La notte delle malombre
Letteratura italiana
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I bambini sanno
Le vittime più innocenti di una guerra, se possibile stilare una simile classifica, e di qualsiasi guerra, in ogni luogo ed in ogni tempo, sono sempre i civili, e tra questi i più deboli, i più fragili, gli ultimi, quelli più teneri e delicati: i bambini, dai più piccoli a quelli nel mezzo dell’adolescenza.
I più piccoli pagano il prezzo più alto, perché non si creda che non capiscano la gravità dei fatti che stanno vivendo, o che ignorino l’esatta portata e le conseguenze anche sulla loro quotidianità dei tragici avvenimenti.
Senza parere, forse, ma i bambini vedono, ascoltano, pensano: in sintesi, sanno.
I bambini sanno: prendiamo a prestito questo titolo di un bel film di Walter Veltroni, persona umanissima in ogni frangente del suo vissuto, con i minori sensibile ed empatico oltre ogni dire, per accostarlo a questo libro altrettanto bello di Manlio Castagna, scrittore ugualmente intenso e partecipe alle vicende dei suoi piccoli protagonisti, per chiarire subito che questo non è un romanzo per bambini o con bambini, è un racconto dei bambini.
Appartiene a loro, è una medaglia al valore per tutti i bambini ai quali gli adulti hanno brutalmente accelerato la crescita.
La regia di Walter Veltroni si rifà al notissimo e benemerito “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, che affermò senza se e senza ma: "I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano di spiegargli tutto ogni volta".
Tocca ai bambini anche qui provarci con pazienza a spiegare in questo libro agli adulti che le ombre che costellano l’esistenza non sono fenomeni paranormali, o parti di una mente malata o troppa propensa alle fantasie infantili, tutt’altro: le malombre non sono altro che gli aspetti più deleteri dell’animo umano, per questo si celano nel buio, e sono maligne.
I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente finge di non vedere.
Un romanzo quindi didattico, pedagogico, un elaborato di Storia con tanto di morale, perché funga da monito e da insegnamento, solo per questo un libro esemplare, che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca scolastica, di più, in nessuna casa, siano presenti bambini o meno
Travolti dalle crudeltà e dalle violenze nel pieno della loro crescita, all’inizio dell’ acquisizione della consapevolezza del loro vivere, senza neanche aver avuto tempo e modo di metabolizzare l’improvviso e tragico cambiamento del proprio progetto di vita appena accennato, comunque i bambini sanno.
Sanno: talora, più degli adulti.
I bambini sono vittime che non rinveniamo in prima linea, nemmeno sono in divisa, e però non sono al sicuro nel ventre della vacca, esclusi dal dolore, patiscono fame, paure, lutti e abbandoni ai margini del conflitto, nelle retrovie, spesso a casa loro, per questo la loro sofferenza è più dolorosa, perché riguarda non i chiamati direttamente in causa nel conflitto, ma gli innocenti, le vittime non belligeranti, che dalla guerra sono investiti indirettamente, senza colpa, in maniera molto più sottile e dolorosa.
La loro agonia non è infatti rapida come quella di chi è colpito a morte da un proiettile, ma è lunga, si trascina nel tempo, tra patemi, paure, è uno stillicidio continuo di sofferenze di vario genere.
Residuando cicatrici nel fisico e conseguenze nell’animo, evidenti poi nell’età adulta.
Sono vittime che degli eventi bellici in sé non ne sono colpiti che in minima parte, in virtù di eccidi, bombardamenti, battaglie. Però più di altri soffrono come nessuno le conseguenze non cruenti degli eventi bellici, la fame, la paura, l’abbandono di giochi, affetti, dei luoghi natali, soprattutto la perdita del loro incanto e della loro innocenza, una recisione necessaria, richiesta tassativamente dalla dura lotta per la sopravvivenza a cui giocoforza devono adattarsi.
La sopravvivenza non è un gioco da bambini, da intraprendersi con ingenuità e candore, è una lotta crudele che non risparmia nessuno, i piccoli coinvolti non si esimono dalla disperata ricerca del minimo per la sopravvivenza, ingegnandosi in mille modi, ad onta della tenera età o dei natali agiati che certo non li ha agevolati ad industriarsi per la semplice conservazione di sé.
Tuttavia, è da notare come i bambini, malgrado la sfiducia nelle loro capacità sempre ben radicata negli adulti, sanno all’occorrenza trarre da sé forza, ingegno, abilità e intelligenza insospettabili per sbrigarsela alla grande, perché i bambini non sono bambolotti, sono piccoli adulti, quando stimolati, e pungolati dall’urgenza, vedono, assimilano e comprendono perfettamente la realtà, intuiscono i pericoli, decidono, trovano coraggio e soluzioni, e soprattutto, e questo li differenzia sempre dagli adulti, agiscono senza perdere di vista i valori di amicizia, solidarietà, mutuo soccorso, che la crudeltà dell’esistenza cancella durante la crescita in favore di un più utilitaristico e sano egoismo.
I bambini sanno: sanno che i mostri esistono realmente, non solo nelle fiabe, hanno concretezza anche se si celano nell’ombra, le malombre sono una realtà tangibile, e che spesso, troppo spesso, sono generate dagli stessi adulti, quando agiscono in maniera oscura, per niente logica.
Proprio l’ambiguità e la malignità dei comportamenti adulti, la mancanza di limpidezza crea prospettive senza luce, poco chiare, ombre.
Ombre che quando frutto di scelte nocive, maldestre, sprovvedute, superficiali, e scellerate, allora divengono malombre, particolarmente sinistre in certe notti disgraziate.
I bambini sanno: sanno che solo la solidarietà, la comunanza, la fratellanza oltre i limiti di sangue sono l’olio necessario ad alimentare la lucerna la cui luce dissolve le malombre, facendole svanire.
Fino alla prossima volta, poiché se manca il sostegno lo stoppino torna a spegnersi, e le malombre rinvengono dagli antri dove si erano acquattate: i bambini sanno anche questo.
Taluni di loro questa sapienza la conserveranno anche crescendo, per fortuna nostra.
Questo romanzo racconta tutto questo, e lo racconta veramente bene, grazie ad una scrittura oserei dire chiara e senza ombre di alcun genere, riporta con grazia, delicatezza e precisione un viaggio in treno, in una di quelle notti particolarmente oscure, in cui le malombre si confondono a loro agio, sono anche loro sinistre passeggere che scortano la corsa del lungo e lugubre treno nella notte.
Manlio Castagna scrive con fluidità e scioltezza, ci offre un testo elegante, con un taglio documentaristico ma affatto pedante, rievoca la nostra recente Storia con una storia che sa di incanto, di innocenza tradita, di realtà cruda e però non priva di dolcezza, di emozione.
Questo romanzo ha tutti i tratti deliziosi di una favola, ma non è una fiaba, è una storia vera, poco conosciuta, forse volutamente celata nell’ombra, che l’autore rinviene, rievoca, ne tratteggia i contorni, l’illumina con lo spot spiovente della sua prosa efficace, riportandone alla luce tutti i particolari tanto struggenti e delicati, quanto talora angosciosi e disperati.
Il lettore desideroso di verità e giustizia, che legge, e inevitabilmente si indigna e si commuove a proposito del tragico destino di un “treno di bambini”, carico di struggente ed indelebile infanzia tormentata, come quello nell’omonimo romanzo di Viola Ardone, e sente di condividere in pieno l’affermazione dell’autore:
“Questo per me è un libro importante”.
Il romanzo è ambientato nei pressi di Salerno, nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale; quindi in un’area del Meridione già economicamente disastrata , a prescindere dagli eventi bellici, che ne hanno semplicemente moltiplicato esponenzialmente le difficoltà logistiche di procacciamento alimentare minimo per la sopravvivenza.
Solo che la fame strugge in silenzio, ti calpesta lo stomaco, la guerra si limita ad ammazzarti subito con esplosioni e bombardamenti:
“Gli stivali del diavolo non fanno rumore. E invece la guerra fa un fragore assordante”.
I bambini sono i protagonisti assoluti, i capitoli migliori, quelli meglio riusciti di questo libro: Brando, Rocco, Ditelle. E le bambine, meglio ancora: come Nora.
Soprattutto Nora, che con la sua spiccata sensibilità “vede” le malombre che si addensano nei suoi luoghi abituali, Pontecagnano, Battipaglia, dove la famiglia cerca sia un parere medico specialistico per gli “incubi” che la tormentano, sia un rifugio ed un luogo dove approvvigionarsi per i tempi magri correnti.
Si ritrova così sull’ 8017, un lunghissimo treno merci adattato abusivamente a trasporto passeggeri, data l’urgenza dei tempi, carico rischiosamente fino all’inverosimile dell’umanità disperata in fuga per la sopravvivenza, esattamente come quei convogli che si vedono tutt’ora in India con passeggeri abbrancati alle lamiere finanche sui tetti delle carrozze. Un treno così carico, così lento, deve attraversare scorrendo su un unico binario infinite gallerie senza sfiati, arrampicandosi sui monti Alburni, tirato da una vetusta locomotiva a carbone il cui fumo letteralmente soffoca gli sventurati passeggeri all’aperto, figuriamoci al chiuso, e nessun adulto sembra darsene pensiero o paventare pericoli. È un treno disagevole, disastrato, disgraziato, dove si annidano in agguato le malombre: i bambini sanno.
Sanno, ma sanno anche la bellezza dei sentimenti, ad essi non si sfugge, non a quell’età:
“Nora. Brando si stringe nel cappotto. A riscaldarlo è quel nome. Un fiore è sbocciato dentro di lui. Ha petali giganti che mettono in secondo piano tutto il resto.”
Nora e Brando si incontrano sul treno, diversissimi tra loro, ma si riconoscono, si seguono, ci cercano, si fidano l’uno con l’altro, perché solo insieme potrebbero salvare e salvarsi, loro lo sanno:
“Ci sono gesti che si fanno perché comandati da una verità sotterranea, di cui non si conosce la geografia. Tutt’intorno, in quelle profondità dove la ragione non arriva, il terreno è irto di premonizioni, presentimenti o semplici suggestioni.”
L’8017 non arriverà mai a destinazione, l’ esecranda stupidità umana ha creato ombre che si annidano nella “Galleria delle Armi”. Chi se ne accorge? Macchinisti, ferrovieri, burocrati, militari, faccendieri? Nessuno. Solo i bambini sanno:
“Le sente muoversi nel buio, le ombre malvage.”
Nessuno ascolta i bambini. Nessuno crede che le malombre siano sul treno, dappertutto.
“Ma cosa sono? Anime inquiete. Le anime di chi? Non lo so. So solo che fanno del male”
Le anime, però, non fanno male. Dopotutto, sono spiriti, sono eterei, senza concretezza.
Sono i viventi che fanno danni, spesso tragici, sono la loro superficialità, la stupidità, il profitto, l’egoismo i fattori che portano a commettere errori, e gli errori si pagano cari.
Il treno si ferma in galleria, si blocca, non riesce ad andare oltre o a ritornare indietro, il fumo si accumula, rende l’aria irrespirabile, e:
“Poi aveva visto i corpi ammassati dentro i carri. Uomini, donne e bambini colti all’improvviso dalla morte: un uomo in piedi con la sigaretta ancora tra le dita, un altro con la testa appoggiata ad una mano come a riflettere, una donna nell’atto di accarezzare la testa del proprio piccolo”
Poi tutto quello che segue, diventa routine, una gelida, fredda, cerimonia senz’anima, come sempre succede quando tornano protagonisti gli adulti:
“Sui pianali sono ammassati diversi cadaveri, che vengono scaricati a terra senza troppa cura dei soldati. Fanno il loro lavoro senza compassione, come se svuotassero i veicoli da sacchi di carbone.”
Solo i bambini soffrono, partecipano, si struggono, sanno come nessuno l’enormità della tragedia:
“Si aggrappa ai corpi allacciati dei genitori. Se potesse, scenderebbe nella fossa con loro. Insieme fino al centro della Terra.”
Perché, vedete, nessun bambino ha paura dell’ignoto, nessuno come loro capisce che smette di essere tale nel momento stesso che lo si affronta rendendolo conoscibile, e conosciuto.
I bambini non temono le malombre, i bambini sanno.
Lo sa anche Manlio Castagna, e ce lo scrive, bello e chiaro. Per fortuna nostra.
Indicazioni utili
3 marzo 1944
È il 3 marzo del 1944, il treno 8017 è fermo nel bel mezzo della galleria di Balvano. Partito con il suo carico di anime, di uomini, donne e bambini clandestini da Napoli per quel di Potenza, luogo ove la guerra altro non è che un ricordo lontano e la fame non esiste non mancando per nessuno il cibo, è adesso il palcoscenico dove è la morte a regnare sovrana. Corpi su corpi si intravedono nel suo ammasso dolente e fermo, sembra che stiano dormendo eppure alcun alito di vita è più presente in loro. Ma cosa è successo? Cosa è davvero accaduto a quel convoglio e ai suoi passeggeri? E perché quel mistero si è celato così a lungo negli anni quasi come se fosse un fatto dimenticato, un qualcosa di appartenente ad un’altra vita ad un altro mondo?
Ma facciamo un passo indietro di qualche mese. Brando Carenza è chiuso nel suo fortino di silenzio, un silenzio spesso come un muro ed eretto per proteggersi da quei pensieri, lui che deve farsi carico della famiglia anche se è appena un ragazzo. Un giovane uomo che è una delle tre voci narranti dell’opera.
«Brando non ha pianto. Lui non lo fa mai. Lui osserva, ascolta, pensa e chiude tutto nella cassaforte del suo silenzio.»
Conosciamo così anche Nora Moscati, anch’essa giovanissima, che conosce soltanto un sonno fatto di leggerezza, un velo sottile dal quale è sovente destata. È tormentata da quelle Malombre che la terrorizzano e che sono al contempo anche premonitrici che le si palesano innanzi agli occhi. Da una spilla a forma di farfalla mai si separa, è quanto le è rimasto del fratello Pietro, al fronte.
E conosciamo infine Rocco Saturno piccolo grande uomo che ha imparato che la guerra non fa distinzioni tra grandi e piccini, che nessuno risparmia.
«Pure la misura del tempo fallisce durante la guerra. […] La memoria può essere veleno […] perché se si permette alla paura di tornare travestita da ricordo, quella piglia tutto.»
Tre voci, le loro, che si incontrano e che ricostruiscono il mistero che ci riporta agli anni del Secondo conflitto mondiale, a quei giorni di auspicata sopravvivenza.
È con uno stile fluido e magnetico che Manlio Castagna trattiene il suo lettore destinandolo di una storia che sorprende per autenticità e trasporto, che conquista pagina dopo pagina e in cui sono racchiusi messaggi importanti tanto che non fatica a restare nel cuore anche a distanza di tempo dalla lettura. Allo stile pulito ma minuzioso, evocativo e pungente del narratore, si aggiungono ricostruzioni storiche curate in ogni dettaglio, sia nelle ambientazioni che proprio nel dato di quello che fu. L’opera non manca di far riflettere il conoscitore e nella finzione del narrato riporta alla luce anche elementi di verità perché le ragioni che si celano dietro quelle morti, quel treno fermo, riguardano un nemico silenzioso che ha sorpreso i nostri viaggiatori che altro non desideravano che credere in un futuro, appigliarsi a una speranza del domani tanto da rinunciare anche alla propria identità. Perché il destino ha sempre modi beffardi per manifestarsi.
Castagna ben mixa finzione e realtà, ci offre un titolo succoso, empatico e intriso di emozione che si lascia divorare e che riporta all’attenzione un fatto troppo a lungo (e da troppi) dimenticato. Una lettura per grandi e per piccini, una lettura che resta.
«Ci sono cicatrici così profonde che il tempo non riesce nemmeno a scolorire, figurarsi a cancellare.»
«Quando perdi le radici, il vento ci mette un attimo a portarti via.»