Animal garden Animal garden

Animal garden

Letteratura italiana

Editore


Animal Garden era il nome di un ambulatorio aperto in una cittadina a sud di Napoli agli inizi degli anni ottanta, da un giovane veterinario amante dei film di John Landis e James Belushi. Dopo pochi anni anni, tale nome fu sostituito da quello del titolare, stanco di sentirsi chiamare “dottor Gardenia” dai clienti, e sintetizza le avventura più comiche che tragiche del giovane professionista e delle sue belle e brave assistenti Marisa e Alessandra, tra tigri socievoli, leopardi assassini, cani e gatti burloni, padroni folli, nobiluomini generosi e tutta l’umanità che popola quella terra benedetta da Dio, che gli uomini cercano di rovinare e va sotto il nome di Vesuvio Felix. In ogni racconto vi è un riferimento ad un luogo o una dimora storica dell’ambito vesuviano.



Recensione della Redazione QLibri

 
Animal garden 2013-12-07 10:51:58 Cristina72
Voto medio 
 
2.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
2.0
Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    07 Dicembre, 2013
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Gnocche alla sorrentina

L'inizio lasciava ben sperare. Un inno d'amore alla terra d'adozione a mo' di prologo, mare, sole e Vesuvio celebrati con parole quasi poetiche. Ma quello che segue è molto vicino alla scempiaggine e su diciotto racconti se ne salva uno solo, “Scirocco”, che almeno suscita un po' di emozione.
A chi intraprende una lettura del genere - le avventure di un veterinario - interessa poco se lo stesso ama circondarsi di collaboratrici “belle e intelligenti”, una bionda l'altra bruna, occhi verdi ed occhi grigi, “respingenti” anteriori di tutto rispetto e “morbide masse nascoste sotto i camici”.
L'attacco storiografico che apre ogni racconto rende noiose storie già di per sé insulse, ma in ogni caso il dotto', come lo chiama la sua variegata clientela, sembra più interessato a raccontare le grazie del gentil sesso che gli incerti del suo mestiere e per tutta la narrazione occorre sciropparsi i suoi virili languori, tra cuccioli di leopardo che le colleghe cullano al seno (e che suscitano, manco a dirlo, la sua invidia) e pazienti a quattro zampe coccolati con arrapanti voci roche e annesse erre mosce.
Gli animali fanno solo da cornice, i loro malanni sono un'incombenza che si sbriga in poche righe per dare spazio a fatti e personaggi che nelle intenzioni dell'autore dovrebbero suscitare ilarità e stupore.
Nel primo racconto, tanto per non farsi mancare niente, c'è un'assistente rossa di capelli (amica con benefit), e poi la soubrette famosa affascinata dal dottorino, la gattara, il vecchietto, vari camorristi.
Manca un genuino trasporto, e tutto trapela fuorché amore per gli animali.
Definire “volpe di fuoco” un volpino ferito che fugge avvolto dalle fiamme dopo un incidente in ambulatorio non è divertente, né farsi beffe di una gattara addolorata per la morte del suo vecchio gatto (steso con un pugno rocambolesco da una delle avvenenti dottoresse).
E non brilla certo per arguzia la storia della cocaina donata da un cliente camorrista in segno di gratitudine. Troppo pauroso per sniffarla, il dotto' decide di regalarla ad un amico che ne fa uso abituale e che non finisce di ringraziarlo per l'altissima qualità della merce: “...abbiamo fatto un party per otto persone e stiamo ancora sulle stelle...”.
I racconti sono tutti inventati tranne uno, ma visti i risultati l'autore avrebbe fatto bene a lavorare meno di fantasia raccontando gioie e dolori autentici di un mestiere fuori dall'ordinario.
All'inizio del libro viene citato un certo James Herriott, veterinario dello Yorkshire che anni fa scrisse un'opera autobiografica con garbo, deliziosa ironia, amore per il proprio mestiere, rispetto per gli animali. Un libro da leggere... quello di Herriot ovviamente.

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