Dieci prove di fantasia
Letteratura italiana
Editore
Cesare Segre è nato a Verzuolo (Cuneo) nel 1928. Per molti anni ha insegnato Filologia romanza all'Università di Pavia. Da Einaudi ha pubblicato i seguenti volumi: I segni e la critica (1969 e 2008), Le strutture e il tempo (1974), Semiotica filologica. Testo e modelli culturali (1979), Teatro e romanzo (1984), Avviamento all'analisi del testo letterario (1985), Fuori dal mondo. I modelli nella follia e nelle immagini dell'aldilà (1990), Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento (1991), Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria? (1993), Per curiosità. Una specie di autobiografia (1999), Ritorno alla critica (2001), La pelle di San Bartolomeo. Discorso e tempo dell'arte (2003), Tempo di bilanci. La fine del Novecento (2005) e Dieci prove di fantasia (2010). Per Einaudi ha inoltre curato, con Carlo Ossola, i volumi dell'Antologia della poesia italiana.
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IL VIZIETTO DEL FILOLOGO
Quando ami la letteratura e ti ritrovi, dopo anni frequentati in una seria università, ad armeggiare spesso con le armi della filologia, ti verrebbe voglia di piangere. L'innocenza e la felicità che il mondo libro ti apriva quando la tua mente, per quanto poco consciamente, nenache sospettava l'esistenza di certe questioni, per così dire 'tecniche', gradualmente si perdono nell'erudizione e nel cavillo, sminuendo la magia che la scrittura sa dare a chi la ama. Allora c'è da chiedersi: come fa uno come Segre, grandissimo critico e profondissimo conoscitore della letteratura italiana e romanza (ma non solo), studioso tra i più importanti del nostro panorama culturale (cioè, quello che resta) a scrivere delle narrazioni dimenticando di essere quello che è?
Semplice, non ci riesce, anche se il risultato artistico definitivo è buono. Anzitutto il libro, per le sue sottili allusioni e le delicate ironizzazioni, presuppone un pubblico abbastanza eletto. Per quanto i racconti in loro stessi siano piacevoli e leggibili, tutta la loro novità si può misurare solo conoscendo (anche non in profondità, ma più si conosce più si apprezza) gli originali, in quanto su questi si misura e si sbriglia la fantasia dell'autore. Che cerca di creare varietà stilistiche, polifonia di voci, giustificazioni fantastiche, sliding doors narrative. E lo fa con abilità.
Le storie sono brevi, snelliscono opere contenute in migliaia di versi (la chanson de roland) o in lunghi anni di vita (machado e guiomar), ci mostrano un'Isotta che sembra uscita da una battaglia sessantottina con un linguaggio da teenager e un malinconico Pavese sbattuto tra le titubanze di un ipotetico ritorno impossibile.
Il fatto è che in tutto permane sempre quell' "in più" che differenzia un critico da uno scrittore e che allo stesso tempoè un "in meno": c'è un sottofondo continuo, come dei violini ostinati che sussurrano,che più che suggerire giustificano e cercano di indottrinare narrando. Pertanto i nodi delle storie restano solo tali, non vengono sviluppati, le trame sono ridotte all'osso.
In definitiva, è una buona lettura per chi volesse saperne di più sulla letteratura europea - la varietà dei racconti si potrebbe definire cronotopica - ma odia i manuali scolastici. E diventa un'ottima lettura per chi afferra tutti i giochi che l'autore si diverte a inscenare con la tradizione, salvo sentirsi, a volte, di fronte all'ennesimo (as)saggio di storia della letteratura.