane che ha visto Dio”. E il paese inizia a cambiare...
Quanto è piccolo l'uomo? Quanto misero?
Per carità: non si vuol intendere quella miseria che suscita disprezzo... Ma una certa pena, una rassegnata comprensione, quasi una tenerezza per la sua indole fragile, quella sì. Per l'inspiegabile timore del fornaio Sapori e degli altri abitanti di Tis; così come per la falsa accondiscendenza riservata al maestro Toni Appacher, violinista, morto anni prima eppure d'improvviso ritornato al mondo a mendicare un rifugio tra le sue vecchie conoscenze (“Gli amici”); o ancora per l'angoscia di Cecilio Lentulo, che in una discussione al Foro romano si è fatto scappare un'improvvida osservazione sulla pratica militare della decimazione (“Il delatore”) e per la speranza incrollabile del nobile Mseridon, convinto che nella continua preghiera potrà trovare la medicina alla lebbra che lo sta devastando (“L'uomo che volle guarire”); e persino per la paura di Albert Einstein nel dover lasciare troppo presto questa Terra (“Appuntamento con Einstein”).
“Il crollo della Baliverna” è la terza raccolta di racconti pubblicata da Dino Buzzati (la quarta, se si considera quel misto di racconti, cronache e pensieri che è il volume “In quel preciso momento”). Lo scrittore milanese continua a passeggiare nell'animo umano per metterne a nudo sfumature impensabili, che però – ci rendiamo conto – sono quelle che lo identificano come marchi incancellabili. Si dovesse un giorno cercare la mappatura genetica del sentire umano e della sua fragilità, non si potrebbe rinunciare, tra vari luoghi, ad addentrarsi negli scritti di Dino Buzzati.
Lì c'è un essere limitato.
“Ed è per questo che gli spiriti – se mai qualche anima infelice si trattiene con ostinazione sulla terra – non vogliono vivere con noi ma si ritirano nelle case abbandonate, tra i ruderi delle torri leggendarie, nelle cappelle sperdute tra le selve, sulle scogliere solitarie che il mare batte, batte, e lentamente si diroccano.”