I ventitre giorni della città di Alba
Letteratura italiana
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Esordio letterario
“ I ventitré giorni della città di Alba” è una raccolta di dodici racconti, sei a tema resistenziale, dove la fanno da padrone la morte per fucilazione di singoli partigiani o di repubblicani , sei a tema contadino: sono i due grandi filoni dell’intera produzione fenogliana.
Il racconto incipitario che dà nome alla raccolta, nel suo stile lapidario, già fa presagire i toni scarni che seguiranno: “Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944”; Fenoglio registra l'avvenimento con un piglio cronachistico, gli uomini combattono una guerra fratricida e la natura ne subisce la violenza, la incornicia e la rende più dura. Il mondo rappresentato è quello di Alba e dintorni, le colline: si scende e si sale per ripidi declivi che il fango, la pioggia e la paura rendono impraticabili e pericolosi, spesso avvolti dalla nebbia che cela il nemico.
I partigiani rappresentati sono giovani ragazzi che combattono intrepidi oppure che semplicemente si arruolano volontari e in modo tardivo, per scoprire con amarezza un forte senso di disillusione quando scoprono la crudezza dell’essere partigiani. Netta fra loro è la differenza, ci sono soprattutto i badogliani, monarchici, e i garibaldini, i partigiani rossi di fede comunista; le loro idee riflettono anche la netta divisione sociale tra borghesi, ragazzi che hanno studiato, e i ragazzi del popolo. Un tratto li accomuna, un medesimo destino di morte violenta, loro semplici uomini, deboli e incoerenti come tutti, uomini che hanno paura: “Non contiamoci balle, Lancia, che è peccato mortale contarci al punto che siamo. Sei convinto che noi siamo stati fessi e che non possiamo più farci furbi perché ci pigliano la pelle? Tu te la senti di morire per l’idea? Io no. E poi che idea? se ti cerchi dentro, tu te la trovi l’idea? io no. E nemmeno tu.”
La raccolta di racconti lasciò il segno perché sconcertò chi quella stagione l’aveva vissuta, per il distacco intellettuale ed emotivo attraverso il quale si registravano, per la prima volta, in stile scarno e antiretorico i fatti della Resistenza. Fenoglio era stato un partigiano ma non si era abbastanza politicizzato e il suo partigiano, nei racconti come nel romanzo “Una questione privata” (1963), cambiati ormai i tempi, riconosceva un’altra possibilità di lettura alla guerra partigiana, una dimensione del tutto privata e ancora più lontana dalle ideologie.
Non piacque, nel primo racconto in particolare, la descrizione della sfilata dei partigiani in Via Maestra: "Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n'era per cento carnevali". Il mondo partigiano è complesso come la realtà che riflette, non c’è da stupirsi, occorre solo avere il coraggio di rappresentarlo oggettivamente, Fenoglio lo ha fatto e in questo oggi risiede la sua grandezza, riconosciuta unanimemente.
Consiglio in particolare la lettura del racconto “Gli inizi del partigiano Raoul” per la rappresentazione del dubbio umano, per la presenza nello sfondo della figura materna, per la coincidenza della figura del partigiano con quella del figlio, spesso è riportato in tutta la produzione fenogliana il sentire comune che vedeva nei partigiani i figli di tutti, o ancora “Un altro muro” per la rappresentazione di una fucilazione mancata ed “Ettore va al lavoro” per conoscere la sindrome dell’ex partigiano, accostabile vivamente al reduce della Grande Guerra, per isolamento e incapacità di reintegrarsi nella società civile. Gradevoli anche i racconti a tema civile o contadino, riportano una realtà difficile ma non con toni tragici, la realtà così com’è, povera e desolata, problematica: è possibile vivere anche lì.
Indicazioni utili
Come faremo Ettore? Faremo, mamma.
I Ventitre Giorni della Città di Alba – Beppe Fenoglio, 1952.
Prima Opera di Fenoglio a vedere la luce, nel 1952, per la collana "I Gettoni" di Einaudi (n°11), diretta da Elio Vittorini.
Dodici racconti (il titolo della raccolta è quello del primo racconto) in cui Fenoglio, che sentiva di non avere "il passo" del romanzo, riversa episodi e ritratti. Della guerra, della vita civile, delle Langhe, di Alba.
Ci dev’essere qualcosa nell’estate che mi porta a Fenoglio, anche se non so che cosa sia.
Letto per la prima volta in un torrido agosto, riletto in un altrettanto torrido luglio.
L’estate nel paesaggio di Langa richiama immobilità ed immutabilità.
Richiama un quadro eterno ed indifferente in cui emergono i personaggi tratteggiati da Fenoglio con il consueto “piglio”: lucido, senza sbavature ed indulgenze.
Non c’è nessun eroismo né nei singoli, né nei gruppi. Nei racconti “di resistenza” le miserie dei partigiani non sono diverse da quelle degli altri. Questo non significa che Fenoglio voglia mettere in discussione la sua scelta di campo. Niente affatto. Ma non diversamente da Leopardi nelle Operette Morali, non concede un pollice alla retorica, alla fanfara, alla vanagloria.
Dice sempre tanto, Fenoglio, con il suo descrivere in modo asciutto. Tratteggia personaggi che restano nella memoria, come Lancia e Max, e tratteggia una società cupa ed arretrata, rimasta uguale a sé stessa anche dopo gli scrolloni della guerra.
Nel primo racconto, che dà il titolo alla raccolta, sperimenta molto anche a livello linguistico con qualche neologismo davvero particolare (“i civili si incantinarono”), negli altri meno, ma il suo “calco” dal dialetto è già presente e notevole (sarà poi perfezionato ne “La Malora”).
In ognuno dei dodici racconti c’è una storia che merita di essere ascoltata; personalmente trovo che i più riusciti siano «I Ventitre Giorni», «Un Altro Muro», «L’Acqua Verde» con l’anonimo, struggente protagonista e «Pioggia e Sposa».
Assolutamente da leggere e uno dei miei preferiti nella produzione fenogliana.
(PS Fenoglio pubblica questa raccolta a trent’anni, vivrà solo per altri undici, riuscendo, in poco più di un decennio a creare capolavori come La Malora e La Paga del Sabato; non posso fare a meno di chiedermi quale enorme perdita sia stata la sua così prematura scomparsa).