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Letteratura italiana

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Quattordici racconti, narrati dai quattro elementi della filosofia greca. Fuoco, acqua, terra e aria, raffinati cantori dell’amore, della morte, della gioia e della sofferenza. E poi il Vate che canta la sua terra, canta alla luna e incita i suoi conterranei ad elevare le menti e le anime, per volare alto sulle miserie del mondo. Un gioco di parole, ele vate menti. Ma che cosa sono le parole se non la risultante di un gioco magico, chiamato poesia?



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EleVateMenti 2011-01-29 14:18:51 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    29 Gennaio, 2011
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Sentimenti ed emozioni

“Ele Vate Menti nasce come un racconto breve di poche pagine.
Dopo il terremoto aquilano del 6 aprile 2009 sono rimasto diversi mesi senza riuscire a scrivere, forse perché volevo riprendere l’attività letteraria proprio scrivendo del terremoto, senza però apparire retorico, né banale.
E così nacque questo racconto in cui i quattro elementi della filosofia greca (a cominciare dalla terra che aveva tremato) narravano gli eventi. Affidavo a loro un racconto che sentivo di dover scrivere, ma che forse non mi ritenevo in grado ( o in diritto…chissà) di creare.”


Il racconto di cui dice l’autore e che intitola l’intera raccolta si trova alla fine del libro e chiude nel migliore dei modi una silloge ricca di trame che, oltre che appassionare, restano dentro, con i loro personaggi normalissimi, ma dotati di straordinaria umanità, per nulla banali, anzi punti che si rincorrono logicamente in una storia che non ha tempo, perché i sentimenti, quelli veri e non patinati, si offrono al lettore sommessamente, quasi con una vena di pudore.
Che Arturo Bernava, scrittore fecondo, fosse dotato di uno stile inconfondibile e sapesse toccare quei tasti oggi troppo spesso dimenticati l’avevo capito leggendo il suo primo, e unico romanzo per ora, Il colore del caffè, narrativa spigliata, d’epoca, con caratterizzazioni convincenti che non possono lasciare indifferenti e infatti questo libro ha vinto numerosi premi letterari.
Forse buona parte dei racconti di questa raccolta sono stati scritti tempo fa, ma ciò non toglie che, pur rilevando un continuo affinamento dello stile, la capacità di svolgere il tema è rimasta inalterata, una dote innata, insomma, che consente di porgere a chi legge vicende accattivanti, che portano a un’autentica commozione, senza che siano pregne di retorica o finalizzate a stupire, a venire incontro a facili riflessi emotivi che, purtroppo, contraddistinguono un numero sempre maggiore di italiani.
No, Bernava scrive per comunicare, non per cercare il facile consenso, bensì in quel suo semplice candore si può ritrovare l’uomo che, nonostante tutto, ha sempre fede e speranza nell’umanità.
Del resto, le vicende narrate sono di quelle che, pur richiamando l’afflato con la sua regione (l’Abruzzo), con i suoi riti collettivi, con personaggi umili e degni del massimo rispetto, hanno un carattere di universalità, perché i sentimenti, quando sono autentici, sono uguali, oggi come ieri, in Abruzzo come in Lombardia.
I temi trattati sono comunque diversi senza che si incorra nel rischio della ripetitività, ma soprattutto sono svolti con una freschezza, con una trasparenza come quella di certi cieli in montagna in un giorno di sole.
Si legge e ci si diverte, si legge e ci si emoziona, si arriva alla fine, si chiude il libro e inevitabile sfugge un pensiero: “Peccato che non ce ne siano più, ma è giusto così, perché in tal modo mi resterà dentro un angolino giusto giusto per conservare la dolce Cleonice, il maresciallo Modiano e tanti altri, che mi terranno compagnia nei sogni della notte”.

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