Cinque storie ferraresi
Letteratura italiana
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Gli anni più tragici della dittatura
Scritti negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale (tranne uno, il primo della serie, abbozzato nel 1937 ed edito nel 1940) questi cinque racconti ("Lidia Mantovani", "La passeggiata prima di cena", "Una lapide in via Mazzini", "Gli ultimi anni di Clelia Trotti" e "Una notte del '43") furono pubblicati, riuniti in un unico volume, dalla Einaudi nel 1956, ottenendo un immediato successo di critica e di pubblico, coronato nello stesso anno dal conferimento del prestigioso Premio Strega.
Tutte le prose sono accomunate dall’ambientazione (la città di Ferrara) e dalla malinconica consapevolezza che gli italiani amano troppo presto dimenticare, aderendo, spesso inconsciamente, al noto motto chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Tuttavia, il filo conduttore è costituito dalla opprimente cappa della dittatura fascista in dissoluzione, che vive, negli ultimi anni del conflitto, un rigurgito di violenza, tragica e inutile, come se le teste calde volessero portare con sì nella tomba anche gli altri, cioè quelli non come loro. Da questo punto di vista l’opera presenta l’indiscutibile pregio di farci capire, attraverso delle storie semplici e realmente accadute, come poté capitare che un regime, apparentemente dissolto dopo il 25 luglio del 1943, finisse con il rialzare la testa, dando vita a quello stato fantoccio che fu la Repubblica di Salò. Bassani lo fa parlando della sua Ferrara, terra di grandi squadristi, tra i quali Italo Balbo, e in cui la guerra civile prese avvio con l’eccidio di undici innocenti avvenuta nel novembre del 1943, che l’autore sposta a dicembre.
Ferrara è una città di provincia, a economia agricola, una sorta di grosso paese che l’autore ben conosce e descrive perfettamente, nelle sue strade e nei suoi personaggi, ma che riflette, per estensione, l’intera Italia, così che leggendo quelle pagine si comprendono tante cose, si capisce perché a guerra finita i processi ai criminali fascisti si siano quasi sempre conclusi in una farsa, così che dopo aver sollevato un gran polverone questo sia ritornato ad adagiarsi dove era prima, insomma un po’ il concetto del Gattopardo, alla cui pubblicazione l’intervento di Bassani fu determinante.
L’impressione che ho ricavato è che forse ò’autore, con questi suoi racconti, ha inteso dire che la natura del fascismo è innata in noi italiani, menefreghisti, prepotenti, pronti a scendere a qualsiasi compromesso, a cambiar casacca, ma restando sempre noi stessi. L’esperienza degli ultimi settanta anni parrebbe purtroppo dar ragione al narratore ferrarese, confermando ancora una volta che la storia è fatta di cotsi e ricorsi e che, contrariamente a quel che si dice, non insegna nulla, o meglio che da essa non impariamo, o non vogliamo imparare nulla.
Da leggere, perché lo merita.
Indicazioni utili
Non una parola di più
Alla sua prima pubblicazione nel ’56 questa bellissima raccolta di racconti vinse il Premio Strega, fu oggetto successivamente di varie revisioni per apparire poi nel 1974 e in seconda edizione nel 1980 come Libro primo de “Il romanzo di Ferrara”, il titolo ormai ridotto a “Dentro le mura”.
Cinque storie prendono vita dallo sguardo umano e attento di chi a Ferrara fu legato per tutta la vita. Attingendo a piene mani da un materiale umano fortemente connotato per appartenenza geografica, storica, culturale, Bassani fa rivivere storie private saldamente intrecciate alla storia nazionale e all’umanissimo humus provinciale del quale si nutrono.
Torri campanarie, mura, terrapieni, vecchi edifici rasi al suolo e contemplabili solo attraverso vecchie cartoline, il cimitero e Piazza della Certosa, una lapide, un marciapiede, una gloriosa e rinomata farmacia, Via Giovecca, Corso Mazzini, i palazzi, le misere case a ridosso delle mura, costituiscono gli scorci che vedono agire i protagonisti.
Dentro le mura si è riversata la massa contadina del delta del Po, una fiorente comunità ebraica è ospitata da secoli tra alterne vicende , un’intera provincia legata ai fasti estensi vive inurbata ma relegata al ruolo subalterno decretato dallo snodo ferroviario di Bologna che la fece assurgere a “maggiore città dell’Emilia”.
Il tempo scorre tra le vie strette del ghetto e tra le più ampie, le mura accolgono purtroppo anche gli esiti della nostra triste storia d’Italia, laddove una strana cabala decise che vi erano tutte le condizioni per amplificare il brutto: armistizio, guerra civile, rossi e neri, Salò.
Un concentrato di possibilità di azioni si offre al comune cittadino che decide quali azioni intraprendere.
Si nasconda l’ebreo, perisca internato in un campo lontano o torni pingue e redivivo a scuotere le coscienze e la loro indifferenza (Una lapide in via Mazzini), si assista al funerale del socialismo e delle sue icone (Gli ultimi anni di Clelia Trotti), si rinnovino le coscienze e si viva dimentichi degli eccidi (Una notte del ’43). Questi sono gli ultimi dei cinque racconti.
I primi due preparatori fanno invece rivivere il clima cupo dell’avvento del fascismo (Lida Mantovani) e la nostalgia del tempo che fu ( La passeggiata prima di cena).
Lo sguardo di Bassani si posa pietoso sull’uomo sia esso artefice, complice o vittima. Tutti in un modo o nell’altro deprivati dei propri sogni, delle proprie ambizioni, delle proprie scelte. Mai un giudizio da chi antifascista fu costretto al carcere o estromesso dal diritto per appartenenza “razziale”. Bastano i suoi racconti, i personaggi di questa raccolta, le atmosfere, i luoghi , le storie individuali a pareggiare i conti.
Non una parola di più.