Altri libertini
Letteratura italiana
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Un viaggio psichedelico
"Mi accorgo che si è giocato troppo forte per i nostri nervi e così anche la Sylvia che mi scrive un letterone che mi farà piangere e bestemmiare. Dice che abbiamo pagato troppo caro il prezzo per la ricerca di una nostra autenticità, che tutto quanto abbiamo fatto era giusto e lecito e sacrosanto perché lo si è voluto e questo basta a giustificare ogni azione, ma i tempi son duri e la realtà del quotidiano anche e ci si ritrova sempre a far i conti con qualche superego malamente digerito; che è stata tutta un'illusione, che non siamo mai state tanto libere come ora che conosciamo il peso effettivo dei condizionamenti." Raccolta di sei racconti o, come preferì definirlo il suo stesso autore, romanzo a episodi, Altri libertini mette a nudo spaccati di vita giovanile nell'Emilia Romagna di fine anni Settanta. Sesso, droga, alcool e qualsiasi genere di trasgressione possibile accompagnano le vite dei protagonisti, ora alleviandone ora acuendone i dolori, alimentandone i sogni e le speranze, pervadendoli di incontenibili emozioni. Trasgressivo, dissacrante, a tratti blasfemo, Tondelli esce fuori dalle righe con un linguaggio che riprende lo slang giovanile rozzo, empio, volgare di quegli anni, affrontando argomenti fino a quel momento tabù con una naturalezza disarmante, andando incontro, oltre che al biasimo di buona parte della critica, anche a grossi grattacapi legali da cui, comunque, è uscito vincitore. L'autore ha così potuto consegnare al pubblico un'opera imprescindibile, forte come un pugno in piena faccia ma anche pregevole dal punto di vista della scrittura, capace di trasmettere sensazioni forti e di indirizzare il lettore a riflettere sulle innumerevoli sfaccettature dell'animo umano senza ipocrisia, perbenismo, pregiudizi. Il tutto sciorinato con una prosa irrequieta, sperimentale, a tratti psichedelica. "Ora dico che anche questo non basta perché non si vive in un letto o in un cinema o in un appartamento o in un cesso e io sento la mancanza di tutto quello che non è cinema, non è appartamento, non è letto e non è cesso cioè sono stanco e vorrei dormire per una eternità e magari svegliarmi che tutto è cambiato e finalmente si sta bene e non bisogna menarsela tanto con l'alcol e i buchi e i soldi e...Poi lei dice che faccio la lagna e di smetterla lì perché cerco sempre giustificazioni e meglio sarebbe se mettessi la testa a posto che è il solo modo di sopravvivere in questo merdaio che si chiama Italia e allora le dico che son tutte cazzate e che in Italia sopravvivi solo se hai la lira e anche così fai una vita di merda". L'idea del viaggio è alla base del libro. Che sia reale o metaforico, il viaggio è il vero filo conduttore dei vari episodi. "Viaggio" è proprio il titolo del racconto più lungo, dove l'io narrante racconta le sue esperienze lavorative, amorose, in Italia e all'estero, nelle quali il vagabondaggio fisico e il percorso di crescita interiore si fondono e si confondono, divenendo un unico itinerario fatto di stazioni e autostop, appartamenti condivisi e sacchi a pelo, amori occasionali e duraturi sia omo che eterosessuali, di sbornie e trip, di botte e di pere. Elementi che ritroviamo anche negli altri racconti. Tutti i personaggi di questo libro sono perennemente in viaggio, senza meta, senza reali motivi, senza seguire una precisa strada, in un'inarrestabile ricerca che altro non è che la ricerca di se stessi. Ma trovare se stessi a volte può rivelarsi un'estenuante caccia al tesoro senza alcun risultato. "Nel piazzale la nebbia si fa più chiara attorno ai lampioni. Giusy si avvia barcollando verso casa. Quasi mattino. La prossima notte tornerà al Posto Ristoro come sempre oppure se ne andrà via dalla città e da tutti e il Bibo lo lascerà. Ora non lo sa che ha tanto sonno e fifa da smaltire che le gambe gli sembrano le stampelle in legno di un povero martire della Patria".
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Alla fine il vuoto
Molto ci sarebbe da dire su Pier Vittorio Tondelli e su questa sua opera prima, “Altri libertini”, pubblicata nel 1980 e riflesso crudo e cangiante di quella generazioni di giovani italiani dispersi nelle fanfare degli anni ’70, tra comitati, gruppi di intervento, aspirazioni artistiche, frustrazioni politiche. L’opera di Tondelli è, non a caso, continuamente in bilico tra la rappresentazione politica e quella sociale, o meglio, nel seguire i suoi personaggi, con la mollezza abbandonata di un trip da canapa, dipinge, suo malgrado, l'affresco di un certo mondo, fatto di droga, soprattuto, e di sesso, più di tutto. Tondelli è crudo nelle sue descrizioni, non risparmia nulla al lettore, tra travestiti che si prostituiscono per un quartino di droga, etero confusi o affetti da un insanabile machismo e gay che, incuranti di ogni malattia sessualmente trasmissibile, cambiano partner ogni mese, ogni settimana, ogni giorno. Di sesso omosessuale abbonda il libro, spesso sporco, stordente, un massacro volontario; tenero, raramente, quando una soffitta è riparo dal male del mondo e un abbraccio sembra tenere alla larga le tempeste più dure. Serve stomaco per oltrepassare certi passi, tra vene bucate e crisi di astinenza, stupri descritti così alla leggera, quasi fosse normale, come quando per salvare un amico che non si droga da troppi giorni e che ha perso il controllo di letteralmente ogni sfintere, un travestito non solo si prostituisce per ottenere una dose ma, appurata l’assenza di vene sul braccio del malcapitato, decide di masturbarlo in un bagno, con tanto di provocazioni erotiche, per trovare un vaso su cui fare l’iniezione. Non bisogna essere delicati per sopravvivere alla lettura, anzi inghiottire amarezza su amarezza e contemplare il silenzio, il vuoto sempre più famelico e spalancato che inghiotte ogni personaggio alla fine della sua storia, quel senso lacerante di un’assenza che è il lato oscuro da cui provano a fuggire, ma l’eterno aguzzino che li aspetta alla fine dei giochi, quando ogni illusione si è spenta e ognuno si ritrova da solo con se stesso.
Romanzo per episodi, sei in tutto, “Altri libertini” fu, ovviamente, accusato di oltraggio del pudore. Censurato, rese ancora più celebre il suo giovane autore e anzi ne fece l’emblema della comunità gay degli anni ’80, uno capace di scrivere su carta i timori e le agitazioni di un’intera generazione, la sua siderale impreparazione ma anche la sua voglia di contare qualcosa. Eppure Tondelli, scrittore a sua volta omosessuale, cui perfino la madre aveva detto che sarebbe finito come Pasolini e che morì poco più che trentenne per le complicanze dell’AIDS, non si riconobbe mai nel ruolo di intellettuale gay e anzi nell’edizione Bompiani successiva chiese di epurare le bestemmie e le scene più scabrose, come in un pentimento postumo che lo condurrà anche ad un riavvicinamento al cristianesimo prima della morte, nella sua odiata e bistratta, ma mai dimenticata, Correggio.
Cercando su Google, “Altri libertini” è spesso valutato più per il suo autore che non per l’opera in sé: alcuni, follemente, ne chiedono una “lettura gay”, altri ne vogliono una “valutazione politica”, altri ancora lo interpretano alla luce dell’autobiografia dell’autore. Tralasciando tutto questo, il merito maggiore di questo libro è certamente nel bellissimo stile che Tondelli dimostra di possedere, capace di variare nella mimesi linguistica più estrema, dal linguaggio giovanilissimo dei ventenni, alle pause liriche, fino al sarcasmo parodico dei modelli alti, passando per per tutta una gamma di toni e stili che lo rendono intellettualmente molto godibile. Per temi e contenuti, si salvano i primi tre episodi di questo romanzo antologico: gli ultimi tre, recuperando il modello droga-sesso gay-gioventù allo sbando non fanno altro che sfinire quanto già era stato detto e non aggiungono nulla, tranne forse nell’ultimo una serie di dichiarazioni poetiche abbastanza godibili. Un libro disturbante, che non sempre riesce a sfuggire al cliché più antipatico, violento e un po’ troppo ripetitivo, sicuramente non adatto a lettori troppo impressionabili e che sconta, a mio avviso, una certa protervia tutta giovanile e che in questa dimensione scricchiola oggi sotto il peso del tempo. Come ha da dire uno dei personaggi, nel solito tono casto e pudico del libro, “ho imparato più da un pompino che da vent’anni di esami”. Altri libertini docet.
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Non solo John Travolta!
Questa è l'opera prima di un autore italiano già da tempo scomparso, purtroppo in giovane eta, una composizione di sei racconti concatenati che subito dopo la pubblicazione fu posto sotto sequestro per oscenità e oltraggio alla pubblica morale, per una denuncia di un privato cittadino.
Era il 1980 quando uscì la prima volta e la società di allora, ben più apparentemente puritana e limitante rispetto all'odierna, non digerì il linguaggio scurrile e blasfemo con cui venivano narrati gli accadimenti di certi giovani ribelli, individui in continua modalità raminga alla ricerca spasmodica di un briciolo di felicità e spensieratezza che non arrivava mai.
Nelle prime pagine ho stentato a continuarne la lettura, più volte pensando di mollare del tutto e non per bigottismo o chiusura mentale ma per una personale mal-disposizione al mero ascolto (e peggio ancora alla lettura, nero su bianco!) di parolacce e bestemmie; una volta superata l'imbarazzante difficoltà ho iniziato a fagocitare pagine su pagine rimanendo a dir poco affascinata dal sapiente modo di narrare quel lontano pianeta, tremendamente crudo e difficile.
E' d'obbligo una considerazione: certe esistenze umane perennemente sul filo del rasoio e assai fuori dal comune, non possono che essere raccontate e ben rappresentate da quell'unico linguaggio forte, intenso, doloroso e a tratti veramente urticante.
L'opera di Tondelli è la fedele fotografia di uno spaccato degli anni settanta in cui lotte e ribellioni all'interno di una società fortemente perbenista erano all'ordine del giorno, ed io ero ancora troppo piccola per comprenderne il vero lato della medaglia.
Tondelli è stato l'autore della provocazione, almeno con quest'opera, uno che sapeva il fatto suo ed era capacissimo di scuotere gli animi dalla banale quotidianità riuscendo a sollevare quesiti e dubbi anche negli animi più convinti, uno che sicuramente era ben consapevole dello scandalo e del polverone che avrebbe suscitato.
Consiglio caldamente questa lettura a chi volesse intraprendere un viaggio nel tempo negli ambienti dell'omosessualità e illegalità (droga e prostituzione), l'altro lato ben più oscuro e dannato di un'epoca ricordata ai giorni nostri per il brilluccichio da febbre del sabato sera.
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Il disagio della lettura
Ho già avuto modo di dire, riprendendo le parole del saggio critico (che ho commentato in precedenza e dal quale ancora una volta attingo) su Pier Vittori Tondelli, che lo scrittore di Correggio è stato variamente definito (“il Bukowski emiliano”, “il fenomeno Tondelli”; l’alfiere della “letteratura generazionale”) e ha impressionato per la “multiforme e polifonica … energia linguistica, espressiva, emotiva”. Quest’ultima qualificazione stilistica è tanto più vera se si confronta lo stile narrativo impulsivo e concitato degli scandalosi (furono messi all’indice per le bestemmie e la brutalità di alcune scene) “Altri libertini” con l’esposizione intimistica e tormentata di “Camere separate”.
“Altri libertini” è una raccolta di sei racconti su disagi collettivi e inquietudini giovanili degli anni settanta. Nel mio percorso di lettura e commento delle opere di Pier Vittorio Tondelli, fatico a parlare di quest’opera, che mi ha fatto “stare male” (espressione banale, ma efficace) durante i giorni della lettura. Ancor oggi, se ci ripenso, in me dilaga l’inquietudine nel ripercorrere gli stimoli mentali ed emotivi di racconti che trasudano malessere e rabbia nelle convulsioni di un’epoca – gli anni settanta - di disagio culturale, di sussulti che si sono propagati dal profondo e di estremismi viscerali. Un’epoca presente nei miei ricordi, un’epoca sulla quale lo stesso Tondelli – da intellettuale qual era - ebbe a dire: “Vorrei commemorare qui gli anni settanta, anni molto cari e molto amati per quello che hanno effettivamente rappresentato per un ragazzo che li ha attraversati dai quindici ai venti anni… essere giovani in quel decennio significò una cosa importantissima: essere presi in considerazione, avere la consapevolezza che il destino della società si giocava (ed era giocato) sulle proprie spalle. I ragazzi erano «la piazza»”.
In realtà la lettura delle vicende degli “Altri libertini” mi ha impressionato. Per il nichilismo che la pervade. Per l’uso di un linguaggio spesso violento, per la descrizione di immagini che prostrano. Ma soprattutto perché trovo incredibile che lo stesso artista che ha saputo profondere il lirismo di “Camere separate” abbia potuto scrivere pagine che sono un pugno nello stomaco di chi legge. Perché comprendo che forse solo chi sa toccare il fondo delle cose può raggiungere anche le vette più elevate.
Altri libertini fu pubblicato nel 1980 da Feltrinelli ed ebbe, soprattutto presso il pubblico giovanile, uno straordinario successo che indusse l'editore a predisporne tre edizioni. Nel frattempo la procura ordinò il sequestro dell’opera per oscenità e oltraggio della pubblica morale.
Oggi il testo è da molti considerato innovativo per linguaggio e stile: un mosaico tra slang giovanile, forme dialettali, abbondanti riferimenti alla cultura pop della musica, del cinema e del fumetto, ed è ritenuto importante per gli influssi che esercitò sulla letteratura dei decenni successivi.
Credo di aver fornito alcuni elementi perché ciascuno valuti – in ragione della propria sensibilità, interesse letterario e curiosità culturale - se leggere un’opera tanto controversa…
Bruno Elpis
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