Buonanotte, signor Lenin
Letteratura italiana
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Grazie, Tiziano
Tra pochi giorni, il 28 luglio, ricorrerà il quindicesimo anniversario della morte di Tiziano Terzani, giornalista e scrittore che ammiro tantissimo e del quale, già prima della sua scomparsa, avevo letto e molto apprezzato numerose sue pubblicazioni. Si sente la mancanza della sua scrittura, semplice, appassionata, sincera, come ce ne sono poche, e un doveroso ricordo non è fuori luogo.
In verità, in Italia – intendo a livello ufficiale – le commemorazioni non si sprecano. Ricordo ancora quando, alla fine del luglio del 2004, uno scarno comunicato al telegiornale diede notizia della sua morte; i vip televisivi di turno, in vacanza presso qualche rinomata località estiva, ebbero senz’altro più spazio tra le news di quei giorni. Credo che in Germania, Paese per il quale Terzani lavorò per ben tre decenni come corrispondente dall’Asia di “Der Spiegel”, il suo nome non sia invece finito nel dimenticatoio. Fortuna che, a dispetto dello snobismo nei suoi confronti, un vasto pubblico di affezionati lettori e ammiratori pure qui da noi non gli è mai mancato. Già, perché il grande pregio del nostro giornalista toscano, secondo me, è sempre stato quello di farsi capire da tutti, tanto dall’accademico quanto da chi non può vantare alti titoli di studio, anche se parlava degli uiguri dello Xinjiang o del marxismo-leninismo in salsa cinese fino alla sterzata capitalistica del pur sempre comunistissimo Deng, dell’antica spiritualità indiana o della dissacrante modernità giapponese.
Nemmeno in “Buonanotte, Signor Lenin” il suo modo di raccontare si smentisce, regalandoci, praticamente in diretta, una preziosa testimonianza sul disfacimento dello sconfinato impero sovietico. Partendo dalla Siberia più estrema, dove già si trovava proprio nei giorni del golpe ai danni di Gorbaciov (agosto 1991), Terzani affronta un lungo e improvvisato viaggio attraverso le repubbliche di quella che stava diventando ormai la ex Unione. Chilometri e chilometri di Storia, storie, popoli, culture, religioni, timori, speranze, illusioni, fino a raggiungere Mosca dopo circa un mese e mezzo dall’inizio di quel viaggio. Da una parte all’altra, a cadere non sono soltanto le colossali statue in bronzo di Lenin, padre della Rivoluzione, ma anche le poche certezze che quelle genti avevano da settant’anni, sostituite in quel momento dalla prospettiva di un futuro pieno di incognite. E mentre i comunisti di un tempo si riciclano e con un’abile “operazione cosmetica”, magari ribattezzandosi socialdemocratici, restano un po’ ovunque al potere, in molti iniziano a preoccuparsi di come fare in fretta i tanto agognati dollari, segno evidente del completo fallimento del sistema. Molto interessante, tra l’altro, la parte relativa alle repubbliche dell’Asia Centrale, quelle di tradizione musulmana e non etnicamente russe, che mi ha ricordato varie cose studiate a suo tempo e permesso di scoprirne di nuove; così come ho trovato degno di nota il capitolo dedicato all’Armenia, dove una pesante tristezza finisce per permeare luoghi e persone che ancora oggi portano il peso incancellabile del genocidio a opera dei turchi di un secolo fa.
Per nulla superflue le considerazioni dell’autore sul comunismo e il suo crollo: se è vero che “come sistema di potere, fondato sull’intolleranza e sul terrore, il comunismo doveva finire”, è innegabile tuttavia che “là dove non era al potere, ma restava come un’alternativa d’opposizione – nei paesi dell’Europa Occidentale, per esempio – il comunismo […] ha contribuito al progresso sociale della gente” e che al principio esso “era una grande forza, una ispirazione”. Al di là di tutto questo sistema in dissoluzione ci sono milioni di persone, sovietici che, di colpo, si riscoprono kazaki, tagiki, azeri, uzbeki etc., in un risveglio improvviso di nazionalità che intimorisce non poco. Ecco, la gente… Terzani amava scriverne, forse perché le singole storie di pochi raccontano un intero territorio meglio di tanti discorsi di facciata dei suoi capi di turno (politici o religiosi): dai portieri e le donne di servizio degli hotel per turisti agli operai delle fabbriche, dalle hostess e piloti della disastrata compagnia di bandiera sovietica a coloro ancora perseguitati dal KGB, questo libro è pieno di piccole storie, quelle che più colpiscono e restano impresse.
E allora grazie, Tiziano, grazie per queste bellissime pagine e tutte le altre indimenticabili che hai scritto! Pagine che, negli anni, mi hanno fatto viaggiare, pur restando tra le mura di casa o lungo brevi itinerari consueti a bordo di un treno, fino ai piedi dell’Himalaya oppure tra le strade di Saigon del ’75 come tra quelle di Hong Kong del ’97, poco prima del ritorno della città alla madrepatria cinese; stavolta addirittura tra quelle delle leggendarie Bukhara e Samarcanda, al cospetto di antichi caravanserragli e incantevoli minareti e cupole di moschee. Grazie perché, personalmente, ti devo molto più della semplice buona riuscita di un paio di esami universitari preparati in parte sui tuoi libri. Chissà quante tue nuove opere ci siamo persi nel corso di questi quindici anni, di certo non avresti mancato di pubblicarne. Grazie per il tuo sguardo sul mondo, sempre curioso e mai superficiale, grazie per il cuore che mettevi nello scrivere, pregio di pochi rispetto alla professionale “asetticità” delle cronache di molti fra coloro che svolgono il tuo mestiere. Grazie, perché i tuoi pensieri e le tue parole risuonano come uno splendido inno alla vita e alla pace in un mondo allo sbando che, purtroppo, non ha ancora compreso che la propria bellezza sta nell’altissimo valore della sua diversità.
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1991, la fine di un'utopia
A cent'anni di distanza dalla Rivoluzione d'Ottobre, da cui nacquero l'Unione Sovietica e il comunismo reale, ho letto uno splendido libro sulla loro fine.
Terzani scrive benissimo, con uno stile originale e fluido, direi documentaristico, alternando e fondendo egregiamente la voce del narratore fuori campo, col se stesso protagonista del viaggio, e con i dialoghi diretti delle numerose persone incontrate e delle interviste con politici, funzionari e dissidenti.
Ne viene fuori un formidabile viaggiatore, un avventuriero moderno, che riesce sempre a districarsi in situazioni spesso rocambolesche, percorrendo in un mese e mezzo l'intero continente sovietico e toccandone tutte le otto capitali asiatiche, proprio nei giorni della loro freschissima indipendenza da Mosca.
E' un momento cruciale per la storia non solo dell'URSS ma del mondo intero e questo appuntamento Terzani non lo vuole perdere assolutamente. E' proprio questa consapevolezza, nonché la sua passione per il viaggio e per la libertà che lo spingono a sostare in quartieri malfamati, a far scalo in aeroporti sperduti, ad esplorare città dimenticate, che non trovano posto nei consueti canali del giornalismo e dell'informazione.
Il suo percorso si snoda dal fiume Amur che delimita il confine tra la Manciuria cinese e la Siberia russa orientale, in cui casualmente si trova al momento del golpe ai danni di Gorbaciov (19 agosto 1991), alle neonate repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale, a quelle caucasiche, per terminare simbolicamente a Mosca, nel mausoleo del padre della Rivoluzione bolscevica, quel Lenin di cui stavano cadendo una dopo l'altra le gigantesche statue volute dal regime in rapido disfacimento.
Stupisce ancora oggi come l'URSS, che ha rappresentato e guidato per decenni uno dei due blocchi egemoni mondiali di potere, che si è costituita con una violenta e prolungata guerra civile e che soprattutto con la lunga reggenza di Stalin è stata caratterizzata dall'eliminazione sistematica dei reali o presunti nemici del regime, si sia liquefatta pacificamente durante i pochi giorni del viaggio di Terzani, senza ch'egli abbia mai assistito ad uno scontro armato tra difensori e oppositori del sistema agonizzante.
Il mondo occidentale ha temuto una potenza che era alla canna del gas da decenni, più che militarmente, economicamente. La gente era stremata da anni di miseria economica e culturale e, come accadde in Cina con l'apertura all'economia di mercato voluta da Deng Xiaoping, non appena Gorbaciov aprì i portoni ormai arrugginiti dell'apparato sovietico, il vento dell'occidente invase rapidamente le stanze ammuffite del comunismo, spazzandone via il puzzo di decomposizione che vi stagnava da troppo tempo.
In tutte le città attraversate dall'intraprendente giornalista, ovunque lo stesso degrado, gli stessi casermoni in cemento scalcinati e osceni, la stessa umanità derelitta e pazientemente rassegnata, un continente in cui l'utopia egualitaria aveva congelato per settant'anni il progresso, le tradizioni etnico-culturali, in definitiva la Storia stessa di popoli, pur così diversi tra di loro, in nome di un'ideologia tradita dal potere che intendeva promulgarla e che invece l'ha svuotata e caricaturizzata.
In mezzo a tanta desolazione, Terzani riesce peraltro a scorgere i segni, non meno preoccupanti, di una rinascita della coscienza civile basata sull'identità razziale e religiosa. Non appena il controllo centrale del regime, tramite la polizia e il KGB viene meno, si scatenano tensioni tra le etnie delle repubbliche asiatiche ex-sovietiche, che si trovano mescolate all'interno di stati i cui confini erano stati tracciati artificialmente da Mosca nel 1924 col principio del "dividi et impera" e che sono frutto delle deportazioni e delle migrazioni forzate di milioni di cittadini durante gli anni dello stalinismo e della seconda guerra mondiale.
Così, e questa è la parte più interessante del libro, si viene a sapere che i kirghisi, popolo di origine mongola tradizionalmente nomade e dedito alla pastorizia, sono i meno interessati alla religione, al contrario dei tagiki, ex "persiani dell'Est" (poi divisi dagli invasori turchi nel IX secolo), orgogliosi di una tradizione islamica che contava due roccaforti fondamentali come Samarcanda e Bukhara, da Stalin assegnate volutamente all'Uzbekistan, per esacerbare il risentimento tra le etnie tagike e uzbeke e procedere indisturbato alla loro russificazione. Gli uzbeki invece sono l'etnia più numerosa, somaticamente indistinguibili dai kirghisi, ma al contrario di questi tradizionalmente sedentari e dediti alla coltivazione del cotone, mono-produzione potenziata a dismisura nei piani quinquennali sovietici,
che hanno portato alla canalizzazione forzata dei fiumi affluenti nel Lago d'Aral e al prosciugamento dello stesso, con un dissesto idrologico devastante.
Nonostante la questione del lago d'Aral e l'inquinamento prodotto dai fertilizzanti utilizzati per la coltivazione di massa del cotone siano fatti notori tra la popolazione uzbeka e creino le basi anche qui per un dissenso a ciò che ha rappresentato il regime comunista, più forti sono le rivendicazioni territoriali contro kirghisi e tagiki per il controllo delle rispettive enclave, analogamente a quanto avviene nel Caucaso, nella travagliata regione del Nagorno-Karabah, contesa tra azeri e armeni. I kazaki dal canto loro sono più laici, non hanno rivendicazioni territoriali rilevanti ed ivi emerge rapidamente più che altrove una classe dedita agli affari.
Ed ecco che Alma-Ata (al tempo capitale kazaka) cambia volto, si riempie di grattacieli e di uomini d'affari. A Tbilisi, in Georgia, Terzani alloggia in un hotel che sembra un'astronave, lussuoso ma asettico, simbolo del nuovo capitalismo sfrenato, che non trovando un sostrato culturale adeguato dilaga ora senza freni nelle neonate repubbliche, assumendo connotati volgari e consumistici.
Le due tendenze spontanee emergenti dovunque sono il radicalismo islamico o il liberismo capitalistico, laddove le leve del potere sono ancora in mano ai vecchi partiti comunisti che hanno fatto maquillage e cambiato nome (socialisti, socialdemocratici, democratici...), assecondando le istanze religiose o apertamente nazionalistiche e anti-russe che vengono dal basso.
Terzani non vede una terza via, realmente democratica, rispettosa delle tradizioni etnico-religiose, ma non integralista, aperta all'economia di mercato ma non spudoratamente corrotta e senza quella forbice tra le classi sociali che già nel 1991 si sta già drammaticamente al1argando. Da un estremo all'altro, dunque.
Al tempo del viaggio di Terzani tutto è in divenire, sta accadendo sotto i suoi occhi, da qui la straordinaria attualità del libro. Inoltre la sua disamina lucida e documentata sui fatti costituisce una preziosissima chiave di lettura per comprendere quello che è accaduto dopo nell'ex-URSS fino ai giorni nostri: Eltsin, la
recessione economica, la guerra in Cecenia, la guerra civile tagika, le migrazioni di massa e la separazione delle etnie, il regime di Putin, sfilano uno dopo l'altro come la perfetta e logica continuazione degli eventi narrati in "Buonanotte, signor Lenin".
E la Storia nel frattempo continua...
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Odissea sovietica
Non so se ho fatto bene o male, ma sta di fatto che io Terzani lo sto scoprendo a ritroso; e sono contento così. Ho dato il via a questa conoscenza letteraria dalla sua ultima opera, per andare saltellando un po a casaccio a ritroso. Il saltello questa volta mi ha portato in Unione Sovietica, o in quello che ne resta.
Terzani, nei giorni in cui il Soviet si sgretolava, percorreva allegramente l fiume Amur confine naturale tra Cina e Unione Sovietica (Siberia- Manciuria), direzione Vladivostok . Quale occasione migliore per vivere la storia da "novello Ulisse sovietico", immerso in prima persona , come solo lui e pochi altri hanno saputo fare.
Leggendolo sentirete i suoni, annuserete i luoghi e vedrete la miseria del uomo, le tracce del suo splendore e dei suoi fasti. Terzani infatti ci consegna uno splendido diario di viaggio, fatto di sensazioni e testimonianze di chi il comunismo lo ha vissuto e di chi, ora, rimane oppresso dagli sciacalli che si stanno cibando dei resti di questo cadavere colossale. Questo diario nasce quasi per caso: il reporter invece di sfrecciare a Mosca per attendere lo sviluppo del crollo sovietico, decide di attraversare l’Asia centrale, nota oggi come Tagikistan, Uzbekistan, Kirghisi, Kazakistan , Georgia, ecc ecc… Terzani si ritrova a sguazzare in una delle situazioni a lui più congeniali, il caos! (apparentemente calmo). Può finalmente girare “scevro dai classici condizionamenti del Soviet” (anche se in realtà il soviet ancora aveva le mani in pasta ovunque) e toccare con mano la gente, i luoghi, gli umori popolari, e andare anche dove prima non era minimamente pensabile il chiedere d’andarci. Ogni nuova nazione che affronto al suo fianco, viene raccontata , ovviamente a grandi linee, ma è stato sufficiente per comprendere il contesto dei disagi e dei danni prodotti dal comunismo e dai rischi a cui questo crollo espone un area geografica vasta ed esplosiva così com’è l’Asia centrale. Un viaggio alla riscoperta di tradizioni e culture ormai svanite, annientate dalla morbosa ricerca di integrazione razziale e al annichilimento del identità nazionale, portata a compimento da Mosca. Un documento imperdibile, che sa essere ironico, cinico ma anche sognante e obbiettivo. Non mancheranno le considerazioni del autore, le interviste ai “capi di stato” e qua e la inciamperemo in qualche atto di crudeltà storico di cui non si sapeva nulla o veramente poco. In buona sostanza un Grande viaggia a tutto tondo: nella storia, nella geografia e perche no, anche nella politica di un quarto di secolo fà.
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La fine di un impero
Tiziano Terzani parla, in questo suo bellissimo libro, della fine dell'impero sovietico. Nell'agosto del 1991, infatti, mentre lo scrittore si trovava in Siberia, sul fiume Amour, con una spedizione sovietica-cinese, avvenne il famoso colpo di stato contro Gorbacev; decise allora di intraprendere, da solo, un lungo viaggio fino a Mosca.
Il libro è il resoconto di questo percorso, attraverso la Siberia, l'Asia Centrale e il Caucaso, toccando città mitiche quali Samarcanda, Bukkhara e Taskent.
Nel saper narrare di paesaggi stupendi, quasi primordiali, Terzani ha saputo cogliere con rara abilità ed efficacia lo sgomento per l'improvviso cambiamento, il salto nell'ignoto come tanti all'epoca avvertirono.
L'abilità non è tanto quella del giornalista in cerca di scoop, quanto quella di saper partecipare al lettore le sue sensazioni, le sue impressioni, con quella pacatezza e imparzialità che gli sono sempre state proprie.
E in più di una pagina emerge forte il suo alto senso di umanità, la comprensione per il turbamento delle genti, l'angosciosa attesa di risposte che forse non arriveranno mai.
Gli eventi della storia sono determinati da pochi, ma la realtà di questi è vissuta da tutti. Così, accanto a speranze autonomistiche, a desideri di una libertà vagheggiata e sconosciuta, si accompagnano i timori sia di quelli che prima si foraggiavano del regine sovietico, sia dei tanti, umili cittadini che, scardinati di colpo da un modus vivendi, temono per il loro futuro.
E' un caleidoscopio di personaggi, dal più potente al più povero, che anima le pagine, in un quadro d'insieme di rara bellezza.
Come suo solito, Terzani osserva, domanda e anche, a volte, esprime la sua opinione di uomo che sa fare proprie le incertezze di un intero popolo.
Un libro che ritengo fondamentale per cercare di comprendere ciò che è stato e perché tramontato il grande impero sovietico.
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attraverso le rovine dell'impero sovietico
Siamo nell'agosto 1991 e Terzani sta compiendo una crociera fluviale lungo l'Amur, il fiume che fa da confine naturale tra Cina e Unione Sovietica, per descrivere quei popoli a noi lontanissimi. Due regimi comunisti l'uno di fronte all'altro, l'ordine operoso cinese contro il caos ozioso sovietico, a guardarsi in cagnesco con pochissime occasioni di venire in contatto. In queste poche occasioni si tengono incredibili mercatini senza monete dove il baratto la fa da padrone e dove la "moneta" sono le scarpe da ginnastica cinesi: due paia di scarpe per un pollo, un paio per un secchio di grano... altro che bancomat!!!
Poi la notizia squassante, A Mosca c'è stato un golpe che ha destituito Gorbacev. Nessuno dei siberiani si scompone, Mosca è lontanissima, quasi non fa parte del loro mondo.
Per poter dire "io c'ero" (come a Saigon o a Phnom Penh) Terzani inizia quindi un lungo viaggio alla volta della capitale di quello che era l'Impero Sovietico attraverso gli stati dell'Asia centrale scoprendo popoli e realtà a noi lontanissimi non solo geograficamente: Kazakhistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Azerbeigian, Georgia, Armenia.
Nel suo itinerare si rende conto che spesso i Russi si erano comportati come invasori soggiogando i popoli locali (Tagiki, Kirghizi, Uzbeki, ecc) che ora, nella fluidità delle istituzioni scatenano rivendicazioni nazionaliste, spesso filo- Islamiche una volta venuto meno il laicismo comunista. Musica simile in Armenia, ma qui sono i Cristiani a ribellarsi.
Il vecchio regime viene sempre appoggiato in Uzbechistan, ultimo baluardo, ma ovunque si assiste pian piano all'abbattimento di statue di Lenin e Stalin ed alla salita al potere dei singoli di imprendiotori, intellettuali, faccendieri, uomini validi e arrivisti senza scrupoli.
E poi il contatto con la gente, tanta gente, studenti, contadini, operai, insegnanti, con stati d'animo che variano a seconda della propria indole e dei propri progetti: impassibili, entusiasti, preoccupati o fiduciosi in un futuro migliore.
Finalmente il 2 ottobre Terzani arriva a Mosca sulla piazza non più rossa e si reca a visitare quello che era il mausoleo di Lenin. Paragona la mummia del padre della patria ad una bambola incipriata ed abbandonata da tutti. "Possibile che la grande rivoluzione di ottobre sia morta così nel suo letto a 74 anni, semplicemente di vecchiaia?... Non ho dubbi: il comunismo è morto, ucciso dal suo stesso carattere e ancor più dai suoi amministratori-sacerdoti-burocrati che l'hanno avvilito e disumanizzato..."
Ed ora chi resta si appresta a distruggere tutti i semboli dei vecchi dominatori. E' sempre successo quando si è voltato pagina. Pronto a rientrare dal suo viaggio, si volta per l'ultima volta verso la mummia con addosso gli occhi cattivi di quelle che erano state le guardie del KGB e la saluta rispettosamente: "Buonanotte signor Lenin!!"
Devo dire che dei libri di Terzani è forse quello che mi ha appassionato maggiormente forse perchè mi ha mostrato popoli e nazioni che pur occupando dei territori immensi, sfuggono alle nostre conoscenze. L'Asia centrale è invece affascinante: Samarcanda, Bukhara, Alma Ata, sono città che ricordano modi incantati e penso che un viaggio da quelle parti sarebbe molto più istruttivo di quello in qualche spiaggia dei Caraibi o del Mar Rosso.
Grazie Tiziano, grazie a te il mondo mi sembra un po' più piccolo..