Il ciclope Il ciclope

Il ciclope

Letteratura italiana

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Un’isola uncinata al cielo con le sue rocce plutoniche, attracco difficile, fuori dai tracciati turistici, dove buca il cielo un faro tuttora decisivo per le rotte che legano Oriente e Occidente. Paolo Rumiz, viandante senza pace, va a dividere lo spazio con l’uomo del faro, con i suoi animali domestici: si attiene alle consuetudini di tanta operosa solitudine, spia l’orizzonte, si arrende all’instabilità degli elementi, legge la volta celeste. Gli succede di ascoltare notizie dal mondo, e sono notizie che spogliano l’eremo dei suoi privilegi e fanno del mare – anche di quel mare apparentemente felice – una frontiera, una trincea. Il faro sembra fondersi con il passato mitologico, austero Ciclope si leva col suo unico occhio, veglia nella notte, agita l’intimità della memoria (come non leggere la presenza familiare della Lanterna di Trieste), richiama – sommando in sé il “gesto” comune delle lighthouse che in tutto il mondo hanno continuato a segnare la via – le dinastie dei guardiani e delle loro mogli (il governo dei mari è legato all’anima corsara delle donne), ma soprattutto apre le porte della percezione. Nell’isola del faro si impara a decrittare l’arrivo di una tempesta, ad ascoltare il vento, a convivere con gli uccelli, a discorrere di abissi, a riconoscere le mappe smemoranti del nuovo turismo da crociera e i segni che allarmano dei nuovi migranti, a trovare la fraternità silenziosa di un pasto frugale. Rumiz ci porta con sé davanti al Ciclope, dentro il Ciclope, per dirci la scoperta della solitudine, del vivere con poco, della confidenza con il cielo, con il ritmo della luce, con la propria interiorità e l’inquietante meraviglia del mondo. Un “viaggio immobile” diventato avventura dell’anima. Sento che l’Isola è un sensore nell’universo che la circonda. Un’antenna parabolica di pensieri vaganti. Qui sento, non ho bisogno di capire.



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Il ciclope 2020-07-12 16:04:04 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    12 Luglio, 2020
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Il grido della natura

I fari mi hanno sempre incredibilmente affascinato ed in questo libro ho scoperto che ne esistono di tre tipi, quelli in paradiso, ovvero sulla terraferma, quelli in purgatorio, ovvero abbarbicati sulle estremità rocciose e sugli scogli e quelli all’inferno, ovvero posizionati su mini-isolotti in mare aperto. Vivere in un faro, anche per un breve periodo, deve essere un’esperienza unica e comunque da provare. Questo giornalista la affronta, nel suo primo viaggio immobile della sua vita. Su quella che sembra essere l’isola che non c’è, ma è un’isola che c’è sicuramente, nel mezzo del nostro Mare Nostrum. La sua permanenza in questo faro è per un periodo breve che però, proprio perché totalmente disconnesso dalle modernità e dalle comodità, si dilata. Queste settimane lo inducono a riflessioni che sono un dialogo con il lettore, volto a spiegare che cos’è quella cosa che fanno di tutto per nasconderci e che si salverebbe dal naufragio della nostra vita: il senso del limite. Conoscerlo è importante per spingerlo un po’ più in là, per rispettarlo, per ritrovare un equilibrio che la nostra società ci fa perdere, per imparare ad ascoltare il grido della natura. La meraviglia della scrittura di questo autore, uno dei miei preferiti, ci restituisce pienamente la sua sensazione madre dopo questa esperienza, ovvero il senso di inadeguatezza delle parole davanti alla strapotenza della natura.

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