Fardà Fardà

Fardà

Letteratura italiana

Editore


Fardà è il resoconto di un viaggio in Afghanistan negli anni Venti del Novecento, quando il paese asiatico era praticamente sconosciuto. In queste note, che spaziano dalla geografia all’etnografia, dal costume alle consuetudini legislative, domina lo stupore per lo sconvolgente impatto con un mondo arcaico, quasi fiabesco, immerso in una dimensione del tempo lontanissima dal XX secolo europeo. L’emiro Amanullah cercò all’epoca di modernizzare l’Afghanistan favorendo l’ingresso di numerosi tecnici stranieri, ma il tentativo fallì in pochi anni per la rivolta delle forze conservatrici e del clero islamico. La parola fardà, che significa propriamente “domani”, esprime in maniera esemplare l’atmosfera culturale dell’Afghanistan di allora: «Fardà è la magica parola di Afghanistan, quella che dà il tono a tutti gli affari pubblici e privati, quella che insegna la pazienza, la rassegnazione, quella che si leva davanti a voi inesorabile e vi dà la coscienza della vostra piccolezza…» Il libro – edito per la prima volta nel 1930 e ristampato in edizione anastatica – è illustrato da numerose fotografie originali e da una dettagliata cartina geografica.



Recensione della Redazione QLibri

 
Fardà 2012-04-18 15:08:03 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    18 Aprile, 2012
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Domani

Fardà venne dato alle stampe per la prima volta nel 1930, al rientro in Italia del giovane ingegner Pecorella (1898-1987), facente parte di una delegazione di tecnici, inviati in terra afghana per dare un contributo alla modernizzazione del paese fortemente arretrato, mediante la progettazione e la costruzione di strade, ponti e ferrovie.
Ottima l'iniziativa della casa editrice di proporre al pubblico una ristampa di questo vecchio lavoro, vista l'estrema attualità delle problematiche di politica internazionale insorte in Afghanistan.

Pecorella attraversa l'Afghanistan nel 1924, rimanendo profondamente colpito da questo mondo ancora arcaico, lontano secoli dalla modernità che già si respirava in occidente.
Egli annota fedelmente nel suo diario di viaggio, le impressioni ricevute dalla conoscenza di questo popolo, descrivendo con cura le usanze e le condizioni di vita.
Miseria, disagi, arretratezza estrema affiorano vividi dalla lettura di queste pagine, grazie ad una narrazione particolareggiata e incisiva.
Belle e di gran valore le descrizioni geografiche sulla conformazione del territorio; dai deserti di sabbia bollente alle montagne ghiacciate, dalle zone ad alta concentrazione di insediamenti a zone desolate e inospitali difficili da raggiungere.
Il racconto di questo giovane italiano è veramente interessante sotto il profilo storico e per poter comprendere l'identità culturale di questo popolo chiuso tra la Persia e l'India (oggi Pakistan), il cui isolamento commerciale ed economico ebbe pesanti ripercussioni sul suo sviluppo.
Un territorio davvero impervio e improduttivo, per di più logorato da lotte intestine tra fazioni rivali e da continui sovvertimenti delle forze di governo.

L'abilità di Pecorella va oltre alla capacità di cogliere il particolare, i colori, gli odori, i cibi, le case; egli dà un'ottima prova nel captare lo spirito dell'afghano, nel cercare di coglierne gli aspetti dell'indole e del carattere, dei pensieri, dei modi di agire e di affrontare il quotidiano ed il domani.
Fu proprio la concezione afghana del “domani”, ossia il “fardà”, che lo folgorò tanto da farne il titolo del suo diario; egli ci descrive un mondo indolente, dove tutto scorre senza fretta, dove la voglia di agire è poca, dove tutto può essere posticipato al giorno successivo.
Insomma, l'ingegnere si trova catapultato in un mondo culturalmente diverso dal suo, tanto da trasferire nelle sue pagine stupore, disappunto, sconcerto.

Al di là dell'indubbio valore documentaristico e storico-antropologico, questo scritto datato è apprezzabile per la sua autenticità, genuinità e schiettezza.
Le impressioni riportate dall'ingegnere nel suo racconto sono esenti da manipolazioni a scopo politico o propagandistico, ma nascono unicamente dal bisogno sincero di mettere a conoscenza gli italiani delle condizioni del lontano Afghanistan.
“Fardà” è una vera chicca, piacevole da leggere, considerata l'estrema grazia stilistica di Pecorella, che pur non essendo uno scrittore professionista, delizia il lettore di oggi con una scrittura raffinata ed elegante.

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