Il cane che mi guardava e altri racconti del taxista
Letteratura italiana
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“Com'è il vostro lavoro, di taxista?"
Un taxi; Milano e le sue strade; una girandola di clienti di varia umanità che si avvicendano sul sedile posteriore con richieste a volte ordinarie a volte davvero strampalate; un tassista curioso e riflessivo; tante, tante storie.
Questi sono gli ingredienti con cui è stato confezionato questo librettino, di pura evasione, scritto “e interpretato”, appunto, da Giovanni Ubezio, tassista milanese che, nei momenti di noiosa attesa tra una corsa e l’altra, si annota sul dittafono appunti di vita vissuta, descrizioni, dialoghi, osservazioni o considerazioni su ciò che lo circonda. Poi, con calma, traduce tutto in raccontini di poche pagine ove riferisce e descrive con arguzia le sue esperienze lavorative e ritrae la “fauna” umana con cui entra in contatto.
Ne è derivata una antologia di lievi storielle senza capo né coda, perché, inevitabilmente, ai tassisti non è dato conoscere gli antefatti delle vicende di cui sono testimoni, prima che i clienti montino in auto, e, parallelamente, quasi mai riescono a scoprirne l’evoluzione, dopo che i passeggeri hanno pagato la corsa e sono scesi. Tuttavia sono "istantanee " mai noiose o insipide e hanno il gusto saporito delle cose veraci.
Agli aneddoti, poi, sono intercalati pensieri in libertà e riflessioni, talvolta acute, il più delle volte banalotte se non proprio qualunquistiche, non molto più profonde di quelle che si possono udire al bancone di un bar davanti ad un espresso, ma comunque gradevoli per il solo fatto di essere espresse con assoluta bonarietà. Quindi nulla da obiettare anche dove m’è parso di scorgere qualche velato apprezzamento lievemente intollerante verso certe tipologie di persone o di situazioni; nulla di fastidioso o antipatico, intendiamoci, niente di diverso da ciò che ognuno di noi può nutrire nel petto, ma che stupiscono per il solo fatto di vederle scritte candidamente, nero su bianco su un libro, in un’epoca in cui le affermazioni non possono che essere politicamente ultra-corrette, altrimenti c’è sempre qualcuno che insorge…
Nel complesso, si tratta di un gradevole librino senza pretese, ma garbatamente divertente, nel quale, con uno stile piano e sobrio, ci troviamo a vivere le giornate di un autista di piazza con i suoi alti e bassi e, assieme a lui, a “spiare” nelle vite altrui, origliando le chiacchiere scambiate con gli occupanti del sedile posteriore, senza impegni e senza squarciare (troppo) il paravento della loro riservatezza.
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Una precisazione: ho ritenuto di assegnare quattro stelle alla piacevolezza (forse, obiettivamente, ne sarebbero bastate tre) anche a titolo di incentivo, perché mi piacerebbe tornare a leggere le “storie del tassista”, magari in scritti maggiormente meditati e maturati e con riflessioni più approfondite e “impegnate”.
Indicazioni utili
Per le strade di Milano
Credo che risalga ai tempi in cui andavo al Cairo, quando ero costretta a ricorrere ampiamente al taxi per gli spostamenti nella metropoli, la mia crescente curiosità e simpatia per la categoria dei tassisti, coi quali facevo sempre lunghe e animate chiacchierate. Sarà per questo che appena ho iniziato la lettura de “Il cane che mi guardava e altri racconti del taxista”, libro nel quale mi sono imbattuta in biblioteca per puro caso, mi è subito piaciuta la prosa racchiusa nelle sue pagine. Un raccontare attento, ordinato e pacato che a poco a poco conduce il lettore per le caotiche vie della città di Milano. È lì, infatti, che agisce quotidianamente l'autore della pubblicazione, Giovanni Ubezio, nella sua professionale veste di tassista a cui si è ispirata quella, forse per lui inattesa, di narratore.
Tra chiamate al radiotaxi, attese ai posteggi e ai semafori, ingorghi e altri inconvenienti stradali, prendono vita questi racconti che culminano spesso in personali considerazioni sul proprio mestiere e sui casi della vita caricati a bordo. Giovani e anziani, italiani e stranieri, persone per bene e truffatori, se non addirittura gente appena uscita di galera, liberi professionisti, manager aziendali, impiegati, casalinghe e donne in carriera: risulta ampia e variegata la gamma sociale che il tassista ha occasione di far salire ogni giorno in macchina; ognuno con la propria vicenda, talvolta comune a tante, talaltra unica e irripetibile, storie che si esauriscono nel giro di una corsa, altre che invece si protraggono casualmente nel tempo (come quella del cane dell'architetto o della gattara).
Stando a quanto afferma l'autore stesso, l'abitacolo del taxi finisce per diventare una sorta di confessionale e il conducente si ritrova così a rivestire i laici panni del confidente al quale, proprio in virtù del suo essere sconosciuto, sembra possibile raccontare quasi tutto. Persino “peccati” altrimenti inconfessabili in merito ad attività non certo lecite; in verità, dopo anni di lavoro alla guida di un taxi, ci sarebbe materiale a sufficienza per scrivere forse romanzi più che racconti. Mestiere avventuroso e affascinante, dunque, quello del tassista, depositario di segreti e informazioni riservate, nonché attento osservatore del quasi mai tranquillo mondo della strada? O, più semplicemente e realisticamente, a lungo andare logorante?
Pubblicato nel 2012 dalla casa editrice milanese il Saggiatore, “Il cane che mi guardava e altri racconti del taxista” è un bel libro che dona una lettura molto piacevole, contraddistinta da una buona qualità di scrittura e uno stile narrativo spesso accattivante e coinvolgente che suscita continua curiosità in chi legge. A completare il tutto, qualche più che credibile nota di solitudine metropolitana che la penna di Ubezio ha lasciato inevitabilmente trasparire qua e là nelle storie raccontate, mentre il taxi procede ostinato in mezzo al traffico già in attesa della corsa successiva.