Il ragazzo selvatico
Letteratura italiana
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Come Robinson
Il ragazzo selvatico sembrerebbe essere lo stesso Paolo Cognetti. In ogni caso è un uomo che, varcata la soglia dei trent’anni, è ancora alla ricerca di se stesso. Per ritrovarsi, si isola in una baita di montagna e si vota alla solitudine (“Ero io la popolazione. Come Robinson sull’isola deserta potevo proclamare a voce alta: Sono io il monarca di tutto ciò che vedo…. Rappresentavo, allo stesso tempo, l’abitante più in vista e quello caduto in rovina…”).
Le frequentazioni umane sono limitate a qualche montanaro, ai due ragazzi del rifugio, agli avventizi che si avventurano da turisti in montagna (“Andrea li chiamava gli effimeri”), ai maledetti cacciatori…
Più frequenti sono gli incontri con gli animali: volatili (“Rigoni Stern classificava le nevicate tardive: neve della rondine a marzo, neve del cuculo ad aprile, e l’ultima per lui era la neve della quaglia”) dall’innocuo fringuello alpino alla maestosa aquila, marmotte, volpi, camosci e stambecchi (gli stambecchi… “non sono prudenti come i camosci, non vengono cacciati ormai da un secolo e hanno smesso di temere l’uomo”).
Nella solitudine della baita, c’è spazio e tempo anche per la lettura di Primo Levi e per le poesie di Antonia Pozzi.
I sentimenti spaziano dall’armonia alla disperazione nera. Con quest’esperienza Il ragazzo selvatico forse non ritrova se stesso, ma una cosa è certa: recupera il suo rapporto con la montagna e con la natura.
Giudizio finale: ecologico, ascetico e ascendente.
Bruno Elpis
P.S. mi son fatto fotografare con Cognetti alla Hoepli, ahahah:
http://www.brunoelpis.it/le-interviste/1604-paolo-cognetti-alla-hoepli-di-milano
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La montagna, compagna di solitudine
Sarà per un desiderio di montagna che ho o per il piacere di vivere momenti di solitudine a calmare il turbinio mentale che spesso mi appesantisce, probabilmente entrambe le cose hanno reso piacevole la lettura di questa storia, bello l’effetto di risonanza con il mio stato d’animo attuale.
Il racconto autobiografico di Cognetti è una fuga dalla città alla ricerca della solitudine come antidoto al frastuono e al caos quotidiano delle nostre vite, come cura alla dispersione emorragica di energie emotive. La quiete dell’isolamento e dell’eremitaggio per apprezzare al meglio ogni singolo incontro umano.
L’autore, in una baita a duemila metri di quota, va alla ricerca delle sue radici, persegue la felicità nel suo tornare alla condizione selvatica, uno stato fisico e mentale che lo riporta in dietro nel tempo, alle sue camminate e arrampicate con la guida che lo iniziò a questa passione.
“L’eremita” entra in connubio con la natura, fatica a interiorizzare i suoni della montagna in quota, dei suoi odori delle sue emozioni, incontra due vicini di casa con la quale riesce a stabilire un rapporto intenso, intimo, essenziale e primordiale.
Una bella scrittura quella di Cognetti, fresca, diretta e semplice, senza sofismi che appesantiscono la lettura e complicano inutilmente il piacere di vivere un libro e la sua storia. In un’intervista lo scrittore conferma il suo desiderio di rapporti umani profondi e importanti, spiega il senso che lui dà alla solitudine, un antidoto per rendere più intensi i rapporti e gli incontri che ogni giorno si fanno.
Un bel libro, una bella storia autobiografica che fa riflettere sulle nostre vite piene di gente e di eventi, ma spesso vuote di contenuti e valori.