Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta
Letteratura italiana
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Il divertimento è assicurato
Si tratta di otto racconti ambientati a Vigàta in periodo fascista, un motivo in più questo per una satira graffiante e amara di un regime che aspirava a essere serioso in misura tale da provocare invece ilarità. Del resto, il credere all’incredibile, il magnificare la mascolinità mica li ha scoperti come vizi italici Benito Mussolini; no, lui non ha fatto altro che ricamarci su una visione d’insieme tesa a nobilitare una dottrina (quella del ventennio) che, stringi stringi, si riduceva a un florilegio di luoghi comuni, che poi sono gli stessi che gli imbonitori della democrazia pompano e ripompano per assoggettare il popolo bue.
Quindi queste storie hanno lo straordinario pregio di mettere in luce eterne e irrinunciabili caratteristiche degli italiani, veri e propri vizi a cui, se pur consapevoli, ci piace indulgere.
Non è un caso, pertanto, se nella prosa Gran Circo Taddei, da cui il nome dell’intera raccolta, si combinano amore, sogno di potere e piccole astuzie di ogni giorno, volte a definire il mito italico del furbo che, poi, come si potrà leggere, non è che sia così tanto astuto, perché troverà chi lo è più di lui.
Ci sono vicende dal sapore un po’ boccaccesco, come certe pellicole italiane degli anni ’70, ma il tutto non è finalizzato a un erotismo un po’ becero, bensì costituisce il mezzo per parlare dei nostri, invero molti, vizi. Magari si fanno apprezzare di più per l’abilità creativa che per un messaggio civile a cui Camilleri non è mai insensibile, come per esempio la vendetta di La congiura, oppure il gioco d’azzardo di Regali di Natale, o le corna di Il merlo parlante. Sono brani che non hanno grosse pretese se non quella di divertire e ci riescono piuttosto bene. Ma Camilleri non sarebbe il narratore che è se non avesse anche nel cerchio del mirino qualche cosa di più di una pur valida pochade e allora è opportuno approfittare di un tema scottante, come la fecondazione eterologa, scrivendo un racconto misurato e di grande spessore umano come La fine della missione. E poi a questo mondo ci deve essere spazio per tutti, anche per i brutti , e da questo concetto nasce un brano struggente come Un giro in giostra; e se poi ormai gli esseri umani sembrano in aperto contrasto con la teoria dell’evoluzione, con gente che crede all’incredibile, perché non allestire un racconto che unisca trama ingegnosa, amore e anche un po’ di felicità? E così c’è pure La trovatura.
Quello che però è il più stupefacente è l’ultimo (La rivelazione), in cui un comunista antifascista e perciò condannato al carcere e al confino, alla liberazione alla fine della guerra fa di tutto per non tornare al suo paese dove farebbe il segretario del suo partito. Imbrogli, fede, anche un po’ di fanatismo animano il racconto che, secondo me è quello che meglio concilia qualità, originalità e capacità di divertire.
Penso, insomma, che abbiate capito che la lettura di questo libro è veramente piacevole e gratificante.
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Quando finirà di stupirci?
Camilleri è proprio come il buon vino che migliora giorno dopo giorno senza mai diventare aceto. Questi otto racconti, ambientati negli anni del fascismo, divertono il lettore con passaggi assolutamente esilaranti ma anche con passaggi che inducono alla riflessione. Storie di sesso e di amore, di corna e fedeltà, il comune denominatore è la beffa che i protagonisti si fanno del mondo e degli altri personaggi e - perchè no, anche del lettore.
Camilleri, continua così.
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Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta di Andr
Come recensisce tutti i libri di Camilleri pubblicati dalla casa editrice Sellerio, Salvatore Silvano Nigro, sono otto i racconti che qui fanno libro e non semplice raccolta. Non considerare raccolta queste storie, schegge impazzite dalla tastiera del pc di Camilleri, vuol dire che si procede in un continuum crono-logico narrativo e stilistico: un rutilante susseguirsi di situazioni che suscita il riso immediato e, metaforicamente, amarezza profonda. Se la metafora domina e orchestra personaggi e fatti, l’immarcescibile lingua vigàtese sbeffeggia e satireggia come un buffone a corte. Questi racconti sono forse i più corrosivi ed invidiabilmente amabili scherzi letterari che il Maestro fa agli incauti lettori, ormai pronti a subire qualsiasi sua arditezza artistica. Cesellati insieme, incastrando con arguzia le trame, certo che il romanzo potrebbe prendere corpo e incorporare le microstorie vigàtesi in una macrostoria italica. La Storia, quella Storia, che mai così contemporanea non è stata, si presenta ai nostri occhi non come mera narrazione di ciò che fu, ma trasfigurata in ciò che ne conseguì; le ideologie rappresentate attraverso i comportamenti, le psicosi degli uomini, asserviti al potere dominante e svuotati di personalità propria. Un’umanità quasi fittizia si aggira tra le ombre dell’epoca fascista e tutto viene investito da retorica baluginante e triste presagio di velleità mortificate. É l’espressionismo della violenza che deforma volti in maschere e risate crasse in ghigni. Vigàta, teatro sublimato del fascismo, è una sorta di palcoscenico ideale ed idealizzante in cui si esaltano miti e fandonie non mai sopiti. La galleria umana intride ignobiltà e millantata virilità, tra fimmine ardimentose, devote alla causa, camerati e federali e gerarchi orwelliani e garanti della fede al Capo e paventati comunisti che da congiurati, con un colpo d’ala, sono trasformati in perseguitati: pantomima e derisione. Che dire di scene alla Quentin Tarantino o che fanno il verso a certe pillicule di covviboisi; gli anni della Liberazione amiricana rivissuti e reinterpretati tra scocci di revorbari, giochi d’azzardo in bische clandestine, denaro in discesa libera e una rapina a regola d’arte con lupara d’ordinanza che lascia scornati i soci di un circolo. Il rischio e il pericolo di portare a conoscenza intrallazzi e tresche amorose viene da un aceddro, Il merlo parlante, che ripete le frasi compromettenti che sente. Il culto dell’italianità, espresso nella mania di italianizzare i nomi stranieri e di trasformare quelli italiani con le consonanti finali, è uno dei puntelli del Gran Circo Taddei. Trame tutto sommato semplici si complicano per scarti della sorte e come riporta Camilleri, la voglia del complicare le cose è tutta siciliana: “ Cito una bellissima frase che Moravia un giorno disse a Sciascia: "La differenza tra i milanesi e i siciliani è che i milanesi tendono a semplificare un fatto complicato. I siciliani operano all’inverso: un fatto semplicissimo tendono a complicarlo". E le complicazioni portano a sotterfugi e tradimenti”. Ironia a tinchitè, erotismo sommerso che fa capolino da tutte le parti alla maniera di Brancati, tragicomicità e surrealismo alla Pirandello, sono alcuni degli ingredienti naturali che fanno da terreno di coltura per l’arte camilleriana. Un altro tassello fascista, con la sua politica demografica di incrementare le nascite, si trova ne La fine della missione; chi non può avere figli trova la soluzione a dir poco boccaccesca con pace santa della chiesa e dei mariti. Come dire il fine giustifica i mezzi. Un giro di giostra è forse il più solipsistico delle storie e una dolente riflessione esistenziale. La bruttezza fisica del protagonista è una condanna che relega alla solitudine più triste, quando una luce pare illuminare quella vita spesa vacuamente, la fine lapidaria lascia schiantati. La trovatura è veramente una trovata geniale, soprattutto nella conclusione, chi cercava non trova e viene trovato da chi non cercava. Tutto torna secondo un caso capriccioso o forse giusto? La rivelazione è una novella di beffa architettata, il comunista arraggiato, Prestìa, riceve la grazia della rivelazione nell’apparizione di Gesù, tutta racchiusa in quella frase” facitilo…sapiri a tutti…sgerzo fu”. Ogni racconto contiene uno spezzone di Storia, ogni finale è esemplare e dà a ciascuno quello che ha meritato. C’è come una sorta di giustizia a seconda delle colpe, Camilleri, al pari di un novello Caronte, assegna ai personaggi la loro etterna collocazione. Aveva perfettamente ragione l’editrice Elvira Sellerio alla quale il libro è dedicato, dopo la lettura, ebbe a dire all’autore di essere tornato il Camilleri dei vecchi tempi.
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Oltre al danno, anche la beffa..
Non ho particolrmente amato Camilleri, almeno fino a questo momento. Devo dire che lo trovavo noioso e anche prolisso. Ripetitivo con quel suo pretenzioso Commissario Montalbano, eroe indiscusso di una Sicilia bagnata di sangue e intristita dalla presenza della mafia. Tutto ciò molto prevedibile e neanche troppo attraente.Al contrario,questo libro mi ha affascinato e fatto ridere. Scritto in un dialetto che comunque è leggibile e facilmente interpretabile anche da coloro che non sono siciliani, è una vera chicca, una perla preziosa...una lettura divertente e imperdibile. Usando la satira impietosa e l'ironia, l'autore ci conduce sorridendo nella vita di una cittadina del sud al tempo del fascismo, negli intrighi del popolo, nelle difficoltà della vita vinte con sapienza e ironia, nelle buffonate del fascismo, nell'inganno e oltre l'inganno anche la beffa.
Perchè è facile in queste brevi storie trovare la capacità di beffare che l'auore ci svela lentamente nel suo sapido raccontare e strappandoci risa nello stupore rinnovato che ci fa esclamare: "però io non ci sarei mai arrivata a .."
E si va dalla congiura ordita dalle amiche per incastrare un'improbabile caporiona fascista, al merlo chiacchierone che svela tutti i segreti dell'alcova e delle corna, al nipote birbone e filibustiere che si fa imprestare un leone da una ragazza del circo per provocare l'infarto alla zia taccagna e diventare erede universale, al benefattore fascista che ingravida le donne dei suoi compaesani sterili allo scopo di aiutare le famiglie e incrementare le fila dei reggimenti del fascio... Sorridente, ironico, divertente..gioioso..piacevole..insolito prodotto di uno scrittore che ha saputo donare qualcosa di veramente diverso dal suo ordinario scritto ed è per questo che mi ha conquistato.
Consigliato.
Saluti.
Ginseng666
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Otto piacevoli storie di Camilleri
L’ultima fatica di Camilleri si incentra su otto stuzzicanti storie . Periodo : poco prima o poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, Luoghi degli avvenimenti : Vigata e dintorni. Abbandonato per ora al suo lentissimo tramonto il commissario Montalbano, Camilleri ci narra da par suo e nel suo affascinante dialetto sìculo (ciascuna storia è suddivisa in quattro capitoli) via via i disastri di una congiura immaginaria, una rapina ben architettata in una sala da gioco clandestina, la storia di un merlo inopportunamente parlante che svela pericolosi segreti d’alcova, le vicende di un circo di paese e del suo spelacchiato e mansueto leone, lo svolgersi di una particolare missione a fini benefici, la tragica fine di un ingenuo professore innamorato, la storia di una finta maga e di un ingente tesoro sepolto e infine le vicende semiserie di un comunista “duro e puro” convinto a redimersi da una finta e ben orchestrata “apparizione” di Gesù. Le storie sono tutte godibili, si dipanano in scioltezza magistralmente guidate da un Camilleri in forma smagliante. Gli argomenti trattati sembrano essere, da una certa visuale, molto attuali : la furbizia e l’ingenuità paesana della gente comune, la stupidità del potere fin nelle sue diramazioni periferiche, gli inganni dei giochi d’alcova, che, di riffa o di raffa, caratterizzano gran parte delle storie vigatesi. Lo stile dello scrittore di Porto Empedocle è unico : sa tratteggiare personaggi con pochi lucidi tratti, tali da renderli indimenticabili, e mette in scena le vicende con mano sopraffina, quasi si trattasse di un set cinematografico. Camilleri, per la goduria semantica dei linguisti, scova ( o conia ex novo) nuove parole dialettali, quali ad esempio Rollisiroici ( Rollsroyce), covviboissi (cowboys) , colpo polettico ( colpo apoplettico, sempre che non sia un refuso!), purmunia (polmonite) e via discorrendo. Il suo dialetto sìculo è ormai una vera e propria lingua ed ai lettori più smaliziati ( e affezionati) non riserva quasi più sorprese. Una nota finale : se fossi la maga Arsenia (“chiaromante chiaroveggenti” ) della settima storia, mi giocherei tutto ora sul ritorno di Camilleri al suo inseparabile Montalbano : e sicuramente ci azzeccherei !