Appia
Letteratura italiana
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Meravigliosa Appìde
La Appia è la madre di tutte le vie. Il suo tracciato rettilineo, anche se semi-nascosto dai secoli e dalle imbruttiture edilizie e politiche, parte da Roma e percorre gran parte del Sud dell’Italia. I Romani la chiamavano “la Regina delle Vie” e, fra marciapiedi sconnessi ed umanità strampalata, questo giornalista ci aiuta a scoprirla, conoscerla, invitandoci anche a percorrerla (con un’utile appendice). Rumiz è da me molto amato per i suoi viaggi, i suoi itinerari, i suoi percorsi mentali, la sua curiosità, la sua apertura verso gli sconosciuti, tema ricorrente nei suoi testi, nonché per il suo stile di racconto ed il suo desiderio di condividere. Il libro si apre con una mappa, che è una cartina con tracciate a mano le tappe del viaggio. Un simbolo importante che fa capire quanto sente “suo” questo libro, così come di estrema simpatia sono i ringraziamenti finali ai propri piedi, che, più di ogni altro, lo hanno sostenuto in questo viaggio. Il libro restituisce un’enorme energia vitale, perchè il cammino a piedi è sempre un magnifico sensore dell’umanità. Gli incontri casuali lungo il cammino sono vere e proprie gemme che impreziosiscono il sentiero.
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Un milione di orme verso il cuore del Mediterraneo
360 miglia romane: questa la lunghezza della 'direttrice indiscutibile e solitaria, scolpita nella pietra, fatta di sangue e sudore, percorsa da legionari e camionisti, apostoli e puttane, forzati e pecorai, condannati alla crocifissione e mercanti, carri armati e carrettieri.'.
Stiamo parlando della Regina Viarum, più conosciuta come Appia Antica, la strada romana che collega Roma a Brindisi e che si è rivelata fondamentale per avvicinare il Mezzogiorno all'Italia centro-settentrionale e per gli impulsi commerciali verso la Grecia e verso l'Oriente. Paolo Rumiz, giornalista e scrittore triestino, ha deciso di ripercorrerla in un viaggio che è 'l'ultima occasione per riprendere un contatto con una memoria perduta.'. Accompagnato da alcuni amici, fra cui il "cercatore di vie" Riccardo Carnovalini, e da eclettici compagni di avventura conosciuti lungo l'itinerario, Rumiz vuole riconsegnarci il Passato attraverso voci autentiche e aneddoti memorabili 'in balìa di un turbine di epoche dove l'antico pare cosa di ieri e il tempo diventa palpabile'.
'Uno zibaldone, una risma di appunti italiani dove la ricerca del passato affonda solidamente i piedi nel presente [...] Un'amalgama di archeologia, inchiesta, paesaggio, etnologia e impressioni personali.': siamo di fronte a quello che l'autore stesso definisce come 'il più terreno e insieme il più visionario dei miei viaggi.'. Un viaggio costellato sin dagli inizi dall'abusivismo e dall'inciviltà delle generazioni moderne, ma che racconta altresì di un'impresa epica, il cui compito gravoso è risvegliare le coscienze riguardo un patrimonio di Storia e di Cultura lasciato morire lentamente giorno dopo giorno.
La lista è lunga, da un lato e dall'altro: potremmo citare l'80% dei monumenti di Roma in mano ai privati, la stazione ferroviaria di Terracina chiusa da anni per un masso franato e mai rimosso, i 36 chilometri di basoli rimpiazzati da edifici e coltivazioni fra Sinuessa e Capua, il teatro dei cementifizi a Caserta, e gli scavi archeologici fermi per mancanza di liquidità a San Giorgio Jonico, ma, per fortuna e per par condicio, ci sono i 'commoventi tentativi di tenere in piedi la leggenda' alla periferia di Caserta, 'la proiezione mediterranea della Repubblica’ sul rettilineo del Montesarchio, la Basilicata come mix perfetto tra passato normanno e moderno ascendente del Nord Italia, le cave di tufo di Altamura, e Oria divisa fra anima ellenica, reminiscenze ebraiche e architettura iberica.
Terre di miseria e lacrime, dove Leonardo Sciascia ne avrebbe da (ri)dire sullo Stato (?) che le governa, contrapposte a ex possedimenti greci, bizantini, svevi e longobardi capaci ancora oggi di ergersi a 'simbolo di riscatto, di appartenenza comune', la cui memoria mantiene intatta la propria identità.
258 pagine di appello accorato, carico di pathos e caparbio nell'evitare ogni forma di pregiudizio per rivivere la 'quint'essenza di un'Italia minore di meraviglie nascoste' che è stata, che è, e che sarà per sempre. Senza dimenticare le prelibatezze gastronomiche come filo conduttore secondario: una saporita merenda di pomodori e pecorino inaugura le fatiche dei prodi valorosi, e il ‘profumo di pane buono' sul Metaponto rappresenta il preludio alla conclusione del Viaggio.
'Lusisti satis, edisti satis atque bibisti: tempus abire tibi est.'
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Camminare: un atto rivoluzionario
Che fine ha fatto la via Appia? La strada voluta dal severo Appio Claudio Cieco esiste ancora? Se si cominciasse a camminare a Roma si potrebbe arrivare a Brindisi calpestando le stesse pietre calpestate dal poeta Orazio? Solo uno era il modo per rispondere a queste domande: camminare. Un passo dopo l’altro, dalla capitale, fino al profondo Sud; l’esplorazione di un’Italia minore, ricca di umanità, storia e cultura, ma il più delle volte dimenticata dai governanti e povera di autostima. Prima si è dovuto incrociare dati cartografici antichi e moderni per rintracciare sulle mappe la Regina viarum, con i 619 chilometri; poi la si è riportata alla luce, calcandola con le scarpe per 29 giorni, tappa dopo tappa, incontro dopo incontro.
Paolo Rumiz traccia il resoconto accurato, pulito e al tempo stesso coinvolgente e affascinante di un viaggio anomalo: «in Italia chi va a piedi è un’anomalia». Ma solo andando a piedi si può conoscere davvero un territorio, come certo non lo conoscono molti governanti «di scarpa lustra». Nella nostra epoca i cammini sono considerati solo se collegati alla sfera spirituale: Santiago, la via Francigena, il cammino di san Francesco. Quello di Rumiz e dei suoi compagni è invece un viaggio dalla vocazione civile, per raccontare un Sud lontano dagli stereotipi attraverso la riscoperta di uno dei suoi più grandi beni archeologici: l’Appia Antica.
I luoghi entrano nelle righe del racconto anche grazie alla capacità dell’autore di «registrarne la voce», di fissare cioè nella scrittura quella diversità linguistica che accompagna il viandante nell’attraversare lo stivale dall’alto in basso.
Avvincente come un romanzo, pur non deviando mai dal resoconto preciso e puntuale, Appia sembra invitare il lettore a compiere un atto rivoluzionario: mettere le scarpe ai piedi e camminare, non per fare sport, ma per conoscere il mondo che lo circonda.