Cronachette
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Memorie dal lontano e recente passato
Sette storie realmente accadute e raccontate in breve – “cronachette”, per l'appunto – che hanno in comune un elemento irrisolto, di mistero.
Sette episodi messi in ordine cronologico dal diciassettesimo secolo ad oggi da uno Sciascia che, come lui stesso confessa, è attratto dai “piccoli fatti del passato” da interpretare “come lo scioglimento di un rebus o di un cruciverba”.
Si va dalla storia di don Alonso Giron – probabile assassino di un quattordicenne che aveva il solo torto di essere troppo presente presso la famiglia della sua amante – al misterioso “uomo del passamontagna”: colui che, dopo il colpo di stato di Pinochet, compariva al seguito dei militari negli stadi dove erano radunati gli oppositori del regime, per indicare quelli che tra loro andavano torturati o uccisi; c'è da capire il perché e, da un certo punto in poi, il perché non più. Passando per la strana “apparizione” di Mata Hari a Palermo (dove, nell'estate del 1913, la famosa spia danzatrice aveva in calendario una serie di esibizioni).
La passione di Leonardo Sciascia per le vicende avvolte nel mistero è cosa risaputa: “L'affare Moro” e “La scomparsa di Majorana” ne sono una conferma in relazione ad episodi più noti della nostra cronaca nera.
In questo libricino – avendo raccolto personalmente, o tramite amici, varia documentazione (anche di valore storico) sulle vicende di cui racconta – lo scrittore si dedica a metterne in chiaro gli aspetti più controversi. Mantiene intatto il suo gusto per le citazioni, talvolta anche difficili da decodificare per chi non ha familiarità con gli episodi o le persone cui di volta in volta ci si riferisce (ed è forse questo il punto a sfavore di questa breve raccolta).
Vale la pena fare un cenno ad una storia in particolare (siamo ancora nel 1913), forse quella più carica di umanità: la storia de “La povera Rosetta”.
Elvira Rosa Ottorina Andrezzi, detta Rosetta, è una canzonettista del teatro San Martino di Milano. Coinvolta in una violenta carica della polizia, sol perché amica di alcuni giovanotti che non vogliono sottostare ad un immotivato ordine di sgomberare un luogo pubblico, viene brutalmente picchiata e ridotta in fin di vita. Qui la storia si confonde con il racconto popolare: per alcuni Rosetta, condotta in questura, si avvelenerà prima di arrivarci; per altri saranno sufficienti le botte prese. Fatto sta che, per una serie di circostanze, il ricordo di Rosetta – come accade a molti personaggi simbolo di ingiustizia – sarà tramandato attraverso una canzone popolare, destinata ad essere ricordata negli ambienti della “ligera” (quella piccola malavita locale che vive ai margini della società).
Un'ulteriore curiosità: nel raccontare questa storia, Sciascia costruisce una godibile parentesi sulle sostanze velenose. In particolare spiega com'è che l'arsenico e il cloruro di mercurio fossero veleni a quel tempo rintracciabili nelle borsette delle donne, mentre la stricnina nelle tasche dei pantaloni degli uomini. A suo modo, una divagazione sul costume di inizio '900.
Indicazioni utili
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Il piacere della scoperta
“I piccoli fatti del passato, quelli che i cronisti riferiscono con imprecisione o reticenza e che gli storici trascurano, a volte aprono nel mio tempo, nelle mie giornate, qualcosa di simile alla vacanza. Diventano cioè riposo e divertimento, come la lettura di un libro di avventure o poliziesco, come (ma non per me, ché rare volte ho tentato senza riuscire) lo scioglimento di un rebus o di un cruciverba.
L’imprecisione o la reticenza con cui il fatto viene riferito è, naturalmente, la condizione indispensabile perché il divertimento scatti. Che è poi il gusto della ricerca, del far combaciare i dati o del metterli in contraddizione, del fare ipotesi, del raggiungere una verità o dell’istituire un mistero là dove o la mancanza della verità non era mistero o la presenza di essa non era misteriosa. Un giuoco ci spesso si accompagna, e lo eccita, un senso di puntiglio; ma qualche volta interviene anche una sorta di pietà.”
E’ indubbio che la grande capacità di analisi di Leonardo Sciascia, quella continua ricerca dei come, dei dove, dei chi, dei se, ne faccia lo scrittore detective per eccellenza, ma non sono sempre i delitti irrisolti che stimolano la sua attenzione, anzi più spesso sono quelle mezze verità o addirittura delle pretese e non dimostrabili verità che lo attraggono irresistibilmente, costituendo il presupposto per un sottile gioco di disvelamento a cui gli è impossibile sottrarsi. Come il bimbo che cresce ossessiona i genitori con i suoi “perché”, l’autore siciliano è angustiato e divertito al tempo stesso dalle tante domande che gli balenano, che altri avrebbero dovuto porsi e che, per i motivi più svariati, non sono rientrate nella logica operativa.
Sciascia non si smentisce al riguardo in ogni suo libro, con domande incalzanti, con contrapposizioni e con ipotesi sufficientemente plausibili, tanto che a forza di leggere le sue opere si viene presi da questa smania di non accettare mai a priori lo svolgimento dei fatti secondo la versione ufficiale, un dubbio sì corrosivo, ma che consente di aggiungere talvolta un tassello di verità a responsi lacunosi, se non fasulli.
Queste Cronachette (nove per la precisione in 104 pagine) ne sono un chiaro esempio, con personaggi che non sono stati i protagonisti della Grande Storia, di quella che si studia e si accetta spesso supinamente. Eppure essi stessi, benché quasi ignoti, non poco hanno contribuito con la loro presenza, con i fatti e i misfatti compiuti a delineare quel grande ciclo dell’umana esistenza che ogni giorno trascorso fa parte della storia, di ciò che è stato e che, in un certo qual modo, contribuisce al concretizzarsi di quel che sarà.
E così assurge al rito della memoria don Alonso Giron per un orrendo omicidio nella Palermo del VII secolo, frutto di due moventi, spesso mai presenti insieme, ma che qui coabitano a disegnare un quadro di truce criminalità: la passione e l’interesse. Il tutto senza perdere di vista il bon ton di un certo ceto che, fatta giustizia, non nega al reo un funerale e nemmeno anonimo, bensì pregno di esteriorità, quale si addice a un nobile. Chi mai sapeva, oggi, poi di Don Mariano Crescimanno, un benedettino che nella prima metà del XVIII secolo a Modica fu il promotore di una puzzolente carnale eresia e proprio per questo fu costretto fra le mura di segrete in cui urlava, inascoltato, giorno e notte? Poi ci sono anche personaggi femminili, come Mata Hari, che si esibisce in un teatro popolare di Palermo o la sventurata Rosetta, cantante di modeste pretese, peripatetica e vittima di un’omertosa polizia, che si aggira nell’ombra della Milano della scapigliatura. Non mancano certe chicche come il Manzoni e il linciaggio del Prina, e la testimonianza di padre Giuseppe Buttà sull’operato di Garibaldi, i cui meriti vengono largamente ridimensionati. Della passione per Stendhal è poi testimonianza la vicenda del principe Pietro Bonaparte, amico di Victor Hugo e che sembrerebbe aver ispirato a Beyle il personaggio di Fabrizio del Dongo nella celeberrima Certosa di Parma.
Figure indubbiamente lontane nel tempo che, più che emergere dalla nebbia, si stagliano in essa come improvvise ed effimere schiarite, una memoria che li illumina per poi ritornare, esaurita la curiosità, nella densa caligine dell’oblio.
Ma per uno non è così, per quell’uomo con il viso nascosto da un passamontagna, delatore dopo il colpo di stato di Pinochet e responsabile della scomparsa di tanti suoi ex compagni del partito socialista di Allende. Personaggio complesso, è il Giuda del XX secolo, con tanto di rimorso e una vita spezzata, moralmente e fisicamente.
E fra i titoli a forte richiamo di giornali scandalistici non poteva mancare quello che parla dell’inesistenza di Borges, che sarebbe stato un’invenzione, provocando però così l’effetto opposto, cioè rivestendo di mito uno scrittore che già era un mito.
Cronachette è forse una produzione minore, in cui pare più evidente che in altre opere il divertimento di Sciascia nello scoprire, pazientemente, come un archeologo, verità sepolte, nel dialogare con se stesso alla ricerca di una verità che possa essere più plausibile.
Da leggere, per condividere con l’autore siciliano il piacere di dare luce a ciò che è sempre stato in ombra.