Narrativa italiana Racconti A grandezza naturale
 

A grandezza naturale A grandezza naturale

A grandezza naturale

Letteratura italiana

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“In queste pagine unisco,” chiarisce De Luca nell’Introduzione, “storie estreme di genitori e figli.” La narrazione si rinsalda nelle radici della storia tramandata: si inizia da Isacco, naturalmente, dalla mancanza di legittima difesa contro il padre – la legatura di Isacco, in ebraico così ci si riferisce a quello che noi di solito chiamiamo “il sacrificio”, perché quel nodo stretto fra lui e Abramo è irreparabile. Nodo che sembra potersi sciogliere solamente diventando a propria volta genitori, “passaggio che fa scordare e slega dallo stato di figlio”. Come succederà a Chagall, dopo aver dipinto il ritratto del padre – struggente il racconto dell’opera in queste pagine –, e come invece non potrà fare la figlia del vecchio nazista, nel tentativo estremo di mettersi al riparo dal torto del soldato scegliendo di non procreare. E come non succederà a chi racconta, rimasto figlio – nelle orecchie ancora il suono della camicia lacerata del padre come atto di dolore, rumore “amplificato a squarcio”, reazione al suo allontanamento da casa. Tuttavia proprio per ciò egli è il narratore ideale di queste storie: “Ne sono estraneo a metà: senza essere padre, sono rimasto necessariamente figlio. Non ho sperimentato la responsabilità, la protezione, la prova di educare. Non cambio comportamento con un giovane o un anziano. Da figlio li considero alla pari, dei contemporanei. Da lettore e da scrittore lo divento delle storie che ho davanti”.



Recensione della Redazione QLibri

 
A grandezza naturale 2021-05-04 16:37:08 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    04 Mag, 2021
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Onora il padre

La scrittura di Erri De Luca si riconosce per un attributo semplicissimo, subito evidente, immediatamente lampante: la sua essenzialità.
Lo stile dello scrittore napoletano è peculiare come non mai per questo motivo, vanta un’asciuttezza di modi che non rimanda al prosciugato, al riarso ed al laconico, bensì al breve, all’agile, al conciso ma costruttivo, ai suoi testi smilzi non corrisponde mai una povertà di contenuto, tutt’altro.
De Luca è autore potente, colto, elegante, forbito: usa termini adatti, racconta con parole precise, perciò solo per questo le sue conclusioni sono esaurienti ed esaustive, esprime sempre compiutamente il suo dire con le opportune locuzioni.
Un suo testo non è brusco e stringato, semplicemente non è ridondante, perché non ha necessità di dilungarsi per esternare ancora meglio il concetto, è superfluo un ulteriore dire.
Per questo i suoi testi non contano molte pagine, come questo volumetto “A grandezza naturale”, e però per quanto esile il racconto restituisce una natura grande, estesa, ricercata e particolareggiata.
Erri de Luca è uomo nato in una città di mare, espansiva, dispersiva e contraddittoria, a quella appartiene ed in essa è cresciuto a sua immagine, assorbendone gli umori insieme alla salsedine, e però ha anche acquisito negli anni, smussandolo ad arte, cesellato dai suoi trascorsi di vita, l’animo brusco, non rude ma sollecito, non burbero ma silenzioso, di uomo di montagna, di montanaro con scarponi, piccozza e dita forti da arrampicata, vista la levatura morale raggiunta, direi montanaro di alta quota. Non un semplice esteta dei monti, direi una stella alpina, con i colori di anemone di mare.
Così anche la sua scrittura ci appare, aspra e rocciosa, solitaria e silenziosa, di pochi concetti essenziali espressi con ancora meno parole: l’alta montagna vanta aria gelida e rarefatta, non permette di arieggiare inutilmente i denti. Nemmeno sott’acqua puoi darti a conversazioni, ma a brevi cenni.
Resta perciò un uomo che della vita ha assorbito e conservato al meglio tutte le esperienze: pertanto sia dai vasti orizzonti di mare, che degli sguardi sconfinati diffusi sulla valle dalle vette alpine, ne conserva l’ampiezza. La profondità, ed il suo significato: spazia sull’orizzonte ampissimo, lo riporta uguale con vocaboli esatti, la restituisce sfrondata, rifinita, essenziale, ma se ne sprigiona comunque copiosamente l’etica e la morale acclusa, e questa sua peculiarità ne fa un testimone attento, critico e misurato della società civile del suo secolo, che gli ha dato i natali a metà del suo corso.
Tema di “A grandezza naturale” è la paternità, un concetto ed una esperienza comune ma anche non di tutti: tutti abbiamo la prerogativa di essere figli, molti invece padri non lo sono e non lo sono mai stati, tra questi si conta anche De Luca, che padre di suo non è, ma un padre lo ha avuto, come tutti.
Come dire, un’esperienza a metà, figli sì ma padri no: ciò malgrado, il tema è sempre comunemente sentito, giunge cioè sempre il tempo della vita in cui lo status di genitore va considerato in toto, qualche riflessione la propria coscienza la sollecita comunque in sede di bilanci e revisioni, e se non si è dato personalmente alla luce bambini, e quindi non si può discettare su se stessi in tale veste, comunque bambini, giovani, figli lo si è stati, nell’uno e nell’altro caso o in ambedue i ruoli si può, si deve, riconsiderarsi e porsi in confronto con l’insegnamento e l’esempio paterno ricevuto, il pensiero torna inevitabilmente al proprio di genitore, lo si voglia o no.
E la conclusione, spesso, è una sola: onora il padre. Senza se, e senza ma, a volte è una conclusione quasi inevitabile, aveva ragione lui, viene da dirci quando siamo avanti negli anni.
Il ciclo della vita è un cerchio, prima o poi si ritorna all’origine, al punto di partenza, l’origine ci ha decisi e poi plasmati, non è un punto infinitamente lontano ormai svanito anche nel ricordo e non più riconoscibile, tutt’altro: cuore e mente te lo riportano integro così com’era, nel bene e nel male, a grandezza naturale.
In un modo o nell’altro con la paternità, in sintesi, giunge prima o poi un momento della vita con cui bisogna farci conti.
A prima vista, il concetto di paternità è visto, specie in età adolescenziale, da chiunque, come un nodo. I nodi per definizione prima o poi vanno sciolti, sono fatti per questo, l’intreccio della canapa ha una funzione concepita in maniera duplice, per unire e poi separare.
Quando invece stretti, impossibili a sciogliersi, vale a dire privati dell’ambivalenza d’uso, allora è una deviazione dalla norma. Non legano, strozzano, sono privi di opzione.
I nodi migliori sono ad esempio quelli delle guide alpine capi cordata, i quali si legano ai compagni che li seguono con un tipo particolare di nodo: questo, quando sollecitato da un brusco strappo, si allenta anziché stringersi, si scioglie invece di serrare, in modo che, nel malaugurato accidente di un incidente, di un piede in fallo, la guida non trascina nella rovinosa caduta nell’abisso tutti i compagni di cordata. Tuttavia, il più delle volte, il nodo appare invece talmente inestricabile, che il distacco tra padre e figlio, più spesso per mano del secondo, avviene con uno scioglimento gordiano, vale a dire con un taglio secco. Ma questo non è uno sciogliere, è un troncare, significa in sintesi rimandare il concetto del distacco a considerazione futura.
Su queste riflessioni di base, Erri De Luca poggia la sua riflessione espressa in questo libro, che è permeato, e forse originato, dai suoi personali studi sull’ebraismo e sull’idioma yiddish.
Dopotutto, il primo e più maestoso esempio di apparente severità paterna nei confronti dell’educazione del proprio figliolo, che in realtà ha dei motivi non immediatamente riconoscibili, viene proprio dai testi sacri, la divinità che per i suoi scopi sacrifica il proprio figliolo.
Il proprio unico figliolo, perciò ancora più amato, che in punto di morte lo scongiura di scostargli l’amaro calice da bere, che lo accusa finanche di averlo abbandonato: e come dargli torto?
Chi poteva davvero capirne le ragioni?
E si parla del Padre e del Figlio per antonomasia.
Un concetto ribadito dal celebre episodio di Abramo e Isacco, in cui il patriarca non esita a portarsi sul monte con il suo unico figlio deciso a sacrificarlo come ordinatogli.
Isacco non capisce, e questo emblematico episodio da un lato esterna il difficile concetto di paternità da un punto di vista dell’obbedienza del figlio, per antica consuetudine dovuta sempre e comunque al proprio genitore.
Dall’altro, Abramo ha i suoi buoni motivi per compiere senza esitare l’insano gesto richiestogli, è anche lui tenuto all’obbedienza cieca per un Padre, che Isacco naturalmente non comprende; lo comprendiamo noi, ma a cose fatte, viene da dire a babbo morto.
Isacco, essendo figlio, obbedisce, potrebbe facilmente sciogliersi, è più giovane e forte, potrebbe sopraffare il genitore che è deciso a incaprettarlo, e però non si ribella.
“…Da loro in poi, il rapporto padre-figlio è una disputa tra un nodo e il suo disfacimento...”
L’episodio biblico è quanto mai esemplare di come sia difficile definire cosa è giusto e cosa no nella paternità, comprendere certe decisioni e non altre, esistono limiti dipendenti da troppi parametri, sempre assai sfumati, nella paternità, vista dall’uno e dall’altro estremo della corda che unisce i due in un nodo agile, leggero, stretto, inestricabile, e via così.
Su questa falsariga, Erri De Luca dipana il suo raccontare sul concetto di padre e figlio, e viceversa, inoltrandosi in un excursus che inizia dall’alba dei tempi, passa per Marc Chagall, pittore ebreo fuoriuscito dalla Russia che omaggia il proprio genitore con un quadro riconoscente, l’olio su tela “Il padre”, appunto, sviscerando i motivi e della tela e del metodo di lavorazione e dei motivi della raffigurazione, giunge a ricordare l’epopea di un maestro di scuola ebreo che non ebbe figli, e però amò tanti figli, i suoi alunni, si improvvisò padre per morire insieme ai figli degli altri, i suoi scolaretti ebrei, nelle camere a gas a Treblinka. Naturalmente, oltre ai figli De Luca ci racconta anche delle figlie, come la ragazza che un giorno scopre di essere figlia di un criminale di guerra nazista, che si nasconde ed ha una doppia vita per sfuggire ai cacciatori di nazisti:
“…il sangue non sporca…accusa…”
L’etica della giovane è contraria, agli antipodi con quella del padre, gli vuole però comunque bene, non lo abbandona né lo denuncia, ma non può ammettere che la sua progenie discenda da quella responsabile di simili orrori, quindi sacrifica sé stessa per amore filiale, sceglie di negarsi per sempre la discendenza, riscattando le magagne paterne nell’accudire quella abbandonata.
De Luca non si sottrae, ci racconta anche di sé, dei suoi genitori, persone semplici, frugali, essenziali:
“Sono debitore a loro due della migliore scuola di economia, farsi bastare quello che c’è. Mi è servito pure con la scrittura…”
E potremmo riportare ancora altro: da Napoli, dove:
“…l’adolescenza è stata un’età adulta…”
a Vienna, dalla Terra Promessa ai campi di sterminio dell’est europeo, la voce di Erri De Luca racconta quanto detto e altro ancora, ed è incredibile che lo descriva accuratamente in poco più di un centinaio di pagine.
Perché sia chiaro che lo descrive, non lo evoca, lo dice chiaro e tondo, con parole precise, non secche, ma sostanziali. Riferite ad un concetto, quello della paternità, a cui desidera restituire a grandezza naturale il suo peso basilare: di più, essenziale.

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A grandezza naturale 2022-09-11 14:57:05 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    11 Settembre, 2022
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Padri e figli, nodi legati e slegati

«La vita che in me si disperde si ritroverà in te e nel mio popolo.» Nazim Hikmet

Perché scrivere un libro? È dal cercare di trovare una risposta a questa domanda che ha inizio “A grandezza naturale” di Erri De Luca, opera classe 2021 che parte nel suo narrare da un ritratto di Marc Chagall che raffigura il padre “a grandezza naturale” e che proprio sui legami tra padri e figli si interroga. Una domanda che per De Luca è altrettanto forte quanto simbolica stante che egli, come da prefazione, non è riuscito in questo “prolungamento”. Ecco allora che dalla mancanza nasce la ricerca di un perché, di un significato, di un bisogno costante di capire, interrogarsi e trovare le giuste risposte anche quando queste molto probabilmente non esistono o non possono essere trovate.
Un linguaggio scarno, rapido, dialettico e dialogato, uno stile pungente e tagliente che non perde tempo in fronzoli e che ha il dono di racchiudere in poche ma esaustive battute concetti e riflessione che non vincono nella mole quanto nell’essenza.
Ma cosa significa davvero essere padre? Cos’è la paternità? Perché per alcuni è concetto di esperienza comune mentre per altri è un desiderio disatteso e forse nemmeno mai espresso? Come convivere con questa sensazione di essere uomini a metà? Se da un lato si è figli, perché dall’altro non è consentito essere padri? Ad essere poi analizzato è il concetto stesso di paternità negli anni e nelle fasi della vita. È questo diverso se percepito in età adolescenziale così come in età adulta o terza età. Da qui i nodi. Nodi di vita, saldi e forti, legami che si sviluppano e restano salvi ma che possono restare non annodati se mancanti di quelle premesse.
Ecco allora che il legame si rafforza e trova forza e il concetto di paternità non è più solo legame tra figlio e padre ma metafora intesa in senso lato, più esteso. Perché questo legame può essere appunto slegato ma non lo è il concetto di paternità che qui viene analizzato e scavato dal basso, con sguardo proprio e personale, con la sensibilità di un uomo adulto e con la premessa di mai dare nulla per scontato ma semplicemente con la voglia di raccontare.
Un libro piccolo nelle dimensioni ma grande nel contenuto per cui ringrazio del dono ricevuto, un dono inestimabile quanto prezioso.

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